I “piedi neri” italiani estinti pochi decenni fa

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ABITANTI DELLA PIANAConosciamo dai fumetti i Piedi neri nativi americani, più di quanto non sia raccontato da una storiografia reticente sulla loro decimazione avvenuta per mano dei bianchi; conosciamo i Pieds noirs, ex coloni francesi espulsi dall’Algeria; ma anche in Italia abbiamo avuto i piedi neri, con la “p” minuscola, specie rurale estinta presente in vaste zone italiane: contadini, che viaggiavano scalzi durante un paio di stagioni ogni anno (primavera estate), in vaste aeree del centro-sud, a causa di misere condizioni economiche e del clima favorevole a camminare senza calzature.
L’immagine in calce – degli anni Trenta del Novecento, gentilmente prestatami da Vinicio Sonnati e inserita nel libro Chj lavora fa la gobba chj ‘n lavora fa la robba – n’è un’evidente testimonianza. Nel paese della Piana (comune di Castiglione del Lago), in occasione della visita di amici e parenti fiorentini, fu scattata questa foto in cui i residenti sono distinguibili dagli ospiti, perché tutti scalzi… non certo per snobismo. E’ probabile che il piacere di un ricordo fotografico sia sorto improvviso e spontaneo, cosicché le persone furono colte nella loro quotidianità.
Adulti, vecchi, bambini e donne sicuramente avranno posseduto calzari, ma, di norma, nelle campagne del centro sud Italia nelle stagioni miti o calde si stava scalzi, per non sciupare la modesta dotazione di scarpe. Che ovviamente era diversa: in qualità e quantità variabili secondo le condizioni economiche familiari. Nelle famiglie più misere, il lusso era rappresentato dagli zoccoli, che ciabattini ambulanti producevano al domicilio dei clienti in cambio di modeste quantità di prodotti dell’orto del pollaio della cantina…Su un plantare di legno veniva inchiodata a bollette o chiodini una striscia di cuoio o di pelle in grado di avvolgere il piede; e sotto la pianta lignea, come antiscivolo, s’usava infiggere file di bollette (sul terreno il passo risultava quasi felpato, ma, in un qualsiasi pavimento, la camminata dello zoccolo produceva un gran fracasso che gridava a ogni vento la miseria del suo portatore) o, se disponibile, gomma recuperata da copertoni dismessi. Salendo sulla scala della povertà e della propensione al risparmio (mentalità contadina diffusa dalla necessità: disponendo le famiglie di pochi soldi, erano destinati a esigenze vitali, quali magiare, vestire, spese mediche, …) ai bambini, oltre gli zoccoletti, si comprava un calzare per mandarlo a scuola (nel mio caso, furono stivaletti di gomma) e un calzare più elegante come i sandolini per la prima comunione o per cerimonie familiari importanti come il matrimonio d’un parente. Anche le donne, oltre agli zoccoli, avevano un par di scarpe buone per andare a messa o alle funzioni religiose o partecipare a cerimonie familiari. Erano uno o due paia, non tante di più. Adulti e anziani, solo nel secondo dopoguerra iniziarono ad acquistare scarpe della domenica, quelle cromate marroni o nere, altrimenti si facevano fare dal calzolaio scarponcini di cuoio da usare nelle occasioni in cui si teneva a essere “in ordine”, ad esempio andando al mercato, in visita al padrone, in fattoria, … Nelle famiglie un tantino più agiate, gli uomini acquistavano o si facevano fare solidi sandali da lavoro, usati in alternativa agli zoccoli, specie in estate, dal momento che uomini donne e bambini avevano una suola naturale indotta andando scalzi (“s’è fatto il callo!” non era solo un modo di dire), tanto da non temere suoli sassosi, brozzolosi o le stecce da sfalci, ma c’erano lavorazioni in cui era necessario proteggere meglio la pianta del piede: come nel pigiare per ore e ore il vangiglio della vanga nell’affondarla sul terreno. Nei lavori sudici, quali accudire stalle di animali o lavorare sul letame delle concimaie, gradualmente nel Novecento, invalse l’uso degli stivali di gomma, ma non c’era da meravigliarsi di vedere contadini scalzi intenti a tali incombenze. E’ perciò intuitivo figurarsi – nella scarsa se non assoluta mancanza di igiene e prevenzione infortunistica, tra i lavoratori della terra, dovute a ristrettezze economiche – come saranno stati i piedi in una famiglia contadina? Neri! Senza dubbio.
A proposito di piedi neri, mi fu raccontata la storia di Giovanni delle Capanne. Le Capanne era uno sperduto casolare (uno dei tanti oggi diroccati) quasi in vetta alla montagna del sant’Egidio, in cui Giovanni conduceva un podere poverissimo – in proprio o a mezzadria non ricordo – la cui la terra avara per produrre qualche ortaggio richiedeva tanta fatica di braccia sulla zappa. In una di quelle giornate a zappare dure zolle erbose, quando Giovanni notò qualcosa di nero che si muoveva confuso tra la terra smossa, gridando: “Porca paletta… è un topo!”, menò un gran fendente di zappa…era l’alluce che gli si staccò definitivamente da un piede!
www.ferrucciofabilli.it

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3 risposte

  1. Claudio Santori

    Nel Museo Janus di Subbiano-Capolona c’è, fra gli altri oggetti della civiltà contadina, un paio di scarponi con la mota dell’ultimo utilizzo!

  2. Claudio Santori

    A proposito di Giovanni delle Capanne, l’esclamazione originale è “una talpa”, non “un topo”!