Ivo Camerini ha raccontato come la repentina estinzione di vocazioni sacerdotali risalga a oltre cinquanta anni fa, dopo aver visto Cortona sfornare chierici per secoli. Con il conseguente desolante abbandono e chiusura di chiese in mancanza di preti. Carenza mal risolta dall’immissione di sostituti provenienti da luoghi di “missione” (così definiti da Ivo). Il tracollo vocazionale, d’un botto, fu negli anni Sessanta. Chiuse il seminario e i pochi superstiti volenterosi ebbero asilo ad Arezzo. Senza approfondire le cause (per me, materia ostica), vedo alcuni fattori di quella crisi: la fine della società agro-pastorale, in cui il sacerdote aveva uno status privilegiato; la televisione, insinuatasi in ogni casa come sostituta del prete nel raccontare e interpretare la vita e i fatti nel mondo; e, non ultimo per importanza, il vincolo di castità imposto ai religiosi. Il tabù del sesso. A preti e suore era ed è vietato coniugarsi e far l’amore. Ma, in realtà, come si son comportati, nel tempo, i religiosi col sesso? In Diritto Canonico è previsto che gli attributi dei religiosi maschi, prima della consacrazione, devono essere bene pendentes (lo stesso vale per il papa, controllato a vista dal Camerlengo, prima dell’investitura). Qualcuno, insomma, controlla che le palle religiose risultino ben ciondolanti. Com’è naturale, l’efficienza sessuale provoca quotidiane “tentazioni”… Forse certi eroici prelati saranno riusciti a mortificare la carne, ma circolano un sacco di storie boccaccesche sulle incontinenze sessuali dei parroci passati e presenti, come non son da meno, del resto, le scappatelle delle monache. Se ai bene pendentes aggiungiamo dimensioni dell’attrezzo correlato tali da far appellare il portatore: Don Biétela (da bietola: fittone brozzoloso), la miscela è sessualmente esplosiva. Don Biétela era un bell’uomo, robusto, sportivo, appassionato di motociclette veloci tanto da esserci caduto, sbattendo il cranio su un colonnino di pietra. Rimasto in pericolo di vita, si salvò – si disse – grazie alla zucca d’acciaio. Il suo “sventra papere” era così famoso e ricercato tra le donne da indurre in tentazione persino una zitellona in odor di castità, la quale, non avvezza a certe dimensioni del pene, ne rimase ferita in uno spicciativo intervento emorroidario praticatole da don Biétela. (Il fatto scandaloso destò le ire dello zio prete della vittima, decano del Capitolo diocesano). Quando l’infortunata giunse al pronto soccorso a riparare lo sbrego, i maligni misero in giro lo sberleffo: “Don Biétela s’è messo a fa’ concorrenza al professor Baldelli!” pure lui rettificava sfinteri anali, ma col bisturi e in anestesia. L’incidente ampliò la fama di don Biétela, mentre l’infortunata perpetua seguitò a servirlo… in perpetuo.
Nell’immediato dopoguerra, più tragica fu la sventura capitata alla povera amante d’un prete, Amilcare Caloni, trovata morta sul greto del torrente Esse a causa d’una maldestra pratica abortiva. Montò tale indignazione popolare che un cantautore d’origine cortonesi le dedicò una triste ballata: “Chi gettò la Luna sul Rio?…” canticchiata dai popolani per molto tempo.
Nell’archivio pretorile – alla ricerca di processi politici e sindacali del secondo dopoguerra – m’imbattei in un paio di vicende singolari nelle quali erano implicati parroci, se non colpevoli, comunque in giudizio per questioni di sesso. In un caso, un prete campagnolo svegliandosi la mattina notò una scia di lupini che partendo dalla canonica giungeva a casa d’un’avvenente signora. Era stato oggetto della classica Lupinata. Scie di lupini con le quali buontemponi, nascosti nell’ombra della notte, collegavano abitazioni d’amanti, o presunti tali. (Anche se spesso, in materia di corna, Vox populi c’indovina). La Lupinata era democratica, non risparmiando nessuno: preti, scapoli, sposati, zitelle, vedove… Più che espressione di giudizi morali, erano burle pesanti e invidia a generare quegli sputtanamenti plateali.
Nell’altro caso, sempre in campagna, un prete fu minacciato di morte (o colpito in chissà qual’altra maniera), perché trovato da un baldo e sanguigno giovane a molestargli la sorella dodicenne. Qui non fu tanto Vox populi a muoversi, ma un giovane incazzato che avrebbe colto sul fatto il pedofilo in abito talare.
Nella cronaca minuta di anni fa, si raccontava d’un prete rubizzo che, affiancato a una giovane suora, salendo verso S. Egidio finì fuori strada. Era noto che quella scalata montana non conduceva a un santuario, caso mai a ricettacoli di coppiette in cerca di pace. Ci si domandò: com’è possibile uscir di strada scalando la montagna con una vetturetta – soffocata da due ciccioni – senza pensare a una distrazione?!…
Nell’Archivio diocesano si trova una lettera indirizzata al Vescovo, nella quale lo stesso prete rubizzo dalle pappagorge goderecce invocava un richiamo autorevole ai doveri cristiani verso un giovane macellaio che gli scopava la nipote, in extra coniugio. (Immaginiamo l’imbarazzo del Vescovo a quella richiesta irrituale). Non so se il Vescovo fosse intervenuto in qualche modo. La ragazza carina era attratta dal coetaneo – in seguito mio collega di lavoro – il quale mi confidò che, infischiandosi di tutti, seguitò a curare quel fiore.
Ultima storia. (Per limiti di spazio). Da giovane infermiere – in pausa lavoro – una collega piacente, anche se attempata, mi confidò l’amarezza della vita: fidanzata da anni con Don …, con cui, dato il suo status, non avrebbe potuto convolare alle nozze agognate. Avvicinandosi la pensione e avendo più tempo per l’amore, si sentiva persa!… La Chiesa modifica deliberazioni in tempi così lunghi che né la mia amica infermiera (morta) né io assisteremo alla decisione di togliere l’obbligo del celibato ai religiosi. Facendolo, la Chiesa dimostrerebbe d’aver capita la lezione da tante storie umanissime, uscendo da situazioni a dir poco ridicole, se non già da fenomeni gravi di pedofilia, che stanno investendo il suo sistema dalle fondamenta.
Ivo Camerini
Grazie Ferruccio per aver riportato alla memoria dell’oggi cronache boccaccesce che nutrirono piacevolmente le brevi pause delle nostre lunghe giornate adolescenziali passate a studiare….. come matti assetati dell’ umano scibile.
Ferruccio
Grande Ivo. sei tu da ringraziare anche per gli spunti che si trovano sui tuoi scritti…sempre precisi e appassionati…per la sete di studio mi hai sempre superato di gran lunga!