ANGIOLO FANICCHI deluso dal diritto dei potenti avendo creduto nella giustizia

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In una delle ultime note scritte sul suo profilo Facebook, Angiolo evidenziava la data di collocamento a riposo: il primo settembre di quest’anno. Nonostante la coscienza che non se la sarebbe goduta a lungo, già provato dalla malattia che da lì a due mesi l’avrebbe sopraffatto. Gli ultimi anni spesso ci siamo incontrati alla stazione di Terontola all’alba, l’ora in cui prendeva il treno per recarsi al lavoro in Valdarno e, tra le battute consentite negli attimi di attesa, ripeteva la sua indignazione per la legge che gli aveva allungato oltremisura la data di pensionamento: la Fornero. Da dirigente amministrativo scolastico, esperto di diritto, non si capacitava sulla ingiustizia di esser trattenuto al lavoro ben oltre i quaranta anni di servizio, mentre, come sappiamo, i legislatori per sé largheggiano in fatto di benefici pensionistici e su un sacco di altri privilegi, nonostante continue spudorate richieste ai cittadini di sacrifici. L’idea di giustizia, in Angiolo, era in rivolta non solo per fatto personale, da uno che aveva speso parte importante della sua vita nel perseguire il cosiddetto bene comune (sul cui destino, in Italia, c’è incertezza e divergenze di opinioni profonde). A causa di quella sorta di combutta istituzionale (non dimentichiamola) per la quale i “diritti acquisiti” dei politici e degli alti papaveri statali erano definiti “intangibili”, mentre quelli della massa erano carta straccia. Fino a non molto tempo addietro, Angiolo s’era dedicato all’impegno civile in incarichi pubblici: in Circoscrizione a Terontola e in Comune, da assessore e presidente del Consiglio comunale. Stimato per diligenza nello svolgere gli incarichi avuti, pacato, sobrio, attento alle sollecitazioni e al senso di giustizia. Fino a chiudere quell’esperienza forzatamente. Angiolo, nel suo partito, subì gli effetti di quell’ “arroganza e subalternità” (resa visibilmente plastica pure da Bersani dirigente nazionale!) verso militanti non allineati col capobastone di turno…
Coetanei, ci conoscemmo frequentando il ginnasio-liceo di Cortona, pendolari nei bus che salivano da valle in città, e, soprattutto, godendoci magnifici pomeriggi insieme sulla spiaggetta del lido Rigutini in riva al Trasimeno. Dove lui giungeva, prima in bicicletta poi in motorino, insieme a un gruppetto affiatato di compagni di giochi (il Boscherini, il Cottini, …) provenienti da Pietraia, suo paese di origine. Il divertimento consisteva in quattro calci al pallone sulla sabbia, le prime gare di nuoto sulla fanghiglia lacustre, e mangiate di cocomeri procurati dai Pietraiesi.
Poco più che adolescenti ci ritrovammo nell’attivismo politico, come i quattro amici al bar di Gino Paoli che “volevano cambiare il mondo”…e, forse, qualcosa di buono siamo riusciti a fare. Ma non è di questo che mi vien di parlare in questo momento. Bensì riflettere sulla durezza della vita, che molto dà, però è spietata nel togliere… come nel caso di Angiolo, che, placate le tensioni del lavoro e degli impegni sociali, avrebbe desiderato donare infinite coccole al nipotino… Pochi mesi fa ci sentimmo al telefono, e tra le righe capii che gli incombeva un’angosciosa ansia sul suo stato di salute. Capito quello stato d’animo, la conversazione si chiuse presto. Il nostro legame seguitava sulla piattaforma virtuale dei social, dove tra tante banalità ognuno svela sentimenti, stati d’animo, interessi… tra questi, notai l’attenzione di Angiolo su un libro di Don Gallo, il cui titolo grosso modo dice che: al Padreterno non interessa se sei stato un credente, quanto se sei stato un uomo giusto. Esprimeva, non v’è dubbio, la sua convinzione riguardo la sfera religiosa.
Per quanto le amicizie siano profonde, ho sempre evitato, se non richiesto, di far visita a persone in lotta coi propri mali. Men che meno seguo i feretri, preferendo coltivare i ricordi di persone care non in luoghi convenzionalmente deputati, bensì in momenti intimi del pensiero. Fatalità ha voluto che un paio di settimane fa, durante un servizio notturno da volontario della Croce Rossa, ci incontrammo al Pronto soccorso dell’Ospedale s. Donato. Lui in barella in attesa di cure mediche, per complicazioni che, all’occhio di chi ha frequentato corsie ospedaliere, non danno speranze di vita. Ci abbracciammo e salutammo, parole e gesti affettuosi necessari anche a toglierci l’un l’altro d’imbarazzo. Era il pacato Angiolino di sempre, se pure in estrema sofferenza, avendo già affrontato prove molto dolorose, e trascorsi mesi tremendi nella consapevolezza della ineluttabilità della sorte capitatagli…
E così un altro pezzetto della nostra generazione se n’è andato precocemente. Non so se è giusto definirla generazione del “sogno italiano”, e se questo “sogno italiano” sia effettivamente esistito. Figli di operai e contadini, nei confronti dei nostri genitori abbiamo svoltato verso una vita più agiata, il posto fisso, nuovi diritti… tra noi però, concluso il ciclo lavorativo, è insorta la consapevolezza che i nostri figli saranno alle prese con un mondo più incerto e tribolato… Di sicuro, tra la nostra generazione e i figli una diversità c’è: nelle distanze dal potere. A noi pareva in qualche misura condizionabile, con l’impegno individuale nello studio e nel lavoro e con le lotte politiche e sindacali. Quasi scritte a carta carbone, le vite di Angelo e di migliaia di altri nati nel dopoguerra hanno percorsi simili… così come unanime è l’amarezza di quella generazione nel vedere una “declino” inarrestabile del Paese. Il Moloc del potere s’è rafforzato e reso più distante, mascherandosi da potere finanziario che ha il sopravvento sulla politica condizionandone l’azione, disponendo della potenza dei media che professano quasi all’unisono le stesse “verità” – il pensiero unico insediato al comando -: è il denaro a dominare il mondo! I figli del boom economico italiano, come Angiolo, pur tra mille contraddizioni, han cercato di migliorare le condizioni umane con qualche innegabile successo, lasciando ai figli un mondo in cui le inquietudini paiono prevalere sull’ottimismo…
www.ferrucciofabilli.it

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  1. Luciana Lorenzini

    L’impegno speso per migliorare le condizioni dell’umanità debole, sofferente, oppressa non è mai vano. Anche se può apparire tale lascia comunque in chi ti ha conosciuto una strada aperta da proseguire e alimenta il desiderio profondo di giustizia che e’ dentro il cuore. L’inquietudine non prevarrà….non deve prevalere!!