AGOSTINO dalla Legione Straniera a venditore di “materazzi”

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Ai lati, nel rettilineo tra Ossaia e Camucia, son collocati cartelloni con messaggi pubblicitari di aziende di cui conosciamo questo o quel familiare, ma d’una m’era rimasto il mistero: Materassi Hawaiy flex. Per quanto intrigante, l’allusione al  tepore tropicale, rovistando tra conoscenti, non trovavo cortonesi dediti a produrre il conforto del sonno – caso mai lo commerciavano. Notando quella pubblicità, negli anni Ottanta, pensai a un’impresa difficile, forse di breve durata. Condizionato dai  discorsi insistiti in Consiglio Comunale, specie di Alarico Pazzaglia – un amico, residente non lontano dalla sede del PIP – il quale sosteneva che non vi si producesse granché… prevalendo il commercio sulla produzione (ma, dico io: non si produce per vendere?). Per fortuna, a distanza di anni – durante una crisi economica terribile –  ci sono ancora commercianti nel PIP, insieme a produttori pure di alta gamma – con marchi propri o per conto terzi -, compreso il materassaio, che finalmente ho conosciuto. Ed è stata un’esperienza da raccontare.

In un fondo della sua azienda, m’ha ricevuto Agostino Raffaelli, il titolare, seduto ad un grande tavolo cosparso di oggetti vari, compresa una damigianetta – penso di vino – e una filza di telefonini ogni tanto trillanti. Lieto di svelare la sua storia intrigante.

Nato a Roma – gennaio 1933 – nel quartiere popolare di san Lorenzo, fin da piccolo si manifestò, a dir suo,  un “ribelle”. Tra il discolo e l’ipercinetico:  insofferente dei banchi di scuola già in terza elementare, e, sempre a quell’età, tentò le prime fughette da casa. Un giorno, il babbo trovandolo al girello in ore scolastiche a giocare a “tappi”, l’indomani, decise d’accompagnarlo in classe per sincerarsi sui giorni d’assenza. Il maestro supplente, interrogato, disse: “Son qui da un paio di mesi, ma suo figlio non l’ho mai visto!” Quando la madre dava ad Agostino qualche soldo per spese domestiche, era facile che non rientrasse a casa per giorni, finché non aveva speso tutto in cibo e bevande. A dormire s’arrangiava: negli androni o in soffitte, compresa quella di casa; dov’ebbe pure la compagnia sgradita d’un grosso sorcio di cui, impaurito, si liberò a calci, mandandolo in bocca al gatto acquattato sulle scale.

Il luglio ’43 fu terribile per il quartiere di san Lorenzo. Bombardato dai futuri alleati, suo padre rimase sotto le macerie, Agostino, con mamma e sorella, si rifugiò a Borgo Velino, nel reatino. Ma anche lì, il “ribelle”, in agosto, scappò di casa. Girovagando, giunse al campo d’aviazione a Rieti, incontrando l’ospitalità degli avieri. Ma durò poco. L’8 settembre, i militari fuggirono mentre sopraggiunsero altri armati: fascisti e tedeschi. Rimasto solo, gli fu chiesto dai nuovi arrivati: “E tu, che fai qui?” raccontò che, in aeroporto, prestandosi a lievi incombenze si era trattenuto coi soldati (non c’era da meravigliarsi, in pieno conflitto, d’un ragazzino disperso dalla famiglia). Aveva dieci anni. Rimasto simpatico anche ai nuovi arrivati, fu aggregato come mascotte della Legione Tagliamento. Vestito di tutto punto in divisa da camicia nera, compreso il distintivo della M rossa, e dotato di un moschetto. Fanatizzato dalla divisa, incosciente, stette in mezzo ai pericoli bellici dal ’43 al ’45. La legione Tagliamento, operativa a Vercelli, affrontò partigiani e compì rappresaglie. Orrori che gli furono risparmiati, essendo ancora un bambino.

Negli anni successivi alla guerra, fino a settembre ‘53, adolescente, s’ingegnò in mille mestieri, fin quando un amico gli suggerì: “Agosti’, perché non andiamo nella Legione Straniera? Si guadagna bene, e qui non c’è molto da fare!…” L’amico più grande, era del ’30, convinse Agostino a racimolare un po’ di soldi necessari per l’espatrio avventuroso, fino a Marsiglia, dove arruolavano nella Légion Étranger.

Gli fu dato un nuovo nome: Raphael Rossi. L’impatto fu duro, col rigore militare dei Legionari e con l’addestramento in zone selvagge  Algerine: tra Sidi-Bel-Abbes a Bossouet, fino all’aprile del ’54. Se facevi il letto non avevi tempo per la colazione e viceversa, ma saltando la colazione non eri punito, mentre non facendo perfettamente il letto, invece della libera uscita venivi consegnato… questi erano gli avvii delle giornate! prima di lunghe marce spossanti. A sera, Agostino aveva i suoi momenti di fortuna sfacciata al gioco delle carte: vinceva sempre! E senza trucchi.

Gli capitò di vincere soldi a un mafioso siciliano (Sidone) a cui aveva fatto prestiti, ma al momento dell’incasso della vincita  il siciliano mostrò le sue intenzioni cattive: invitandolo a battersi, tirando fuori una lama smisurata! Davanti alla quale Agostino s’arrese senza battersi, facendosi amico il siculo tremendo, confermandosi ancora una volta “ribelle” all’acqua di rose: gli piaceva trasgredire e ribaldeggiare, ma gli mancava la stoffa dell’avventuriero duro che sfida impavido persone e pericoli. Anzi, in pericolo, cercava sempre vie di fuga.

Nell’aprile del ’54, imbarcato nella nave Pasteur raggiunse Haiphong, e, da lì, Hanoi. Il primo incarico fu facile: a dirigere il traffico cittadino. Ma, un brutto giorno, stipato con altri cento nei camion raggiunse la zona di combattimento, dove scoprì la tragedia della guerra. Appena scese dal camion in una zona paludosa, con pochi villaggi sparsi, fu accolto da crepiti d’arma da fuoco ed esplosioni di bombe provenienti da tutte le parti. Agostino, scoppiò in lacrime, proseguendo in quell’inferno domandandosi disperato: “Ma che so’ venuto a fa?!…”.

Dormiva sulla paglia di riso, ma una volta scovatoci un serpente preferì riposare all’aperto… recandosi a prelevar acqua potabile, s’imbatté in un cobra…dopo una notte intera trascorsa in agguato, immerso nell’acqua d’una risaia, s’avvide coperto di sanguisughe in tutto il corpo… Trascorsi 4-5 mesi di questa vita orribile, con altri quattro commilitoni s’intesero: “Perché non ce la squagliamo? Qui ci lasciamo la pelle! Fuggiamo verso il confine Cinese!…” non lontano. Avevano pure la mappa.

Per due giorni marciavano la notte e riposavano il giorno, ma furono scoperti  catturati e disarmati dai Vietcong. Agostino s’arrese subito, col presentimento tragico: “Qui facciamo una brutta fine!”

Chiariti i motivi della loro presenza in quella zona, non furono uccisi, bensì usati dai Vietcong come testimonial – esibiti qua e là – nella propaganda antifrancese: “Sono disertori, simpatizzanti comunisti!…” la gente curiosa li osservava e li toccava nelle parti irsute del corpo dove gli orientali sono glabri o scarsamente pelosi.

Cinque mesi di prigionia in mano ai Vietnamiti: senza catene, potevano circolare liberamente…nella foresta. Era impossibile fuggire, disarmati com’erano avrebbero fatto una brutta fine: ripresi dai Viet o incontrando le tigri.

Scarsamente nutrito con un po’ riso e carne di serpente, cane, maiale,…Agostino deperì: “Non ce la faccio più!” era giunto al lumicino. Quando ai prigionieri comunicarono uno scambio di disertori con i francesi.  Erano trascorsi 5 o 6 mesi d’inutile e rischioso vagabondaggio per tornare da dov’erano  scappati. Prospettiva per nulla allettante.

Ricoverato in ospedale, Agostino fu rimesso in sesto, ma l’attesero le cure del Deuxième bureau: i servizi segreti. Interrogato, il prigioniero-disertore sostenne che l’unica intenzione era tornare a casa per scampare da quell’inferno, però i carcerieri, non convinti o incavolati da quella giustificazione, lo caricarono di botte!

Nel frattempo, riuscì a informare la mamma che l’attendeva un processo per diserzione. La donna premurosa e accorta, interpellando la Croce Rossa Internazionale, riuscì a procurargli l’intervento al processo, come avvocato, di uno dell’ambasciata italiana. La diserzione in zona di guerra era punibile con la fucilazione, Agostino se la cavò con 10 anni di galera da scontare alla Santé.

Trascorso un mese di carcere a Saigon, fu imbarcato nei bassifondi d’una nave passeggeri scandinava, diretta in Francia,  insieme a una novantina di galeotti della peggior specie, che sottoposero Agostino a sopraffazioni e violenze brutali. Ricordiamo, lui era un ribaldo ma incapace di prepotenze o violenze. Anzi, temendo e ripugnandogli la violenza, diveniva facile preda di gentaglia senza scrupoli.

A Singapore, alcuni tentarono la fuga dalla nave, ma catturati dagli inglesi furono riconsegnati ai carcerieri. In caso d’evasione, funzionava l’intesa reciproca tra le due potenze coloniali inglese e francese: i fuggiaschi venivano catturati e riconsegnati al legittimo detentore senza scampo e nel minor tempo possibile. Tuttavia la piccola scorta di carcerieri francesi era troppo invitante affinché i galeotti non tramassero altre fughe. Un’altra fu programmata al porto di Suez. Anche se per cautela la nave stazionò lontano dalla terra ferma, i galeotti attuarono una clamorosa ribellione in un gran parapiglia – con otto morti – disarmati i carcerieri alcuni galeotti si gettarono a nuoto. Finché non intervennero le guardie egiziane che sequestrarono le armi dei carceri francesi, giustificandosi: “Qui siete nel nostro territorio e armati siamo solo noi! Vi ridaremo le armi, passato il canale di Suez!” Agostino, troppo distante dalla terraferma, preferì non gettarsi in acqua, conscio delle sue scarse capacità natatorie. Tuttavia rifletté sull’importante novità: le guardie francesi erano disarmate. Perciò sarebbe stato impossibile ricevere una scarica di pallottole in caso di fuga durante la traversata del canale, in cui le bracciate per giungere a riva erano alla sua portata. Agostino, rotto l’oblò, si gettò in acqua arrabattandosi alla bene meglio a nuoto, fino a giungere a riva lordo di petrolio e delle acque di scarico delle navi in transito. Incamminatosi lungo l’argine, sul versante israeliano, il più pericoloso perché ancora minato, fu sorpreso da una motovedetta inglese che gli intimò di fermarsi: in inglese, francese, arabo, italiano… ma lui faceva finta di non capire. Finché gli gracchiarono dall’altoparlante: “Fermati o ti spariamo!” Caricato sulla motovedetta, fu portato a un centro di accoglienza e identificazione, per 10-15 giorni. In luogo confortevole: una tranquilla villetta con pochi ospiti, retta da un pacioso ras dal fez in testa. Un clima giusto anche per scattare foto-ricordo. Nel frattempo si risolse la diatriba tra ambasciatori, francese e italiano, che si contesero l’autorità su Agostino.

Rispedito finalmente in Italia, finì in carcere militare per renitenza alla leva… ovvio a quella italiana. Meglio, comunque, dei dieci anni in carcere alla Santé.

Tornato libero cittadino, riprese a praticare mille mestieri. Compreso il venditore ambulante. Vedendo un amico, ambulante come lui, che vendeva materassi caricati sul portabagagli, volle informarsi bene se fosse un commercio interessante. “Ci guadagno 3-4 mila lire al giorno”, era l’anno 1966, quel guadagno non era poco.

Agostino ottenne dalla mamma il prestito di 124 mila lire – anche lei venditrice ambulante, proprietaria d’un furgone 138 Fiat. A Napoli, da un grossista, riempì il furgone di 120 mila lire di materassi, dei quali non sapeva né il costo, né conosceva la tecnica per venderli. Cominciò andando in giro, coi materassi caricati sul portabagagli di una Fiat 1100, insieme al venditore napoletano Scapicciobello, che strillava nel megafono: “Accattatevi o materazzo, o pagliaraccio!…” ma non funzionava.  Scelse la compagnia nuova d’un amico stracciarolo, Coccoricò, uno che sapeva vendere: conosceva persone, borgate, …con lui piazzarono numerosi  materassi. Allargando sempre più il giro di vendite, giunse a Centoia – dove organizzò un magazzino di stoccaggio – quando già aveva una decina di “vagabondi”  avviati da Agostino al commercio di materassi.  Complice Giocondo, conobbe sua moglie, la signora Mariotti, d’origini contadine, umbra che prese Agostino anche per la gola… durante la nostra chiacchierata, profumi antichi d’arrosto alla contadina ci stavano raggiungendo dalla cucina.

Così, tra quegli invidiabili aromi casarecci, ho raccolto la sintesi della vita d’un imprenditore cortonese che già confida sulla collaborazione dei figli. La ditta ha mantenuto nella capitale  un negozio piccolo ma ben messo e frequentato, gestito da sua figlia Nadia con vendita diretta, mentre il figlio Vincenzo è rimasto nella sede di Cortona. I materassi seguitano ad essere un bene continuamente richiesto, anche, se abbandonate le molle, oggi, la gente vuole il Memory. Più confortevole, igienico, non traspira umidità, e non si deforma. Parola di Agostino Raffaelli.

 

 

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