TITO BARBINI,nell’autobiografia da comunista a post, auspica nuove strade per sé e il suo partito, il PD

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Nelle trecento avvincenti pagine autobiografiche di “Quell’idea che ci era sembrata così bella”, Tito argomenta l’orgoglio di appartenere a una generazione tanto impegnata d’aver esordito definendosi (se pure nell’improntitudine giovanile): “rivoluzionario di professione!”. La sua storia, a uno sguardo superficiale, potrebbe dirsi condivisa da strette elites dirigenziali del PCI, di cui è stato parte – frequentando scuole di partito e coprendo ruoli politici e amministrativi apicali: provinciali, regionali, nazionali – invece – da indagatore innanzi tutto di sé stesso sulla girandola di incarichi ricoperti, e sugli eventi che hanno caratterizzato il lungo periodo trascorso – ricostruisce un’avventura in cui migliaia di (ex) comunisti italiani potrebbero in larga parte riconoscersi. (Quanto avviene durante le numerose presentazioni del libro: occasioni di autoanalisi collettiva). Disilluso dall’ideologia comunista, soprattutto nell’attuazione pratica, alla ricerca di nuovi percorsi politici, Tito rifiuta l’abiura, rifacendosi anche allo scritto di Lucio Magri: “Il sarto di Ulm”, che ricorda la storia d’un tizio che nel ‘500 volle dimostrare d’esser capace di volare, schiantandosi a terra. Ma, a distanza di tempo, l’uomo vola facilmente… come potrebbe accadere di tornare utili a rinnovate idee comuniste.
La solida “fede” politica, impressagli dal padre e dal norcino Spinaldo, tradotta in adesione prima all’organizzazione giovanile, poi al PCI – raccontata nelle prime righe del libro – fecero di lui un politico professionale simile a una locomotiva. Nel senso che Tito contava su “ ‘una strada segnata’, su un futuro ragionevolmente sicuro”; finché non s’è tramutato nel bufalo che scarta di lato – come nella canzone “Buffalo Bill” di Francesco De Gregori. Strada segnata, ma interrotta volontariamente per gravi divergenze, nel 2003, con la dirigenza cittadina del partito, ad Arezzo. (Ricordiamo le metamorfosi del suo partito: da PCI a PDS, DS, PD). Dopo lo scarto di lato, ha continuato a viaggiare, leggere, interrogarsi su quanto era capitato a lui e al partito, pur smesse le vesti dirigenziali, avendo più tempo disponibile senza ansie performative. Fin’allora la “locomotiva” Tito aveva corso senza risparmio di energie; ambizioso, dinamico, intelligente in ogni ruolo ricoperto: dirigente giovanile, segretario cittadino e provinciale del PCI, sindaco di Cortona, presidente della Provincia e della USL, assessore regionale…Già durante la corsa s’era posto interrogativi sul comunismo realizzato, e sulla compatibilità tra ideologia e sistema democratico pluralista, e su come continuare l’infinita battaglia, intrapresa fin da ragazzo, per una giustizia sociale coniugata alla libertà … Interrogativi ingigantiti dalla caduta del Muro di Berlino. A cui dedicò un libro di viaggi e riflessioni: “Caduti dal Muro” che, già nel titolo tragicomico, tradisce i tormenti dello scrittore, fino a sentirsi in colpa per non aver compreso prima i risvolti drammatici del “socialismo reale” nei paesi dell’Est europeo – pur avendoli frequentai – e finanche in Cina e Cambogia. Tanto che sovrapponendo la lettura dei due libri citati, notiamo il ripetersi ossessivo degli stessi interrogativi: in cui si rimprovera avvedutezza tardiva, aggiungendo altri dilemmi politici che lo tormentano… Mosso da tanto auto accanimento, provo a consolarlo: anche fosse stato più tempestivo nell’acquisire consapevolezza, cosa avrebbe potuto fare? Gran parte della storia è fuori dalla portata individuale. E poi, forse che avresti negato al giovane Tito incontri amorosi con splendide ragazze dell’Est?!… Cose che non si scrivono in autobiografie politiche, ma tali pensieri umani potrebbero esser stati loro a distoglierlo dalla realtà, passando il checkpoint Charlie… mi permetto questa facezia per la nostra lunga amicizia da porcospini (quelli di Carlo Verdone: né troppo vicini né troppo lontani, per non pungersi). Mentre ricorda con nostalgia l’esperienza formativa e gratificante da sindaco di Cortona, carica in cui ebbi il piacere di subentrargli come in una staffetta.
Ricordo la basilare riunione da lui indetta: tra Giunta comunale uscente e quella entrante da me diretta. Bastò poco tempo per trasmetterci idee e illustrarci i progetti utili al futuro di Cortona. Tito lasciò anche un bel debito – di cui si ricorda nel libro – frutto d’una svolta nella politica comunale: mense e trasporti scolatici gratuiti, welfare che seguitammo, ripianando i debiti ed avendo la fortuna di tramutare i suoi e i nostri progetti da libro dei sogni in realtà. In cinque anni, da successori di Tito, realizzammo progetti e ottenemmo finanziamenti in tal quantità e qualità mai più ripetute. (Edilizia popolare pure in Cortona, allestimento del PIP al Vallone, potenziamento dell’acquedotto comunale, metanizzazione, piscina coperta, ponte sull’Esse, centro convegni S. Agostino, nuove aree di espansione edilizia in molte frazioni, PIP d’iniziativa privata a Terontola, depuratore, nuovi impianti sportivi … per ora , basta). Tanto che qualche compagno cortonese ha rimproverato Tito, politico di rilievo provinciale, di non aver spinto la successiva dirigenza cortonese, ambiziosa ma di scarso costrutto.
Anche Tito era ambizioso, ego evoluto in forte passione, consentendogli una carriera politica rilevante, all’altezza degli incarichi ricoperti, con frutti riconosciuti validi nel tempo, menzionati nel libro. Quell’amor proprio – gli ho detto scherzando -, rispettoso di regole pubbliche e di partito, gli ha consentito di navigare a lungo senza incappare in vizi aborriti: corruzione e opacità del potere, che, coniugati alla scarsa partecipazione alla gestione della cosa pubblica, han portato i cittadini al distacco dalla politica; senza più “quell’idea che ci era sembrata bella” s’è pure ingigantita nel tempo la questione morale denunciata da Enrico Berlinguer e Sandro Pertini, principio a cui siamo ancorati, insieme a Tito. Che chiude il libro a Cortona, dove, a mo di metafora politica, si domanda: cosa o chi potrebbe essere il Godot da attendere? insoddisfatto della direzione e delle condizioni in cui versa il suo partito, il PD. Il quale, trascurando “idee di sinistra”, di cui son portatori individui alla Barbini, sta scavando un fosso tra i problemi reali del paese e le “riforme” di cui si vanta: sul lavoro, sulla Costituzione, sulle regole della democrazia… ma questo è un altro discorso, che trova spazio nel libro d’un Tito amareggiato e poco ottimista.
                                                                                                                                    www.ferrucciofabilli.it

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