Storia aretina delle migrazioni dal dopoguerra (1950-2006)

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Sui movimenti della popolazione aretina, dal 1950 a fine Novecento, ho trovato interessante alcuni dati estratti da due studi: Somea del 1970 e Ufficio Statistica della Provincia del 2006.
L’uso della storia a scopo politico può degenerare se strumentalizzata, mentre ricordare certi processi aiuta a elevare il livello della discussione, in questo caso sulle migrazioni. Nelle quali prevalgono, su ogni altra causa, motivi economici: speranze e illusioni di migliorare condizioni di vita. E, in previsione di flussi consistenti, ogni Stato adotta strategie di accoglienza o respingimento nel tentativo di mantenere il sistema in equilibrio: combinando le esigenze dei migranti con quelle dello Stato ospitante. Un esame severo sulla tenuta del sistema, l’Italia l’ebbe dopo il 1990, alla dissoluzione del blocco sovietico e all’arrivo massiccio di migranti dai paesi dell’Est Europa. Salvo inquietudini momentanee, suscitate da navi stracolme di albanesi, quel flusso, al 2006, era stato già metabolizzato in provincia di Arezzo. Giunto a compensare la bassa natalità italiana, e a sopperire a lavori disagiati: braccianti, badanti, muratori, panettieri, ecc.. Anche negli attuali flussi migratori, dall’Africa equatoriale, sembrano prevalere motivi economici. Ma sarebbe irresponsabile non interrogarsi sulle specificità del fenomeno. Pur sorvolando su certi temi reali (migrazione o invasione?… doppi pesi nell’uso di risorse pubbliche: tra le esigenze di italiani indigenti e le risorse destinate ai migranti, …) l’argomento che unifica gli italiani è la critica al sistema di accoglienza come è venuto a crearsi in Italia unico terminale degli sbarchi dall’Africa, e l’impossibilità di spalmare sul resto d’Europa un flusso inarrestabile, superiore alle capacità di assorbimento, per cui è facile prevedere conseguenze funeste. In tutt’altra maniera, in passato, erano fluiti i migranti anche ad Arezzo, nel momento in cui determinante fu il sacrificio e l’impegno all’adattamento da parte dei migranti e, da parte dei residenti, tolleranza e messa alla prova dei nuovi arrivati, che ben inseriti, in gran maggioranza, hanno arricchito il nuovo contesto.

Nel 2006, la Provincia di Arezzo (Nibi, Chianucci, Giusti) rifletteva sui movimenti migratori verificatisi soprattutto dagli anni Novanta. “La trasformazione in senso multiculturale e plurilingue del territorio provinciale è messa in particolare evidenza dal numero di cittadinanze estere presenti, pari a 127 (nel mondo, secondo l’ISTAT, sono 194 le cittadinanze estere). Lo Stato estero numericamente più rappresentato è la Romania con il 26,5% sul totale della popolazione immigrata provinciale. Segue l’Albania, con il 19,3% e, con numeri e percentuali nettamente più basse, il Marocco (6,7%), il Bangladesh (5,3%), l’India (4,0%), la Polonia e il Pakistan”. La mutazione demografica, tutto sommato pacifica, era avviata negli anni ’50, con l’esodo contadino dalle montagne e dalle campagne per ragioni economiche verso le città e le aree industriali. La popolazione aretina nel 1951 di 329.665 residenti, al 31.12.1968 era di 306.387, con saldo negativo di -7,07%. Mentre nel capoluogo aumentava la popolazione del 27,6%, da 66.511 abitanti a 84.839, per il fenomeno endogeno degli esodi da zone agrarie montane a quelle collinari. I residenti montani dal 23,8% del 1951 si riducono al 18,1% del 31.12.1968, quelli in collina passano dal 76,2% del 1951 all’81,9% del 1968. Tra le aree più popolate risultano essere “le colline di Arezzo e del Valdarno, che rappresentano, rispettivamente, il 38,7% e il 26,4% dei residenti al 31.12.1968, con un incremento sensibile rispetto ai censimenti del 1951 e 1961. Tutte le altre aree presentano una diminuzione percentuale nei residenti nel periodo 1951-1968” (Somea, 1970). L’aumento notevole dei residenti nelle Colline di Arezzo e del Valdarno, è dovuto ad incrementi nelle città di Arezzo, Montevarchi e S. Giovanni Valdarno. Lo stesso accentramento urbano avviene in Casentino, verso Bibbiena, e in Valtiberina verso S. Sepolcro. Cortona, per particolari caratteristiche orografiche – collocata in collina tra i 450 e i 600 metri s.l.m. -, diminuisce gli abitanti nel capoluogo e nell’intero territorio, offrendo scarse alternative ai lavoratori agricoli in altri settori. Solo negli anni ’70 si insedierà uno stabilimento industriale (Lebole), il resto del settore secondario era caratterizzato da insediamenti artigianali con pochi addetti, per frazioni di prodotto industriale (fasonisti), o da lavori a domicilio, principalmente femminili. Pur essendo il secondo comune della provincia, dal 1951 al 31.12.1968, perde 8.346 abitanti, oltre il 26% della popolazione. E l’esodo non era ancora finito, parzialmente reintegrato da immigrati meridionali. Prevalgono nella provincia insediamenti frazionati, con oltre il 31,5% di abitanti in case sparse, contro la media regionale del 19,3%.
La popolazione della provincia di Arezzo, dopo la riduzione che ha caratterizzato gli anni ’60 e ’70, segna una netta ripresa negli ultimi trenta anni del Novecento, registrando una continua e graduale crescita. In particolare in Valdarno e nell’area Aretina il saldo è sempre rimasto positivo, mentre nelle altre tre zone il trend decrescente si è esaurito durante gli anni ’80 e solo dal 2000 in poi ha invertito il trend, soprattutto in Valdichiana. L’incremento è strettamente legato ad una crescente immigrazione che compensa più che abbondantemente il saldo naturale negativo anche nelle zone Casentino e Valtiberina che anche in anni recenti registravano saldi negativi. In Valdarno e nella zona Aretina, in particolare, si registra nell’anno 2006 un incremento del 7 per mille abitanti (comunque in calo rispetto ai valori degli anni precedenti), mentre nella zona Valdichiana la crescita è stata appena superiore al 5 per 1000.
Analizzando un arco temporale di oltre trenta anni (1972-2006), si evidenzia molto chiaramente che tali incrementi sono dovuti in modo consistente alla componente immigrata della popolazione, che ha contribuito anche alla ripresa della natalità nella nostra provincia.Se confrontiamo inoltre anno per anno il numero dei nuovi iscritti alle anagrafi comunali e lo scomponiamo per la componente proveniente da altri comuni italiani e da Paesi esteri, notiamo una continua crescita di tale componente della popolazione (nel 1990 si registrarono 6050 nuove iscrizioni, mentre dal 2002 in poi tale dato ha abbondantemente superato le 10.000 unità) e ultimamente un incremento di coloro (anche di cittadinanza straniera) che provengono da altri comuni italiani ”.

 
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