San Pietroburgo straordinaria finestra sulla Russia (note di viaggio)

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Le notti bianche, al loro apice intorno al 21 di giugno, sono un’attrazione intrigante per il noto fenomeno del giorno che non si fa mai notte. P_20160629_024122Dinanzi al Palazzo d’Inverno è allestita una macchina mastodontica per spettacoli musicali e giochi di luce fantastici, dando luogo in queste “notti” a interminabili feste nella piazza stracolma di gente. Sempre in questi giorni clou delle notti bianche, coincidendo con la fine dell’anno scolastico, viene allestito uno spettacolo poderoso sulla Neva, illuminata a giorno, dedicato ai giovani maturandi. Un veliero entra nella Neva a vele rosse spiegate. Si tratta di una specie di rito d’iniziazione per i giovani, derivato da una storia popolare, secondo la quale un giovane per convincere una ragazza ad amarlo dovette procurarsi un veliero armato con vele rosse. Difficili da procurarsi, in quanto le vele in passato erano tutte chiare. Ma l’innamorato vinse la sfida riuscendo a trovare quel che gli era stato chiesto. Perciò, alla rievocazione, oltre gli effetti spettacolari che richiamano ogni anno frotte di curiosi in riva al fiume, viene attribuita una morale: i giovani di fronte ad ogni difficile impresa fino all’inverosimile non devono mollare mai; con l’impegno, alla fine, la soluzione può arrivare.
Bene. Quest’anno siamo arrivati giusto in tempo per assistere a questi intriganti festeggiamenti. Però, con mia figlia, non abbiamo partecipato né allo spettacolo musicale, né all’arrivo della nave. La nostra guida locale, vedendo la fragilità del gruppo di due, ci ha dissuasi. Memore della sua esperienza. La folla in certi momenti si sposta con tale intensità che è in grado di travolgere la persona distratta o incapace di sostenere urti decisi. E così abbiamo privilegiato sfruttare le lunghe giornate per visitare la città in lungo e in largo. Durante la notte, invece, abbiamo approfittato della luce scendendo dall’albergo nell’adiacente piccolo parco a fumare, dopo aver assistito alle partite dell’Europeo di calcio…
Cosa m’ha spinto a San Pietroburgo?
Una sommatoria di curiosità cresciute nel tempo: visitare l’ErmitageP_20160623_111556; respirare le atmosfere letterarie di due tra gli scrittori che più amo, Alexander Puskin e Fëdor Dostoevskij (molti altri autori russi sono entrati in contatto con la città); passeggiare nel prodigio urbanistico ideato da Pietro Romanov sulla taiga, in isolette acquitrinose sul delta della Neva; partecipare allo spettacolo naturale – e a quelli inventati dall’uomo – in occasione delle notti bianche estive;…e, perché no? rivolgere uno sguardo riflessivo sulle tracce residue della rivoluzione Leniniana, nel luogo dell’insurrezione; coincidente col luogo natio di Putin, protagonista contemporaneo del riscatto russo. Temuto, nonché osteggiato dalle potenze atlantiche, fino a tensioni tali da spingere persone autorevoli a paventare un possibile conflitto nucleare…
Insomma, avevo uno zibaldone di curiosità nell’angolo dei desideri, finché sono entrato in comunione di intenti con Brunella, mia figlia, con la quale ogni anno ci regaliamo una gita in una città europea.P_20160624_131609
Avevo visitato Mosca l’odierna capitale, in anni successivi alla perestrojka, e m’ero fatto una idea sulla Russia, arricchita molto visitando San Pietroburgo, capitale della Russia dei Romanov. Città cresciuta a dismisura in soli tre secoli di vita, ma basterebbero le costruzioni dei primi due secoli per farne comunque una tra le città più affascinanti al mondo. Mutando, in questo breve – storicamente – lasso di tempo, ben tre denominazioni: sorta dal nulla ai primi del ‘700 come San Pietroburgo, rimase tale per due secoli; poi, agli inizi del XX secolo, divenne Pietrogrado in ossequio alla maniera tedesca di denominare le città, ma per pochi anni, a causa della guerra contro i tedeschi, nella prima guerra mondiale, e a causa della rivoluzione bolscevica del 1917, morto Lenin nel ’24, fu denominata Leningrado per circa un settantennio; finché, a fine ‘900, a seguito di referendum, fu ripristinato San Pietroburgo.
Così, in soli tre secoli di vita, ha vissuto una storia straordinaria a partire dal suo stesso nome. Basti solo ricordare il famoso libro I dieci giorni che sconvolsero il mondo di John Reed, ambientato sullo sfondo dell’allora Pietrogrado. Senza dimenticare le epiche imprese della marineria russa (col vessillo della croce di Sant’Andrea) fondata e con base a San Pietroburgo, capitale sfavillante della Russia zarista. Furono i bolscevichi a trasportare la capitale a Mosca. Con la conseguente marginalizzazione e decadenza di Leningrado.
Il primo contributo allo splendore della capitale baltica è giustamente attribuito al Romanov più famoso, Pietro I il Grande (per i risultati ottenuti da imperatore e per il suo gigantesco fisico). Pietro I scelse il nome del luogo – in cui fece costruire una cittadella fortificata sull’estuario del fiume Neva – dal suo protettore omonimo San Pietro (che, nella chiesa a lui dedicata nella piazzaforte, è associato a San Paolo).P_20160622_113940
Lo zar partendo da quest’isola strappata agli Svedesi – detta “delle lepri” uniche precedenti abitatrici – ne previde subito il futuro assetto urbanistico, disegnandone una trama urbana straordinaria per quei tempi, in cui le città europee erano caratterizzate da strette strade medievali. Organizzandola in perfette geometrie con ampi viali e riempita in pochi decenni di spettacolari architetture, nell’intento riuscito di realizzare un “paradiso” estetico, soprannominato anche la “Roma del Nord”.
Pietro il Grande riuscì ad eguagliare, e superare, il modello di città scelta, l’olandese Anversa. Disegno completato dai successori che si avvalsero di valenti architetti provenienti da tutta Europa, in un insieme armonioso di stili, principalmente il neoclassico e il barocco, in parte minore il liberty e il più recente stile bolscevico…
Piazze ed edifici per qualità, quantità, dimensioni, concentrazione in un’unica città, e i rapidi tempi di realizzazione, rappresentano un insieme fuori dal comune, già tra il Sette e l’Ottocento. Per avere una idea di ciò, basta passeggiare nella lunga prospettiva Nevskij che taglia in due una delle isole maggiori; visitare il Palazzo d’Inverno; l’Accademia della marina – edificio lungo oltre quattrocento metri –P_20160622_125532; teatri; università; palazzi nobiliari; ricche chiese per materiali e fogge; cittadelle religiose comprensive di cimiteri, come il complesso Alexandra Nevkogo – a un’estremità della prospettiva Nevskij – dove riposano i più noti artisti e scienziati dell’800 pietroburghese; i numerosi ponti mobili che, illuminati e rialzati di notte, sono uno spettacolo raro a vedersi; …
Un recente viaggiatore, Sergio Romano, sul Corriere della Sera ha apprezzato il rispetto della storia praticato in questa città: avendo mantenuto tutti i monumenti del passato. Nonostante le turbolenze politiche che ne hanno contraddistinto i tre secoli di storia: dalle lotte intestine per il potere; alla mancata invasione napoleonica fermata, dopo Borodino, dal “generale inverno”; alla rivolta decabrista; alla rivoluzione bolscevica; al lungo assedio tedesco nella seconda guerra mondiale; … la città conserva integra la sua architettura: edifici, piazze, monumenti,…. rispettati pure in epoca bolscevica – sopraggiunta anche come reazione agli eccessivi sfarzi cittadini a fronte delle misere condizioni del popolo – salvo la distruzione della cattedrale – come avvenne pure a Mosca, mentre lì è stata ricostruita, qui no, forse perché di chiese cattedrali grandi e belle ve ne sono una discreta quantità. Del periodo bolscevico sono rimaste al loro posto costruzioni tipiche: come il palazzo dei soviet (oggi destinato al governo della regione) carico di retorici rimandi, un’enorme statua di Lenin, e il monumento alla resistenza antinazista, collocati nel quartiere dove s’era sviluppata la Leningrado comunista – intorno alla stazione ferroviaria Moskovskaia – dalla architettura squadrata e “funzionale”. In quel periodo storico, le chiese furono mantenute e pure restaurate a partire dal secondo dopoguerra, salvo modificarne l’uso: in magazzini o musei antireligiosi… tornate oggi agli originari splendori, meta di attrazione turistica e luoghi di culto.

La religione cristiana ortodossa e i suoi santuari

Né l’illuminismo – giunto in Russia particolarmente pervasivo dopo il contatto con l’esercito napoleonico – né il comunismo sono riusciti a distruggere l’influenza della chiesa cristiana ortodossa nella coscienza popolare e nella vita pubblica. Tra Stato e Religione, ancor oggi, v’è un legame stretto, come agli albori di San Pietroburgo. D’altronde il primo Romanov al potere nel Seicento, nipote di Ivan il Terribile, era figlio del patriarca di Mosca Filarete… La Chiesa, tutt’uno col potere politico, n’ha tratto vantaggi leggibili visitando i numerosi monumenti religiosi: dal pregevole disegno architettonico in stile neoclassico o barocco, carichi di ori e preziosi arredi, con marmi a profusione provenienti dalle cave più pregiate d’Europa e d’Asia… nella stessa vistosa esibizione del lusso presente nei palazzi nobiliari. Saliti al potere i bolscevichi, la Chiesa ha subìto il tentativo di ridimensionamento se non di cancellazione.
Tuttavia, a partire dal secondo dopoguerra, il ruolo della chiesa ortodossa riprese campo – ho letto da qualche parte la reazione scandalizzata d’un viaggiatore in una chiesa di Mosca, avendo visto ancor oggi affisso un ritratto di Stalin tra le icone prossime all’altare! Lo stesso Stato comunista, come accennato, aveva già avviato ripristino e conservazione strutturale dell’edilizia religiosa. I cui modelli, a San Pietroburgo, sono in parte tipici della tradizione Russa, e in parte di ispirazione o imitazione di chiese europee, rappresentando, oggi, luoghi di maggiore attrazione turistica. Di fronte ai quali, un laico è combattuto tra il godimento estetico e l’interrogativo che ci si pone davanti ad ogni sfarzo esagerato: quanto di questa ricchezza abbia sottratto benessere ai poveri cristi che hanno versato i loro oboli, pur essendo in miseria? e quanti sacrifici umani – anche in termini di vite perse – sono costate? Dico ciò senza pregiudizio, avendo sentito il racconto dei “costi” dalla voce della guida locale, in visita alla cattedrale di Sant’Isacco, costruzione davvero faraonica.
Diversa è la sensazione visitando la chiesa eretta nel luogo in cui la zarina fu informata della vittoria Russa sui Turchia a Chesmea. Sito all’epoca sperduto nella taiga, oggi circondato dall’espansione urbana d’epoca bolscevica. Semplice costruzione a righe verticali bianche e rosate che, nello slancio verso l’alto, somiglia a un dolce di pan di zucchero. Un miraggio circondato da palazzi residenziali popolari novecenteschi. E, mi son pure detto, che stesse cercando la zarina in quel luogo sperduto? Forse era a caccia?…
A poca distanza l’una dall’altra – lungo il canale Griboedov che interseca la prospettiva Nevskij – troviamo altre due chiese in cui si riversano frotte di turisti: la cattedrale della Madonna di Kazan (costruita per conservare un’icona mariana ritenuta miracolosa e per celebrare la vittoria su Napoleone con le statue bronzee di due generali),P_20160623_140041 volutamente, appare come miniatura della chiesa vaticana di San Pietro; mentre la chiesa della “Salvazione sul Sangue versato” è la tipica costruzione barocca Russa coi sui cipolloni multiformi e colorati, simili al San Basilio nella Piazza Rossa di MoscaP_20160623_134507. La chiesa, nel nome stesso, ricorda il luogo in cui fu assassinato lo zar Alessandro II nel marzo del 1881, per mano di un terrorista appartenente alla organizzazione “Volontà del popolo”. D’altronde la storia degli zar, nel periodo sanpietroburghese, è costellata da morti cruente, anche per mani sovversive, o avvelenamenti a causa di congiure di palazzo. La cui narrazione s’inserisce perfettamente non solo nella logica del potere d’ogni tempo e d’ogni luogo, ma si carica di specifica drammaticità nella città del Dostoevskij di “Delitto e castigo”. Così come, parlando di edilizia nobiliare, la storia dell’Ermitage rimanda alla passione della corte imperiale per i piaceri dell’arte e della lussuria, in questo caso d’una zarina, che volle costruirsi un romitorio dove intessere le sue numerose passioni carnali lontana dagli sguardi del popolo – da qui il nome Ermitage, sembra avesse una trentina di giovani amanti! – e passioni artistiche, avendo acquisito una ricca collezione d’arte da un mercante che la cedette allo Stato in sconto tributi. E’ evidente, qui, il racconto d’una città invasa da mercanti e avventurieri, persone anche colte, vittime di costose passioni, come il gioco o il corteggiamento femminile in grado di determinare la rovina d’un uomo…
Tornando alle due chiese, sul canale Griboedov, tra di esse, incontriamo un’insolita costruzione in vetro e metallo stile liberty, il palazzo Singer.P_20160623_140101 Fatto costruire dall’industriale americano produttore delle omonime macchine da cucire Singer, appunto. Oggi sede della più importante libreria cittadina. Sta a significare come la città racconti la sua storia attraverso gli edifici: in mezzo alle due chiese che rappresentano lo splendore e le tragedie della famiglia imperiale, troviamo anch’essa nella mole imponente – culminante in una specie di enorme ditale metallico rovesciato – il nuovo che avanzava, il capitalismo, basato sull’espansione di produzioni seriali di beni d’uso e consumo.

L’identità culturale e politica russa è anche europea?

Certamente sì. Oggetto ricorrente di discussione nella stessa Russia, fin dall’Ottocento, protagonisti intellettuali e uomini politici.
In un libro recente, Vladimir Sorokin allude a La tormenta – Bompiani editore – come “allegoria di una Russia davvero eterna, dove lo spazio è incommensurabile, tale da annullare la volontà degli umani; e in cui i rapporti tra le persone sono improntati alla relazione servo-padrone; anche quando il padrone è un illuminato idealista che vorrebbe salvare l’umanità. Sorokin stesso è un avversario di Putin, un uomo cresciuto nell’ambiente del dissenso degli anni Ottanta” (scrive Wlodek Goldkorn, ne La Repubblica). L’allegoria della tormenta – condivisibile o meno – focalizza un tema centrale riferito a quell’immenso paese. Volutamente ho citato lo scrittore contemporaneo, tra i più pessimisti sul rapporto tra l’uomo russo e il potere, tanto duro – sempre citando il critico letterario Goldkorn ch’ha recensito La tormenta – che “oltrepassa il sociale e approda a una visione apocalittica, senza possibilità di redenzione, dove il Male prevale sempre”, come condizione costante nel tempo, tantoché il cammino raccontato nel libro è verso la catastrofe, lasciando incerta l’ambientazione temporale tra elementi dell’Ottocento e la visione di un futuro di regressione tecnologica.
Ripeto, non sto sposando questa tesi, ma è uno spunto per chi volesse capir meglio l’intreccio russo tra popolo, politici e intellettuali; che a Sorokin, da duecento anni a questa parte, pare immutato: “L’intelligenza russa contemporanea imita quella dell’Ottocento, con la sua fede nell’istruzione del popolo e in un futuro luminoso, anche se nella Russia post sovietica non esiste più il popolo, ma solo una popolazione. E per quanto riguarda l’avvenire luminoso, abbiamo problemi grandissimi” arrivando alla sua conclusione: “Credo nella democrazia in generale, ma, ahimè, non credo in una democrazia russa”.
Affermazione che echeggia la stampa occidentale e in particolare i pregiudizi anglosassoni: “La Russia aggressiva, l’assolutismo di una ‘democrazia controllata’, il riarmo poderoso, un leader che viene dal Kgb, il ritorno all’espansionismo imperiale” così riassunti da Gennaro Sangiuliano in un articolo su Il Sole 24 Ore, recensendo il saggio Russofobia. Mille anni di diffidenza – Teti editore – del giornalista e storico svizzero Guy Mettan.
A questo autore, secondo me, va il merito d’aver indagato sul perché oggi la Russia sia ritenuta un “mix pericoloso”, dei “semieuropei che per un verso o per l’altro appartengono al mondo dell’alterità rispetto all’Europa”, come scrive Cardini nella prefazione al libro. Eppure, un sicuro statista come De Gaulle diceva: “L’Europa va dall’Atlantico agli Urali”. Non dimentichiamo che quella russa è la cultura che ha generato una delle più straordinarie letterature al mondo, capace delle profondità di pensiero di Dostoevskij, Cechov, Tolstoj, Gogol, una cultura fertile in ambito scientifico con grandi fisici e matematici, e grandi sensibilità musicali.
Non solo, lo stesso Alexandr Solzenicyn, ringraziò l’America per avergli offerto asilo e protezione, ma chiarì che la Russia che usciva dalle macerie del comunismo non sarebbe mai potuta diventare una democrazia di tipo occidentale, ma che le soluzioni del dopo Urss andavano trovate nel solco della tradizione del suo grande paese, a partire dal millenario spirito religioso ortodosso. “Infatti – chiosa ancora l’articolista Sangiuliano -, l’esperimento della stagione eltsiniana di trasformare la Russia in una sorta di nuova America finì nel disastro sociale e soprattutto nel saccheggio mafioso delle risorse energetiche”.
“La società occidentale quando la si mette sotto accusa”, scrive ancora Solzenicyn, “essa è univocamente improntata a un rigido sistema di idee convenzionali”. Più che un buffetto mi pare uno schiaffo alla sicumera di tanti mass media che presuppongono la superiorità del sistema democratico occidentale su altre forme di organizzazione politica. Stessa parzialità la troviamo in Occidente a proposito dei giudizi dati sull’intervento russo in Cecenia, ora chi i Ceceni si sono dimostrati i più feroci tagliagole operanti in Siria e in Iraq, in molti oggi riconoscono che Putin ha evitato l’insorgere d’un pericoloso califfato nel Caucaso. Allo stesso modo, va riconsiderata la posizione di Putin che, nel 2003, non volle aderire all’operazione per spodestare Saddam Hussein, giudicandola avventata. Così abbiamo urlato per la distruzione di Palmira, ma poi è toccato ai russi liberarla, come già fecero con il grande tributo di sangue nella lotta al nazismo. Son sempre considerazioni di Gennaro Sangiuliano a proposito del libro dello svizzero Guy Mettan. Il quale,  sul referendum in Crimea, scrive: “il fatto che il 95% degli abitanti si sia pronunciato a favore dell’Unione con la Russia non ha avuto alcuna importanza”. I politici occidentali, insomma, stentano a capire che la vecchia dicotomia Est Ovest non esiste più, mentre la vera sfida per la libertà non viene da Est ma forse da Sud.
Il mondo anglosassone è convinto che il perfezionamento dell’umanità debba coincidere con la sua nozione di società, che negli ultimi decenni presenta criticità enormi, con uno svuotamento di valori e l’esaltazione degli eccessi finanziari a danno della produzione dei beni. La Russia ha peculiarità storiche che si perdono nei secoli, a cominciare dalle sue dimensioni, e da ciò bisogna far partire ogni discorso, cercando di capire.
Tornando alla gita a San Pietroburgo, voglio accennare a due personaggi la cui memoria ho incontrato sulle sue strade: Puskin scrittore tra i miei preferiti e Kropotkin del cui pensiero anarchico m’ero innamorato in letture giovanili, oltre che della sua frase famosa a proposito di come deve essere consumato il caffè: “caldo come l’inferno e dolce come l’amore”.
Dostoevskij, in un discorso del 1880, cita Puskin nell’analisi del rapporto tra élite oligarchica e popolo, con quest’ultimo che identifica quello che chiama ceto dell’intelligencjia, che “crede di stare di gran lunga al di sopra del popolo”, responsabile di aver alimentato una “società sradicata, senza terreno” e ne censura il comportamento “svincolato dalla terra del nostro popolo”, affermazioni che, oltre ad essere di stringente attualità, nella difesa di alcuni valori, fa della Russia, con la sua cultura, non solo parte integrante dell’Europa, ma ne rappresenta meglio le radici. Scrive l’autore di Russofobia: “Senza Bisanzio non ci sarebbe stato nessun rinascimento italiano; ma senza Bisanzio e senza la Russia non ci sarebbero state né l’Europa cristiana né la civiltà europea”.
A proposito di Kropotkin, ciabattando per San Pietroburgo, mi sono meravigliato d’aver trovato una via dedicata all’illustre filosofo anarchico, considerando le divergenze tra il suo pensiero e quello marxista che ha caratterizzato la politica russa del Novecento, divergenze sfociate non di rado in veri e propri scontri fisici tra comunisti ed anarchici. Evidentemente, in questa città, si è guardato al contributo politico e filosofico d’un figlio della madre Russia. Sul quale non voglio dilungarmi, tradendo le mie simpatie, ma invito i più curiosi a ricercarne la profondità di pensiero anche solo cliccando il suo nome su internet.

Mi aggiungo alla schiera degli ammiratori di San Pietroburgo

Sia attraverso le sommarie immagini postate su Facebook sia di ritorno a casa, ho incontrato tanti amici anch’essi visitatori entusiasti di questa città. M’è venuto da pensare che il visitatore italiano di San Pietroburgo si lasci andare più volentieri nel raccontare la sua esperienza di viaggio con chi c’è già stato, come fosse una sorta di segreto da conservare con pudore, o, forse, come scappatoia da eventuali discussioni con gente inesperta di questa città, onde evitare la fatica di riferire le impressioni ricevute (non certo semplici da sintetizzare), oppure non volendo perdersi in giustificazioni sul perché e percome uno abbia scelto questa meta.
Superato il primo impatto di mia figlia con questa città, pessimista di trascorrervi una bella vacanza se non altro per le indicazioni stradali scritte in cirillico, il soggiorno, invece, oltre che piacevole s’è rivelato facile.
Come nella metropolitana anche nelle targhette stradali, sotto i nomi in cirillico c’è la versione scritta in caratteri latini, perciò ogni itinerario è fattibile dal centro alla periferia, in ogni ora del giorno, agevolata da una fitta rete di trasporti, oltretutto poco costosa. Come non mancano servizi al turista d’ogni tipo, dalle guide parlanti italiano, ai bancomat, al cibo somministrato nelle versioni culinarie più diverse, da quella locale, alla cucina internazionale, alle etniche… Con qualche titubanza a farlo, per le frequenti delusioni incontrate girando il mondo, se non nella qualità del cibo spesso nei prezzi esosi, ho frequentato il ristorante Mama Roma di  gestione italiana, con grande piacere. Di buon gusto sia nell’arredamento, nell’allestimento dei tavoli e con il menù ben eseguito adatto a un pubblico eterogeneo. Anche in questo San Pietroburgo si rivela una città internazionale. In grado di soddisfare infinite curiosità, specialmente nel periodo delle notti bianche, in cui allo spettacolo naturale si aggiungono eventi che si adattano ad ogni gusto…e il clima non è male, come sarebbe da temere a quelle latitudini nordiche. Penso che, nel tempo, questa città guadagnerà sempre più ammiratori che la troveranno accogliente, bella e duratura, non a caso la pietra su cui poggia è il granito.
Gli isolotti su cui è nata San Pietroburgo, detta anche “Venezia del nord”, P_20160623_122711avevano la stessa fragile consistenza della più famosa città lagunare. Perciò si rese necessario, specie nei perimetri spondali, usare le stesse tecniche di infissione dei pali alle fondamenta degli edifici, dal momento che la loro struttura era quasi sempre poderosa. Ma ben presto ci si rese conto che era necessario rafforzarne anche i margini, e, quand’era necessario, pure rialzali col granito per impedire l’esondazione del corso della Neva e delle sue diramazioni. Il granito, tra le pietre più resistenti all’erosione del tempo e degli agenti atmosferici, è usato anche nei colonnati, nei monumenti, compresi quelli funebri,… insieme ad altre pregiate pietre dure disseminate nei palazzi nelle chiese e negli spazi urbani, che la impreziosiscono e, al tempo stesso, la rendono stabile.

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