Priamo Bigiandi, minatore e deputato, storia irripetibile del Novecento, di Giorgio Sacchetti

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copertina Vite di partito

Per i curiosi di storia aretina – nel breve spazio di tempo l’uno dall’altro, nella sala provinciale dei Grandi concessa dal presidente Roberto Vasai – sono stati presentati due libri sul disciolto PCI tra loro collegati: l’autobiografia politica di Tito Barbini, e Vite di Partito – Traiettorie esistenziali nel PCI togliattiano – Primo Bigiandi (1900-1961) di Giorgio Sacchetti, Edizioni Scientifiche Italiane. A prescindere dalla volontà degli autori, sono molti i legami tra i due libri, pure scritti con finalità e in tempi diversi. Innanzi tutto nella sequenza temporale. Quest’ultimo saggio, scritto da uno storico estraneo alla vita di quel partito, racconta le vicende del minatore-deputato Priamo Bigiandi dagli anni Venti al PCI togliattiano, mentre l’autobiografia di Barbini chiude il cerchio sui comunisti aretini nel periodo berlingueriano. Inoltre, le storie, collocate in periodi diversi, rivelano una serie di continuità ideali insieme ai criteri selettivi per i dirigenti politici e per gli eletti a cariche pubbliche.
Priamo Bigiandi entra nell’agone politico da giovane minatore, partecipando a lotte sindacali in difesa dei lavoratori e a vicende antifasciste negli anni Venti, a Cavriglia. (Centro minerario valdarnese, riferimento dell’antifascismo aretino insieme a Renzino, per gli scontri violenti fisici e ideali di cui furono teatro, e i conseguenti riflessi sull’immaginario collettivo associato ai due paesi). In un crescendo di esperienze, compreso il carcere, Bigiandi diviene leader nel centro minerario di lotte sindacali e nella resistenza al regime; finita la guerra, si prodiga nella ricostruzione democratica degli enti locali (da sindaco di Cavriglia e amministratore provinciale) fino a giungere al parlamento. Parlamentare formatosi “all’università” della miniera, del carcere e dell’attivismo sindacale e politico. Un “sovversivo” che con le sue idee e le sue battaglie raggiunge apici istituzionali.
Nell’enunciare i capitoli del libro, Sacchetti scandisce le tappe di una vita per alcuni versi singolare, ma, per altri, comune a generazioni di militanti politici del tempo. La sovversione sociale come scuola di vita; Per Stalin e per la democrazia: la ricostruzione dal basso; Nel nome della classe operaia: dalla parte dei minatori; Deputati di Togliatti: il partito-apparato nella guerra fredda; Ideologia del progresso e questione mineraria; Federazioni di provincia: un partito-sagrestia.
Il taglio storico – nel ricostruire fatti e personaggi – inserisce la vicenda provinciale nel più vasto contesto nazionale. Senza trascurare i caratteri emotivi propri di un Priamo combattivo fino alla fine dei suoi giorni, che ritenne la ragione di partito insopportabile ingiusta e irrispettosa verso la sua persona. Come ha testimoniato la figlia Alba – durante la presentazione del libro -: il babbo non soffrì tanto lo sgarbo di non essere rieletto deputato, quanto la freddezza e l’indifferenza personale e collettiva degli uomini di partito nel non ricandidarlo. Come si sa, la scelta o meno di ricandidare al parlamento non era sancita da regole certe, se non che per alcuni non c’erano impedimenti a rinnovarne la candidatura più e più volte, mentre per altri vigeva il limite dei due mandati. Evidentemente, valutazioni di merito o demerito erano piuttosto aleatorie. Cosicché le carriere erano la risultante di ambizioni personali, capacità di stare nell’agone politico e di aggregare consensi, partendo dalla più sperduta sezione fino ai massimi vertici di partito. Un’alchimia persino difficile da raccontare, ma, grosso modo, era questa.
Come spettatore – alla presentazione dei libri di Barbini e Sacchetti – ho notato il diverso spirito nei partecipanti. Nel caso di Barbini, gran parte dell’uditorio condivideva ansiosamente lo stesso spaesamento politico seguito alla trasformazione del PCI in altri soggetti politici. Fino a giungere alla radicale diluizione dei principi basilari di quel “vecchio” partito. Se non addirittura al disconoscimento di ogni eredità politica ascrivibile all’area comunista – pur confluita in massa nel nuovo soggetto partitico – all’interno del PD. Partito erede anche del PCI, almeno in linea evolutiva e nell’immaginario collettivo, in quanto il PD è l’esito della “fusione a freddo” tra componenti politiche diverse.
Ma tornando ai sentimenti scaturiti alla presentazione e l’interesse suscitato all’uscita del libro hanno sorpreso l’autore stesso, Tito Barbini, che l’aveva stimato più che altro espressione d’un bisogno intimo di fare il punto su esperienze vissute, sottovalutandone l’impatto pubblico. Anche se conclude il libro con un interrogativo non solo suo: quanto e cosa si potrebbe/dovrebbe preservare della esperienza politica sua, e di quanti l’avevano preceduto in battaglie simili di emancipazione popolare e di giustizia sociale? Quesito presente nella coscienza di milioni di italiani di “sinistra”, che stentano a ritrovarsi non solo in una classe politica squalificata ma anche nella generalizzata tendenza all’ammucchiarsi al centro politico.
Mentre alla presentazione del libro di Sacchetti – anch’esso impregnato di conflitti a favore di quelle che un tempo si definivano classi subalterne in nome di principi perenni: egualitari e libertari – l’interesse del pubblico si è incentrato sulla presa d’atto di vicende storiche concluse insieme alla condivisione, tra autore e presenti, del resoconto su dinamiche interne al PCI nei rapporti personali e sui metodi organizzativi invalsi, ivi compresa la progressione o l’interruzione delle “carriere”. (Aspetti ricostruiti da Sacchetti in modo convincente, per l’approccio da storico estraneo, non certo indifferente, alle vicende narrate). Stesse fredde e imponderabili dinamiche selettive nelle loro molteplici varianti, applicate, credo, nella maggior parte dei partiti di massa italiani nel periodo post-bellico. E, sempre a mio avviso, criteri perduranti fino alle più recenti relazioni intrapartitiche – caratterizzate da vincoli di subalternità degli eletti ai leaders – dovute al fenomeno dei nominati, frutto di leggi elettorali ritenute illegittime dalla stessa Corte costituzionale.

www.ferrucciofabilli.it

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