Più indizi fanno una prova: la Fornero miete vittime anche tra le nostre amicizie

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Ho molti amici e sapere, sempre più spesso, che questo o quel coetaneo se n’è andato è naturale. Infatti, secondo le statistiche OMS, la forchetta d’età tra i 55 e 65 anni è definita la “campana della morte”. Cioè, in quel range, si muore non in progressione geometrica ma con un’impennata statistica (la “campana della morte”, appunto), che dopo i 65 anni torna a progredire linearmente come prima dei 55. Però se, nel giro di pochi mesi, muoiono due coetanei, Angiolo Fanicchi e Giorgio Forchetti, sei costretto a riflettere. I due in comune avevano più cose: persone sobrie, competenti nel loro lavoro, sessantenni, di Terontola, pendolari, e un comune sentire: la rabbia (non trovo parola più adatta) di non poter ritirarsi dal lavoro pur essendosi fatti il mazzo per 40 anni. Persone comuni, non dedite a stravizi, praticavano sport: in bicicletta e sgambando. Certo, a pendolari che partono la mattina al buio e tornano a casa nel pomeriggio, tanto salutismo non è facile pretenderlo. Anzi, la combinazione tra pendolarismo, età avanzata e stanchezza – a mio avviso – hanno prodotto una miscela letale: la depressione! che spalanca le porte a ogni sorta di malattia.
Nei nostri fugaci incontri al bar della stazione a Terontola alle prime luci del giorno, senza nominarla, tornava in ballo quel cazzo di legge (Fornero) fatta a dispetto, dalla mattina alla sera, per aggiustare i conti pescando non sui privilegi di pochi ma sui diritti di molti, costringendo le persone a soffrire fino al punto di pregiudicare la propria salute e finanche la vita, com’è capitato ad Angiolo e Giorgio. Ossessionati com’erano dal vedere allontanarsi ogni giorno di più l’età libera, fino a disperare di arrivarci… E che la questione non sia di lana caprina, potersi ritirare dal lavoro a un’età avanzata, lo dimostra platealmente l’altro obbrobrio giuridico messo in campo: l’APE! In virtù del quale ci si potrebbe ritirare (ma ancora mancano i decreti attuativi!) a 63 anni dal lavoro, accendendo un mutuo a favore dell’INPS…
Insomma la questione “pensioni” si è molto ingarbugliata, prevedendo il fine lavoro a 67 anni, con poche eccezioni introdotte dall’APE per lavori usuranti o per genitori con figli portatori di gravi handicap.
La domanda sorge spontanea: non meriterebbe considerazione quale lavoro usurante qualsiasi altro non gratificante, ripetitivo, svolto da pendolari magari già in difetto di efficienza fisica, che si accresce intorno ai sessanta anni? O è giusto che il lavoro si trasformi in precoce agonia fino alla morte del lavoratore? Domande non peregrine. Anzi. La situazione minaccia di aggravarsi nel tempo. Allorché le classi di età più giovani, oggi al lavoro, saranno costrette a oltrepassare la soglia dei sessantasette anni a causa dell’allungamento dell’età pensionabile, e per colpa della riduzione graduale dei redditi da pensione.
Perché siamo in tale situazione? Per tenere in equilibrio i conti INPS. Ma non è stato il presidente INPS Boeri a dire che sarebbe indispensabile limitare pensioni a dir poco scandalose per tenere un equilibrio civile tra le massime e le minime?
Quella pensionistica è una riforma pretesa dall’Europa. Ma è vero o no che da quindici anni i tedeschi spingono gli altri a far riforme che loro non fanno? e che i loro pensionati hanno un sistema più giusto di quello italiano, sia in termini d’età pensionabile sia di reddito, distribuito con minori diseguaglianze?
Ecco che torna in ballo la responsabilità dei governanti italiani, ai quali spetta dimostrare equità e coraggio, non avendo margini espansivi di spesa e dovendo affrontare situazioni sociali pesanti e complesse, comuni a gran parte del mondo: incremento della disoccupazione e della povertà, … e, non ultime per importanza, sono peggiorate le condizioni di salute della gente: dovendo rinunciare, molti, alle cure essendo sprovvisti di denaro, e messi sotto scacco dal progredire di malattie sociali come la depressione e altre malattie mentali, quali prime cause di morte.
A quest’ultima affermazione qualcuno scrollerà il capo. Purtroppo, che le malattie mentali saranno la prima causa di morte, nel giro di pochi decenni e in tutto il mondo comprese le aree di sottosviluppo, è la OMS ad affermarlo.
Perciò il fenomeno meriterà sempre maggiore attenzione sia nel leggerne le cause sia nel trovarne i rimedi. Tema gigantesco. E’ presumibile, chiamerà in ballo i miraggi del consumismo e le ansie da inadeguatezza di risorse (economiche e mentali) per affrontare un mondo sempre più complicato e ostile a chi non si adatta velocemente ai cambiamenti. Come, in natura, spiega la legge di Darwin: sopravvivono solo i soggetti capaci di adattamento. Sempre che la politica non torni a leggere gli eventi e a tentare di governarli per il bene dell’umanità intera e non di ristrette oligarchie.

www.ferrucciofabilli.it

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