Michele Boenzi, simpatico scugnizzo napoletano trapiantato a Cortona

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boenzi1 (3)Di origini campane e ben integrata, la famiglia Boenzi, genitori e sei figli, visse alle Case Popolari a Camucia, negli anni Sessanta. Il babbo, Nicola, veniva dalla elegante scuola sartoriale napoletana. Fatto singolare, un sarto napoletano nel fenomeno migratorio Cortonese del dopoguerra, quando larga parte degli immigrati furono lavoratori della terra provenienti da Benevento e Avellino.

Michele, maggiore dei fratelli, era canzonato: “Napoli” o “Napoletano”, da certi bulletti, alludendo allo stupido luogo comune del “napoletano che si lava poco”, riemerso, di recente, in squallide cronache politiche. Michele, moretto mingherlino, salvo stupide bullaggini, era benvoluto. Socievole, allegro, giocoso, amava il calcio anche se non era tanto versato, intelligenza vivace, bravo a scuola. Il corpo gracile celava un tipo tosto: rispondendo a tono a giudizi malevoli, o facendosi amabilmente dispettoso se molestato, dimostrando fantasia – a dieci anni – nel replicare a scherzi e dispetti. La vita collegiale, sin da piccoli, costringeva a svegliarsi anche non volendo; d’altronde, non son nate a caso le battute sugli “scherzi da prete”, e  “dalla scuola dei preti non escono bischeri!”. Michelino, vispo e in fretta, si adattava alle circostanze.

Nel Seminario diocesano, forte d’una sessantina di allievi, pareva fiorissero infinite “vocazioni”. La società contadina aveva dato molti preti a Cortona, mentre nel passaggio alla società industriale e della televisione corrispose un crollo di “vocazioni”. Il Seminario Cortonese chiuse a fine anni Sessanta. Michelino mal ne sopportava la disciplina, anche se cercava di adeguarsi. Stare in gruppo gli piaceva, specie nei giochi. Oltre al calcio, si praticavano giochi da tavolo: pingpong, scacchi, dama, carte, monopoli, calciobalilla. Dopo pranzo, erano corse sgomitanti alla conquista del gioco preferito. Gli istitutori di camerata governavano le giornate del seminarista. Studenti più grandi, in veste di “prefetto” e “viceprefetto”, sorvegliavano, disciplinavano, e si univano pure ai giochi. E, per far rispettare le regole, comminavano punizioni ai trasgressori degli infiniti dettami quotidiani, dalla sveglia al coricarsi. Lavarsi bene, scender lesti da letto, ordinati nelle vesti e calzature, procedere in fila stando in silenzio, buon contegno nelle funzioni religiose, educati a tavola, diligenti a scuola, riverenti verso i superiori,…ordini minuziosi, a cui non sfuggiva alcun attimo della giornata del seminarista. E non mancavano nel gruppo gli spioni, “riportini” ai superiori di marachelle. In caso d’infrazione, a loro scelta, i superiori sancivano richiami, scappellotti, e punizioni: niente giochi, niente passeggiata pomeridiana, pranzo in piedi e in silenzio, … sia per colpe individuali che di gruppo. Dai pesi variabili nelle punizioni, Michele spesso si sentiva discriminato: con lui il Prefetto avrebbe calcato troppo la mano, senza scusargli niente. Vivendo  lo stato d’animo di “soggetto a ingiustizie”, non di rado, reagiva ideando altre birbonate.

Ambedue sortiti di Seminario, tra grosse risate, Michele mi raccontava compiaciuto le sue ragazzate. Come quando tirò una riga continua, in punta di lapis, sugli intonaci bianchi: dalla cappella, a pian terreno, al camerone dei letti, all’ultimo piano. Ricordavo l’interrogatorio a tutta la camerata su chi fosse stato il colpevole.  Nessuno si fece avanti. La punizione fu collettiva: quel giorno, senza gioco del pallone!

In più occasioni, Michele espresse il proposito intrigante di fissare quelle esperienze scanzonate in un libro, simile al Giornalino di Giamburrasca di Luigi Bertelli. Il progetto non prese la luce a causa della sua prematura scomparsa, quando avrà avuto, forse, cinquant’anni.

Michele divenne funzionario di banca, superando tante difficoltà con la sua grinta consueta, uscito di Seminario dopo la terza media. Da vicino di casa, gli  insegnai a usare la bicicletta che non aveva posseduto fino a quattordici anni. Avendo sei  fratelli, Michele era conscio di dover conquistare tutto da solo, compresa la bicicletta comprata coi guadagni da apprendista nella fabbrica di radio transistor, in via di Murata. Deciso a proseguire gli studi lavorando, occupatosi stabilmente alla Confar di Rigutino, si diplomò Ragioniere alle scuole serali. Seguì l’impiego in Banca, raggiungendo l’agognata sicurezza economica e il meritato stato sociale. Formò una famiglia con figli,  dedicando ad essa ogni energia, accettando carichi di lavoro e sedi disagiate, pur di migliorare le entrate economiche domestiche.

Tuttavia, un tragico destino l’attendeva: fu colpito da una di quelle malattie che rendono il corpo inerte, gradualmente, fino alla morte. La coscienza intatta, fino alla fine, ne amplificò il dramma.

Sorretto da fede cristiana, angosciato dalla morte, scrisse in una preghiera: “Ho perso il controllo del corpo giorno dopo giorno/ E ora Signore non sono più mio”, offrendo i suoi dolori “Per i sofferenti, i derelitti e le vittime della prepotenza del potere./ Guarda la strada dei miei figli e dei miei cari, concedi loro/ La grazia della fede, della giustizia  e dell’onestà”. Pensieri trepidanti dedicati ai suoi “ragazzi”: “…la mia mente vi corre accanto”, pur avendo perso l’uso di braccia, mani, e gambe “ho un gran cuore per stringervi forte”. L’amaro calice di cui avrebbe fatto a meno,  fatalmente rassegnato, ne fece una delle tante vittime di quei percorsi emancipatori che colpirono, in età prematura, la nostra generazione e quella dei nostri genitori. Uccisi, precocemente, da condizioni stressanti nel mondo del lavoro. Mentre, oggi, è possibile morire anche per mancanza di lavoro.

I miei ricordi dolorosi su Michele perdurano. Solare onesto tenace, vita bruciata per obiettivi che molti di noi fortunati abbiamo raggiunto senza pagare scotti irreparabili.

fabilli1952@gmail.com

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Michele è quello al centro in basso. In alto a destra Giovanni Tanganelli, gli altri mi pare siano Luciano Pelucchini, Marino Faralli (?) Giampaolo Masserelli(?) non so se la memoria è ancora buona…

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