Loriano Biagiotti Ferruccio Fabilli
NOTIZIE SUI PRIMI MECCANICI DI BICICLETTE CORTONESI
Hanno collaborato: Giuliano Berretti, Pasquale Brogioni, Angiola Capecchi, Maria Teresa Capecchi, Graziella Casucci, Sergio Catani, Carlo Galletti, Ornella Galletti, Giorgio Giusti,
Rita Giusti, Silvano Giusti, Giacinto Gori, Maurizio Lovari, Emilio Marconi, Giuseppe Migliacci, Antonio Raspati, Elma Schippa, Tiziano Schippa, Danilo Sestini, Alessandro Trenti, Erino Trenti, Paolo Zappacenere.
Presentazione
In occasione della nuova edizione della “Cicloturistica La Cortonese” – che si svolge a luglio -, è nata l’idea di raccogliere notizie e fotografie sui riparatori di biciclette presenti nel Cortonese nel secondo dopoguerra. Quando la bicicletta divenne mezzo di locomozione di massa nelle nostre campagne
Partiti con poche conoscenze su quanti artigiani fossero dediti a riparare e vendere biciclette, – incontrato l’interesse, tra amici e parenti, sui pionieri di un’attività tanto diffusa – la raccolta dati è cresciuta in quantità e qualità. Avendo impegnato in tale ricerca solo una parte del tempo richiesta dall’organizzazione della nuova edizione della “Cicloturistica La Cortonese”, siamo consapevoli che il resoconto avrà molte lacune sui fatti e nomi da noi recensiti. Tuttavia siamo lieti di avere svolto una prima cernita importante, e niente vieterà ad altri di completarla.
Il merito di questa scrematura è aver gettato il primo sguardo su aspetti non secondari della nostra storia recente, ed offrire la conoscenza, anche ai più giovani, su quel mondo oramai scomparso, di cui tutti siamo eredi.
Nel raccontare la vita dei primi meccanici di biciclette, ci siamo limitati ai tratti essenziali che li caratterizzarono: epoca e luoghi in cui operarono, e la loro professionalità, spesso poliedrica. Un saper fare misto di bravura e adattamento ai bisogni di una clientela non sempre agiata. Anzi, diremo, in genere piuttosto povera e sparagnina. Erano tempi in cui le famiglie dovevano far quadrare i conti con tanti sacrifici. Ma erano anche tempi in cui c’era fiducia nel futuro, e la mobilità era un investimento prioritario per uscire dalla staticità secolare del mondo contadino.
Le belle fotografie allegate aggiungono immagini tangibili allo scarno racconto. Anche se mancheranno al nostro lettore quegli elementi di vita reale, caratteristica di un’officina meccanica: gli odori di gomma, mastice, olio, nafta,… e, soprattutto, non è riproducibile, in fotografia e nel racconto, il clima umano che le caratterizzava. Clima diverso e tipico, da meccanico a meccanico. Insomma, non era lo stesso entrare in quelle officine o in una di quelle odierne (dominate dalla tecnologia, paragonabili a sale operatorie). Nelle officine del passato, era entrare in un bric a brac di oggetti, e imbattersi nel caotico via vai di persone alla ricerca di risolvere i propri problemi, riparare o acquistare biciclette, o, semplicemente, scambiare chiacchiere.
Il Presidente della Cicloturistica La Cortonese
Loriano Biagiotti
Prefazione
Già fa onore agli organizzatori – della prossima edizione ciclostorica La Cortonese – aver abbinato l’evento sportivo al tributo alla memoria dei pionieri cortonesi meccanici di bicilette, andandone a scovare i ricordi tra amici e parenti. Segno di grande rispetto e amore per i primi che sulla passione comune per la bicicletta (che unisce generazioni lontane nel tempo) investirono la loro vita professionale.
Tirato in ballo – da Loriano Biagiotti e dagli amici compaesani della Polisportiva Val di Loreto – a mettere ordine alla raccolta di notizie, ho avuto anch’io un piacevole tornaconto. L’occasione di integrare le mie conoscenze sulla vita, dunque, sulla storia materiale Cortonese, aprendo il capitolo, molto interessante, su quanto importante fosse stata la diffusione della bicicletta nella transizione della società: da prettamente agricola al boom economico. Che significò lavoro per i giovani – apprendisti e meccanici alla ricerca di alternative ai lavori contadini –, e le officine meccaniche divennero osservatori importanti sullo sviluppo economico. A cui l’inventiva degli artigiani dovette star dietro, adeguandosi. Infatti, insieme all’uso massiccio delle biciclette, si fece incalzante: sia la necessità della loro manutenzione, sia assecondarne l’uso sportivo del mezzo, sia seguire la diffusione della motorizzazione. Dalle bici ai ciclomotori alle vetture, i passaggi furono rapidi. Non a caso, vediamo crescere un’estesa rete di pompe di benzina.
Non secondari furono gli effetti sociali indotti dalla massiccia mobilità. Un tempo limitata da vincoli padronali (ogni acquisto importante doveva essere accordato dal padrone al contadino) e da consuetudini sociali (solo gli uomini potevano uscire di casa per “affari”). Le famiglie da strutture gerarchiche si trasformarono – gradualmente – in forme lineari: uomini e donne alla pari, ogni giorno, impegnati a uscire di casa alla ricerca di lavori anche saltuari, giornalieri.
Nel racconto troveremo le officine protagoniste anche culturali, politiche, e, persino, nel pettegolezzo. La gente vi si rivolgeva principalmente per curare i propri mezzi di locomozione, ma non era raro trovare in officina persone a chiacchiere su qualsiasi argomento: era una democrazia senza freni inibitori!
Ecco, in sintesi, il risultato della nostra pur fugace ricerca, sulle capacità versatili, in più tipi di prestazioni, degli artigiani meccanici, e sulla rete di relazioni e iniziative (in prevalenza, sportive) che scaturirono nelle loro officine.
Ferruccio Fabilli
LA BICICLETTA PRINCIPALE MEZZO DI LOCOMOZIONE NELLE CAMPAGNE
L’esplosione in Italia dell’uso di biciclette, come mezzo di locomozione, avvenne tra le due guerre. Tuttavia, l’apice della diffusione, nelle campagne tosco-umbre, fu raggiunto nel secondo dopoguerra. A ben vedere, la bicicletta, allora, rappresentò la metafora di quanto avveniva nella società: un gran movimento. Alla ricerca di lavori più remunerativi della mezzadria; rompendo definitivamente vincoli secolari imposti alla mobilità sociale, pressoché statica. Chi nasceva contadino ci moriva, e, spesso, sempre sotto il tetto natio o in abitazioni poco distanti.Nonostante la propaganda fascista spingesse per la diffusione delle automobili, a fine anni 40, in Italia circolavano poco meno di 4milioni di biciclette, mentre auto e motociclette erano poco presenti nei comuni rurali come Cortona. Più che la volontà di non motorizzarsi, miseria e povertà limitavano l’acquisto anche di biciclette. Ritenute conquiste ambite, dalle famiglie che se le potevano permettere. Molti possessori di biciclette le tenevano nascoste in casa, temendo d’esserne derubati.
Nel secondo dopoguerra – alla ripresa economica dalle macerie della guerra -, aumentata la necessità di locomozione, facendo sacrifici e usando anche le magre economie del pollaio, nelle ancor numerose famiglie contadine (a Cortona, rappresentavano più del 70% degli oltre 30mila abitanti), la bicicletta si rese indispensabile. Per andare ai mercati settimanali, dal dottore in farmacia dal veterinario dalla levatrice, a sbrogliare pratiche burocratiche in fattoria o negli studi professionali, concentrati nei centri maggiori. Luoghi a discreta distanza da casa, com’era lo stesso raggiungere le stazioni ferroviarie di Camucia e Terontola. Sottolineiamo, di nuovo, che gli abitanti di Cortona, fin oltre gli anni 50, superarono le 30mila unità, tanto per dare l’idea della massa brulicante in movimento.
Insomma, la bicicletta da mezzo di locomozione delle forze dell’ordine (maresciallo), del prete (anche se, agli esordi, la Chiesa ne proibì l’uso ai preti e alle donne), e di pochi altri, divenne obiettivo ambito d’ogni famiglia. Nel frattempo, il mezzo evolveva tecnologicamente. In virtù dell’industria che forniva bici ai campioni sportivi, divenuti popolarissimi bontà le imprese dei fantastici Fausto Coppi e Gino Bartali. Bici più leggere, col pignone a più cambi, freni a filo di acciaio in luogo dei freni a bacchetta, … Anche se le bici più diffuse erano dalla meccanica semplice. Una ruota dentata ai pedali, e nella ruota posteriore un pignone (ruota libera con corona dentata più piccola), freni anteriori e posteriori; in rari casi erano presenti le componenti luminose: “il dinamo”, “il lume”, e “il pomodoro” posteriore. La meccanica popolare era al risparmio. Distinte in due categorie: bici da “uomo”, con la “canna” tesa dritta dal sottosella al sotto manubrio; e da “donna”, in cui la canna interna di rinforzo era curvata in basso. Alla distinzione meccanica non corrispondeva sempre il sesso dell’utente. Per gli uomini era indifferente l’uso dei due modelli. Ma le donne stesse, al bisogno, inforcavano la bici da “uomo”, pedalando sotto-canna. Allo stesso modo, cavalcavano le bici bambini e ragazzi dalle gambe corte. Pur sacrificati in quella posizione, avresti visto ragazzini sfrecciare pedalando. Su quel mezzo spartano potevano salire anche due persone (o più, esagerando!). La “canna”, sormontata di lato (all’amazzone), con le gambe tutte da una parte, era destinata al passeggero.
I parcheggi a pagamento delle biciclette
Ricordiamo il film “Ladri di biciclette”, di Vittorio De Sica, che rappresentava quanto fosse preziosa la bicicletta nel secondo dopoguerra, e quanto i rischi d’esserne derubati erano alti. Perciò, a ridosso delle stazioni ferroviarie (Camucia e Terontola), sorsero depositi a pagamento. Un posteggiatore a Camucia fu il dirigente comunista, nonché ex sindaco di Cortona, Ricciotti Valdarnini. Anche altri si ingegnarono in quella attività, alle pendici collinari di Cortona, a Sodo, Camucia e Campaccio, non essendo tutte le persone in grado di pedalare fino al cocuzzolo di Cortona.
I PRIMI MECCANICI CORTONESI, RIPARATORI E VENDITORI DI BICICLETTE
Per imparare il mestiere di meccanico di biciclette non c’era scuola, se non tramite l’apprendistato presso officine avviate. In epoche remote, i riparatori di biciclette si specializzarono in tale attività via via che prese campo la diffusione del mezzo. Ma, in origine, le officine erano promiscue: un misto tra fabbro e meccanico, perciò, polifunzionali. Dove si tentava ogni genere di riparazione metallurgica e meccanica. Invalso l’uso in massa delle biciclette, il lavoro non mancò per alcuni decenni. Alle riparazioni, i meccanici aggiunsero il commercio di mezzi nuovi e usati.
Un tempo – va sottolineato – mezzi di locomozione o attrezzi da lavoro erano riparati fino all’impossibile. Quando cioè ne veniva meno il possibile riuso. Perciò, in tema di riparazioni, il lavoro era tanto. L’uso familiare promiscuo dello stesso mezzo – di più persone anche inesperte – prevedeva cadute e forature, su strade in prevalenza imbrecciate e in terra battuta, mentre i materiali non erano sempre di qualità, pregiudicando la durata delle parti d’attrito delle bici: copertoni, camere d’aria, raggi, freni, corone, catene, pignoni, pompe a piede o pompe a mano,… Avere un mezzo riparato, anche con segni evidenti come una saldatura rifatta, non era vergognoso.
Sartini Michele
Michele Sartini, classe 1939, ha iniziato a lavorare giovanissimo come muratore per poi aprire l’attività di marmista col cognato. Col trascorrere del tempo e l’avanzamento del boom economico, i suoi lavori sono entrati nelle case degli abitanti della zona. In tanti hanno avuto a che fare con questo uomo: buono, gentile, intelligente e simpatico. Michele era anche un grandissimo estimatore della Polisportiva val di Loreto, sempre presente con azioni e partecipazioni agli eventi sportivi. Il monumento in granito, all’ingresso dell’impianto, è opera sua offerta nel 1994 alla Polisportiva. Il suo hobby era collezionare mezzi di locomozione vintage, ed era un piacere entrare nei suoi garage per riscoprire molteplici mezzi ed oggetti degli anni passati. Con la sua passione, ha salvato dalla rottamazione centinaia di oggetti che, forse, erano passati per le officine dei meccanici che andiamo a descrivere, e che, oggi, rappresentano un patrimonio inestimabile. Purtroppo un malore improvviso, nel 2021, ce lo ha portato via ancora troppo presto, ma rimarrà indelebile il suo ricordo nei nostri cuori. Vogliamo dedicare questo ricordo alla cara moglie di Michele Anna, e alle figlie Manola, Manuela, Marcella, Mariella, che lui amava in modo speciale.
Domenico Trenti, detto Menco del Cerrina
Nato e morto a Cortona, 1912- 2002. Domenico Trenti, operando nei pressi di Campaccio, fu versatile in varie attività imprenditoriali, compresa la rimessa in loco di biciclette. In famiglia, ricordano la venuta notturna, al lume di candela, del prof Rino Baldelli a procurarsi da Domenico due copertoni di ricambio per auto, nell’immediato dopoguerra. Dunque, era già nota la sua qualità di trovarobe, compresi campanelli e altri pezzi di ricambio per biciclette. Molto dinamico, oltre ad aver allestito una qualificata officina meccanica per bici, si dedicò anche al commercio. Non solo di biciclette. Perciò, era conosciuto nella bassa Toscana (Arezzo, Siena, Grosseto) e nella vicina Umbria. Commerciava bici della nota marca milanese Olimpia, e i tubolari D’Alessandro. Nella sua officina, transitarono più meccanici e apprendisti, giovani. Alcuni cambiarono mestiere, altri proseguirono in proprio l’attività, altri ancora unirono il mestiere alla pratica sportiva, correndo in bicicletta. Domenico – è quasi certo – fu il primo organizzatore cortonese d’un gruppo sportivo dilettantistico col marchio proprio: “Trenti”. L’officina era retta dal meccanico Silvio Cortonicchi (Silvio della Colomba) – che seguitò in proprio il mestiere e, infine, si convertì al commercio d’elettrodomestici -, e dagli apprendisti: Angiolo Archinucci (Il Sordino), in seguito, apprezzato pozzaiolo; Camillo Manciati, poi fattore nel Senese; Evaristo Marconi e Giovanni Catani proseguirono in proprio. L’altro apprendista, Andrea Diacciati, discreto dilettante, fu pure campione regionale dilettanti a Viareggio. Diacciati era il campioncino del gruppo sportivo Trenti: gambe potenti ma poco tenace, si scoraggiava facile. Allora interveniva Domenico. Con voce sonora – standogli alle costole – gli lanciava urlacci d’incitamento. I ciclisti del Trenti parteciparono a gare in zona (a S. Marco, S. Angelo, Camucia) ma anche a gare più note: come le “Tre Valli Aretine”. Dove a Diacciati – in fuga sul Passo della Consuma – una foratura gli negò la vittoria.
Invogliati dalla presenza del gruppo sportivo Trenti, altri giovani si avvicinarono alla pratica sportiva, ma pochi superarono la prova iniziale obbligatoria: dieci giorni di seguito a pedalare chilometri in bici a ruota fissa, per formare massa muscolare. Il rischio di finire “cotti” era alto.
Il mio informatore, Erino Trenti, nipote di Domenico, ricordava dilettanti cortonesi impegnati anche in altri gruppi sportivi, quale il Frescucci, nipote di don Bruno, che correva per la “Fabianelli” di Castiglion Fiorentino, e Orlando Galletti, meccanico e corridore di talento. Che se la batteva alla pari con Giovanni Corrieri, gregario di Gino Bartali. Galletti, meccanico di bici, aveva l’officina a Cortona in via Guelfa. A Cortona c’era anche Dantino, che aveva l’officina dietro il distributore di Piazza Garibaldi a Cortona.
Superbo Rossi
Nacque a Torrita di Siena, dai genitori Amerigo ed Elvira Garzi, il 12 dicembre 1909. Superbo lo era di nome e di fatto, nella veste di riparatore di biciclette. Sul muro esterno della bottega – tra Piazza Sergardi e Via Lauretana – era appesa ogni sua mercanzia: bici usate, copertoni, manubri, ruote, cerchioni e altri materiali utili alle riparazioni. In diparte, era parcheggiata la sua Vespa bianca: sempre linda e allisciata alla perfezione. Da notare che, durante le giornate lavorative, mai nessuno lo vide indossare la tuta da lavoro e neppure il grembiule. Con ciò che segue, è possibile farsi un’idea delle caratteristiche dell’uomo tutto d’un pezzo: indossava pantaloni scuri ben stirati, camicia bianca con maniche rimboccate, cravatta scura, gli occhiali poggiati sulla punta del naso.
Qualche aneddoto ne completa il carattere.Un suo conoscente raccontava di quando – tramite il suocero – da Cortona portava all’officina di Superbo, a Camucia, materiali di ricambio per bici, e il conto da pagare. Al pagamento della merce, in fondo al suo laboratorio dal pavimento sterrato, Superbo si accostava a una catasta di cartoni, impilati perfettamente uno sull’altro, quella era la sua cassaforte! … Spieghiamo meglio: alzava uno di quei cartoni e, al punto giusto che solo lui sapeva, tirava fuori un rotolo cilindrico di denaro, dove spiccava il taglio lenzuolo da 10.000lire, della misura di cm. 14,6 x 6,3.
In qual modo migliore si sarebbe potuto definire quell’uomo, se non: superbo, orgoglioso e preciso? Quelle erano, in fondo, le sue caratteristiche salienti.
Purtroppo, un brutto giorno, il buon Superbo dovette chiudere baracca e burattini: un improvviso incendio incenerì tutto quanto! Così finì la sua storia da meccanico.
Morì il 10 marzo 2001. Abitava a Monsigliolo, con la moglie Silvia Nerozzi (detta Mimma) e la figlia Tecla.
Ruben Schippa
A Camucia – scendendo in basso in Via Lauretana – si trovava l’altro riparatore e venditore di bici, comprese quelle da corsa delle marche più note a quel tempo. L’artista delle due ruote rispondeva al nome di Ruben Schippa. Famiglia di origini perugine, nacque a Cortona il 26 marzo del 1906. Dei “biciclettai” camuciesi, forse, era il più organizzato. Concessionario della Legnano, la bicicletta al tempo più in voga. Ruben era il punto nevralgico dei giovani praticanti il ciclismo, emuli delle gesta dei campioni Bartali e Coppi. Dalle prime ore del mattino, la sua bottega si riempiva di clienti, molti provenienti dall’Umbria, e da numerosi corridori dilettanti. In una di quelle mattine, nel corso d’un allenamento, proprio Gino Bartali ebbe un guasto meccanico al cambio per cui ricorse alle cure di Schippa. Un fatto clamoroso avvenne dopo che il campione fiorentino entrò in laboratorio. Alcuni clienti presenti, con veloce passaparola, informarono l’esterno della celebre presenza. Si narra che trascorsi 7/8 minuti, tra dentro e fuori, intervennero una sessantina tra tifosi e curiosi, continuamente inneggianti, ad alta voce, il nome del grande grimpeur.
I figli si Ruben erano due femmine e due maschi. Al più giovane Gino (detto il Kid), gli fu imposto quel nome in onore a Bartali. L’altro aneddoto – che molti sportivi locali ricordano – è che Ruben Schippa fu tra i primi calciatori del Camucia. Si raccontava che Ruben si recasse ad allenarsi alla Maialina indossando spesso un maglione arancione. Quel fatto avrebbe ispirato i colori arancioni alla squadra Camuciese: le “Meranguele” (locuzione chianina per definire le arance).
In conclusione, bisogna ringraziare per le informazioni raccolte i figli del Kid, Giordana, Emma e, in particolare, Tiziano che ha portato una borsa di foto familiari.
Il fratello di Ruben, Renato Schippa, fu altrettanto stimato esperto meccanico di biciclette, ad Ossaia, dove aveva anche un distributore di benzina.
Giovanni Catani, detto Il Nanni o Il Baffo
Nato il 03/05/1921, morto il 26/03/1991. Iniziò l’attività alla scuola di Menco del Cerrina, passò poi a lavorare da Ruben Schippa. Si mise in proprio, dapprima, in via Lauretana davanti al cinema Cocchi. Qui faceva il rimessaggio di bici a favore degli abitanti della campagna (San Lorenzo, Montecchio, Centoia, Cignano, Fasciano, Gabbiano), che giungevano a Camucia transitando dal passaggio a livello ferroviario. Immessi in via Lauretana, lasciavano le bici nei negozi di Schippa o di Catani, per proseguire a piedi verso Cortona. In seguito, Nanni si trasferì vicino al passaggio a livello, in locali di proprietà Turini, dove lavorò fino alla pensione.
Molto bravo a costruire e centrare le ruote a biciclette e motocicli. Carattere introverso, di poche parole, bell’uomo, simile a un attore dai baffetti alla D’Artagnan. L’officina – nel capannone periferico a sud di Camucia, vicino alla falegnameria Marchetti – lo avvantaggiava rispetto a Schippa nel rimessaggio di biciclette, essendo la prima rimessa incontrata sul percorso dei campagnoli. C’è da immaginare che il vecchio sodale, Schippa, non fosse tanto contento della concorrenza.
Nanni fu anche direttore tecnico della squadra ciclistica “Germanvox-Wega”. Allestita dai fratelli Giorgio e Romano Santucci, con Ianito Marchesini nell’ammiraglia. In squadra, tra gli altri, un Sartini e Massimo Castellani considerato l’atleta di punta, fuorché in salita…
Nanni era una persona particolare: nervoso e sempre in tensione. A costui – come si suole dire – anche una rugia sembrava una trave! Bastavano cose di poco conto a mandarlo su tutte le furie; praticamente, il Catani era sempre incavolato.
L’episodio d’un mattino. Si presentò un certo Beppino, abitante a Fossa del Lupo, proprietario d’un “Guzzino” con cui si era fatto tutta la strada a piedi. Infatti, quel giorno, non c’era stato verso di avviare la moto. Nanni, lasciati gli arnesi sul banco, cercò sollecito di accontentare il cliente. Numerose furono le prove per riavviare il motore: cambio della candela, la corrente arrivava ma… niente! quindi altre prove, continue e faticose, cercando di mettere in moto il mezzo anche a spinta. Dopo ripetuti calci al pedale della messa in moto, purtroppo, non ci fu verso di accendere il motore… Al culmine della perdita della pazienza, Nanni svitò il tappo del serbatoio: era completamente asciutto…! A quel punto ci fu un’esplosione clamorosa: in primis, sparò una fila di moccoli variegati, improperi d’ogni genere rivolti all’ormai ex cliente, e, per ultimo, un minaccioso: levati dai coglioni! e qui non ci venire più!
Altri due episodi, invece, qualificano positivamente il suo mestiere. Un giorno Gino Bartali – avendo attaccato la bici al chiodo – giunse da Nanni per proporgli la vendita delle sue biciclette dal marchio “Bartali”. In poco tempo, l’affare fu concluso. L’altro episodio importante accadde dopo la disputa d’un “Trofeo Cougnet”. Si presentarono, all’esperto artigiano, il campione toscano Franco Bitossi accompagnato da un dirigente della Filotex, i quali proposero a Nanni di assumerlo meccanico al Giro d’Italia. Lì per lì Catani ne fu orgoglioso e lusingato. Però, per quel ruolo ambito, avrebbe dovuto lasciare suo malgrado per diverso tempo la famiglia… fatta quella riflessione, il Nanni non ne fece niente.
Evaristo Marconi, detto Varisto
Nato il 14 febbraio 1920, morto il 24 novembre 2005. Anch’egli iniziò la sua attività alla scuola di Menco del Cerrina. Nel 1955, si trasferì a Cignano, lavorando in una bottega nella zona di Ospizio, presso la famiglia Pucci. In seguito, si spostò presso l’abitazione di Fernando Faralli – dove c’era il sale e tabacchi e il distributore -, iniziando anche a vendere motocicli e bici.
Con l’abbandono delle campagne da parte dei contadini, e la conseguente mancanza di lavoro, si spostò a Camucia, in via Firenze. Continuando a vendere biciclette Bianchi, di cui era concessionario, e motorini: Garelli, Fucs, ItalJet, …
Al termine della sua attività – a Camucia in via di Murata -, negli anni ’90, cedette la bottega a Fortini Gianluca, odierno titolare del negozio di bici più fornito della zona.
Pasquale Brogioni, detto Pasquino
Nato il 12 aprile 1936. Meccanico al Sodo, poi a Tavarnelle. Apprese l’arte di meccanico da Vito Viti. Artigiano che aveva l’officina al Sodo nel palazzo dei Corbelli, lungo le ritte, davanti a villa Laparelli. Poi, Pasquino gestì in proprio l’officina. Infine si spostò – a fine anni 60 – a Tavarnelle, sotto la propria abitazione. Particolarmente amico di Armando Galletti, meccanico del Campaccio.
Pasquino era, al tempo stesso, appassionato cacciatore e profondo conoscitore della fauna selvatica, dedicandosi anche al soccorso di bestiole ferite o in difficoltà. Capace di curare e nutrire: tartarughe, faine, istrici, volpi, …, però, se commestibili, con lui, potevano finire anche in padella!
L’altra grande passione di Pasquino fu la politica. Per molti anni, nei fondi di casa sua, si riunivano gli attivisti comunisti del Pci; di cui, alla sua chiusura, ne fu orfano inconsolabile, come lo furono molti. Questa sua forte politicizzazione rossa non fu rara tra gli artigiani cortonesi. Basti ricordare che, durante il fascismo e nel dopo guerra, alcuni esponenti di punta comunisti furono artigiani. Uno importante fu Ricciotti Valdarnini – già ricordato per il rimessaggio bici e produttore di piastrelle, a Camucia –, e l’altro, Cesare Rachini, restauratore di mobili antichi. Le botteghe artigiane – si è già detto – erano luoghi di incontro molto frequentati, dove si parlava di tutto.
Santi Capecchi, detto Schiaccino
A Sodo, prima di Pasquino, lavorò un altro meccanico proveniente da Fratta, Santi Capecchi: gentilissimo e intelligente. Esperto nel montare il motore MOSQUITO – prodotto nel 1946 dalla ditta Garelli – su biciclette da passeggio, trasformandole in motorini economici. Anche Santi faceva rimessaggio di biciclette per gli abitanti provenienti dalle frazioni di Fratta, Santa Caterina, Fratticciola, Creti, Ronzano, incamminati verso Cortona. Santi, assunto dalle Ferrovie, abbandonò il mestiere. La rimessa di biciclette fu tenuta aperta da Camillo e Sofia Migliacci.
Interessante notare la scelta di molti meccanici nello svolgere l’attività in luoghi ai piedi della collina, a intercettare i campagnoli in difficoltà nel salire in bici a Cortona. Dove c’era l’Ospedale, il Comune coi suoi uffici, e il mercato settimanale. Lasciata la bici nei rimessaggi proseguivano a piedi, fino alle porte della Città. Dove taluni cambiavano le scarpe pesanti per indossare quelle ritenute meno rustiche. I titolari di rimesse che erano meccanici si prestavano a riparare i cicli, approfittando della sosta.
Mario Giusti
Padre affettuoso e sempre lieto, nasce a Cortona il 07/11/1929 da Andrea e Ida Toto Brocchi, ed ivi deceduto il 17/12/1992. La passione per la meccanica nasce terminata la scuola da apprendista presso l’autofficina di Moreno Crivelli, a Cortona. Per poi mettersi in proprio nei locali di via Nazionale, ed ancora in via Guelfa a Cortona. Infine, approda meccanico presso l’Autoservizi Autobus, della Società Cortonese. Nel 1969, rileva in via Nazionale, sempre a Cortona, un negozio-officina con varie tipologie di prodotti: articoli sportivi, biciclette, motorini, cambio gomme auto e moto, elettrodomestici, ecc. sapendo fare quasi tutto in ogni branca artigianale elettromeccanica. Era l’arte di arrangiarsi, ma in una specialità eccelleva: abilissimo meccanico di auto e moto e, soprattutto, dell’amata bicicletta. Che ha aggiustato e venduto per circa 20 anni, con rivendita dei prodotti Edoardo Bianchi, Legnano, Trarovi, ecc. La passione lo porta ad essere meccanico ufficiale della squadra ciclistica locale: la “Cortonese – Ristorante Tonino”; anche i figli, Giorgio e Silvano, entrano a far parte della bella squadra ciclistica Cortonese, con grande passione e motivazione.
Simpatico l’episodio successo in occasione della vittoria, ad Olmo, di Massimo Capecchi detto Tonio (ciclista della “Cortonese – Ristorante Tonino”), allorché, al suo arrivo vittorioso, il babbo lanciò in aria il cappello che ancora volerebbe per aria… infatti, non fu ritrovato!
Durante le gare ciclistiche, gli interventi di Mario erano veloci e professionali. Non solo vendeva biciclette, ma le costruì anche da sé: una bici-tandem da corsa a due posti, molto bella e veloce, (si può dire che in pianura era più veloce d’un motorino); e una bici-tandem Graziella a due posti, per villeggiatura al mare. Quando la stella nascente Jovanotti, Lorenzo Cherubini, fece i primi passi con successo nel mondo della canzone, Mario Giusti faceva il tifo per lui, felice e onorato di aver aggiustato biciclette a lui e ai suoi bravi fratelli. Mario non fu solo meccanico, ma cittadino molto impegnato per la “sua” Cortona e il territorio. Per diversi anni, fu Giudice di gare ciclistiche Enal-Dace (foto tesserino); Consigliere del Terziere San Vincenzo di via Guelfa; Consigliere dell’Azienda Autonoma Soggiorno e Turismo di Cortona; Rappresentante dei Commercianti; Presidente del Consiglio all’Istituto Professionale Femminile “G. Severini”.
Armando Galletti
(Marzo 1909 – Gennaio 2004). Nasce al Campaccio. Adolescente acquisisce abilità ed esperienza trasmessegli dal babbo Virgilio (1881 – 1954) nell’attività di fabbro, nelle branche: attrezzi lavorativi d’ogni genere, e ferro battuto artistico/ornamentale.
A 28 anni (1937), Armando viene assunto alla SAI AMBROSINI di Passignano. Assunzione subordinata alla perfetta esecuzione del cosiddetto “capolavoro”. Che in quella occasione fu la “squadra-riga”. Risultante dall’incastro a “coda di rondine”, disposto a 45° su due pezzi, uno “maschio” l’altro “femmina”, che, accoppiati alternativamente in un senso o nell’altro, risultavano in riga perfetta, o in squadra, dall’esatto angolo di 90°. Armando consegnò il lavoro due ore in anticipo, sulle cinque concesse per l’esecuzione della prova. Nei sei anni e cinque mesi alla “SAI”, svolse l’attività di “operaio qualificato aggiustatore”. I fatti dell’8 Settembre 1943 segnarono la chiusura della “SAI”, e, a fine ottobre dello stesso anno, Armando lasciò l’azienda mettendosi in proprio.
Iniziò aprendo bottega a Camucia in via Lauretana. Ubicazione oggi non identificabile per le numerose trasformazioni edilizie, lavorando da fabbro e riparatore di mezzi di locomozione del tempo, soprattutto biciclette. Rimase a Camucia 11/12 anni. Alla morte del babbo Virgilio, nel ’54, torna al Campaccio nella bottega paterna, dando continuità alla lavorazione tradizionale del ferro battuto, contemporaneamente impegnato nella crescente attività di meccanico di scooters e motociclette, la cui diffusione aumentava in parallelo alla ripresa economica.
Verso la metà degli anni ’60, tornato nuovamente a Camucia – che già stava rivelando i primi segnali del florido e veloce sviluppo – affittava un locale a pianterreno nell’edificio al tempo sede dell’ex-Mutua, ma lì la sua attività fu esclusiva sui motori.
Armando nutrì sempre grande passione per la bicicletta, in particolare per il ciclismo agonistico. Al passaggio delle corse si entusiasmava come un bambino. Passione trasmessagli da Orlando, fratello maggiore d’un anno. I due condivisero la pratica sportiva, partecipando alle prime gare paesane. Quando Orlando apparteneva ancora alle categorie giovanili dei non tesserati, prima di approdare, con buoni successi, tra i dilettanti, nella seconda metà degli anni ’20 del secolo scorso.
Negli anni ’70, fu il figlio di Armando a cimentarsi nel ciclismo agonistico, seppur a livello amatoriale. Armando, per passione della bici e per abilità, costruì al figlio un telaio da corsa, equipaggiato della stessa componentistica montata sulle biciclette dei professionisti. Fu acquistata una serie completa di tubi “Columbus”, dello spessore 0,4 mm. Armando approntò il telaio sulle misure antropometriche del figlio, fissando le congiunzioni (dopo sagomatura delle stesse), ai tubi ed ai forcellini, tramite “spinatura” prima della saldatura per brasatura. La brasatura consiste nel collegare i pezzi metallici tramite un metallo d’apporto, senza fusione dei pezzi da assemblare. Il metallo d’apporto in ottone, usato da Armando, penetra per capillarità tra le parti da unire. Fu necessario, prima del telaio, costruire la “dima”, onde assicurare il perfetto allineamento delle ruote. Particolare difficoltà risiede nella piegatura dei foderi della forcella, foderi che vengono forniti diritti. La forcella è parte complessa e fondamentale, in quanto costituisce il principale contributo alla guidabilità della bicicletta. È composta dai forcellini, foderi, rinforzi, testa e tubo sterzo. Dalla forcella dipende il comfort e la sicurezza della bici. Ma, quella del figlio, non fu l’unica bici da corsa costruita da Armando. Molti anni prima, all’incirca diciottenne, aveva già costruito un telaio da pista, con rapporto fisso, senza cambio né freni al fratello Orlando che, oltre a gare su strada, si cimentava anche in varie specialità della pista. Ci sono riscontri a testimoniare l’esistenza, negli anni ’20, di velodromi in provincia di Arezzo. Il più importante era a Campo di Marte ad Arezzo, dove sorgeva lo storico stadio “Mancini”, nell’area ex Standa e degli attuali giardini. Altri impianti per le riunioni in pista erano a Cesa e Marciano della Chiana. La bici, costruita al fratello Orlando, risultò molto leggera considerando i materiali a quel tempo disponibili e, quale ulteriore accorgimento, fu equipaggiata con cerchi in legno.
Adolfo Berretti, detto Dolfo del Beretta
Da Montanare, apice della Val d’Esse, dal figlio Giuliano – rinomato meccanico di auto storiche e nuove – ci giunge il racconto del babbo Adolfo Berretti (1917- 1992), descrivendone un percorso professionale particolare: fu anche riparatore di biciclette. Figlio di Giovan Battista, esperto di motori a vapore, Dolfo imparò a manovrare e mantenere in funzione le complesse macchine trebbiatrici del grano. Occupando intere estati in quel lavoro, anche caricando sulle spalle i pezzi delle macchine per condurle fino a luoghi impervi. In inverno, babbo e figlio, si occupavano di macchine per spremitura delle olive al mulino Brecchia di Mercatale. Dolfo, per mantenere la famiglia, si ingegnò in più attività anche contemporaneamente. Nel tempo, aprì un distributore di benzina; riparava ogni mezzo di locomozione meccanico, biciclette comprese; vendeva gas in bombole; riciclava oggetti. Ad esempio, coi bossoli delle bombe di cui si riforniva a Grosseto, Adolfo costruiva lumi a carburo. Prodotto molto richiesto. Basti pensare che negli anni Cinquanta ancora erano vaste le aree Cortonesi non elettrificate. Altro riciclaggio, di cui fu esperto Adolfo, quello dei motorini in dotazione ai paracadutisti alleati. Una volta scesi a terra, i paracadutisti avevano in dotazione piccoli motorini ripiegabili (come le biciclette Graziella), in modo da essere di poco ingombro, già carichi di miscela, pronti per la fuga dai pericoli. I soldati, una volta al sicuro, abbandonavano quei motorini in miniatura, ma efficienti. Dolfo ne andava alla ricerca, per poi rivenderli. Come si può constatare, l’arte di arrangiarsi non aveva limiti per chi avesse avuto abilità nell’uso delle mani e della fantasia. Come fu naturale, al venditore di bombole di gas domestico, attrezzarsi anche a costruire lampade a gas.
Frugando ancora nella memoria, Giuliano Berretti ricordava un altro riparatore di biciclette, Dino Caneschi, al Campaccio.
Il Campaccio di quei tempi fu veramente prodigo di esperti meccanici di biciclette. Non c’è da meravigliarsi. Se abbiamo inteso bene – durante la ricostruzione in periodo post bellico -, essendo sviluppata una mobilità di massa, in prevalenza di ciclisti, fu strategico per i meccanici insediarsi alle pendici del cono collinare di Cortona, dove, gran parte di viaggiatori, parcheggiavano la bici per proseguire a piedi. Nell’occasione, era possibile chiedere al meccanico qualche riparazione. In quella logica, al Campaccio fluivano ciclisti d’una vasta area comunale, comprendente la Val d’Esse, e le zone più lontane di: Ferretto Pietraia Terontola Riccio Ossaia Castagno,… frazioni e campagne molto popolose.
Fratelli Tariffi, Enrico e Giuliano
Giuliano Tariffi imparò il mestiere di biciclettaio da apprendista meccanico presso Ruben Schippa a Camucia. In seguito, col fratello Enrico, aprì un’officina a Ossaia, alla Chiassaia. Successivamente, a fine anni 60, i fratelli trasferirono officina e abitazione lungo la statale 71, dove aprirono anche un distributore di benzine.
Ciro Marchesini
Nella porzione cortonese della Val di Pierle, a Mengaccini, Ciro Marchesini aveva un’officina da fabbro e meccanico di biciclette. L’attività di Ciro, nel tempo, è evoluta in seno alla sua famiglia. Oggi, gli eredi lavorano infissi metallici.
Pasquino o Pasquale Neri, detto Pasquino del Fallani
In centro, a Mercatale – dove attualmente è collocato il bancomat della Banca Popolare di Cortona – Pasquino gestiva un’officina da riparatore di bicilette. Ancora un esempio di artigiano polivalente (al fine di procurarsi la pagnotta). Al mestiere di meccanico aggiunse l’attività di benzinaio e noleggiatore di auto da rimessa.
Gino Paci, detto Trainicche
Gino Paci nacque il 21 maggio 1910 in località Fratta da una famiglia di coltivatori diretti, terzo genito di cinque fratelli (tre maschi e due femmine: Giovanni, Maria, Gino, Giuditta e Palmiro). Fin da giovane, oltre aiutare i genitori nella conduzione del podere, aveva la passione per la meccanica, soprattutto di biciclette e moto. A venti anni prestò servizio militare come autiere per cui, oltre ad approfondire la sua passione, ebbe l’occasione di prendere la licenza di guida per camion. Tornato dal servizio militare iniziò la professione di meccanico di biciclette ed ebbe la fortuna di acquistare anche una moto di seconda mano. Dopo qualche anno fu richiamato alle armi, sempre come autiere, in occasione della guerra in Etiopia, per due anni circa. Una volta congedato, si rimise a fare la professione di meccanico, ma ancora una volta lo scoppio della seconda guerra mondiale – nel 1940 – lo vide sul fronte di Albania prima, e poi in Grecia e Jugoslavia, dove fu fatto prigioniero dai partigiani di Tito, che l’impiegarono come addetto al vettovagliamento e al bestiame. Partecipò suo malgrado alla liberazione di Sarajevo e, solamente alla fine dell’anno 1945, fu lasciato libero di tornare in Italia. Una volta a casa, aiutato dalla famiglia, fece costruire una piccola e modesta abitazione, accanto alla casa paterna nella frazione di Fratta dove installò la sua officina di biciclette. Per più di venticinque anni esercitò la professione di meccanico di biciclette, ma non solo. Veniva, spesso e volentieri, anche richiesto di aggiustare attrezzi da lavoro agricolo (ad esempio pompe irroratrici per verde rame) e utensili da cucina (paioli pentole brocche ecc.). Nella sua professione di artigiano, si prese cura delle biciclette da corsa dei corridori locali (Marzio Marziali, Loris Magi, Giuseppe Ferri ecc.) che correvano per lo più per le società ciclistiche Faiv di Terontola e Fracor di Levane. Maturata la pensione, continuò fin quasi alla sua morte – avvenuta nel 1996 – a prendersi cura delle biciclette di amici e conoscenti. Durante la sua attività di artigiano ha venduto le biciclette marca Legnano, Bianchi, e in ultimo la Vilier Triestina, inoltre i motorini 48cc di marca Cimatti e Benelli.
Infine, è giusto ricordare un aneddoto relativo al soprannome con cui era conosciuto da tutti Gino, ovvero: Gino de Trainicche. Si racconta che – nella seconda metà del 1800 – il nonno di Gino spesso trascorreva le notti in campagna, alloggiando al capanno, a “badare” animali e colture dei campi dai ladri. Durante una di quelle notti, si incontrò con il famoso bandito aretino Federico Bobini detto Gnicche. (Nato il 13 giugno 1845 a Colcitrone, morto in conflitto a fuoco con i carabinieri, il 14 marzo 1871, a Tegoleto) Pare che tra il bandito e Gino fosse nata una certa amicizia. Gnicche trascorreva parti delle nottate a parlare delle sue avventure rocambolesche. Da qui il soprannome Trainicche.
Per concludere, qualche spiegazione sulla composizione della lista dei meccanici. Nella fretta di stringere i tempi, ci siamo divisi i compiti: a Loriano la cura delle fotografie, a me, Ferruccio, la stesura del testo. Senza darci criteri espositivi, ogni nuova figura che ci veniva ricordata l’abbiamo subito inserita nel testo. Noterete che su qualcuno è venuto un racconto più dettagliato, mentre su altri abbiamo raccolto meno notizie. Ciò è dipeso da parenti e amici che si sono prestati ad aiutarci. Capirete le nostre fonti d’informazione leggendo i nomi dei collaboratori. Alcuni dei quali hanno fornito loro stessi resoconti che abbiamo trascritti con pochi ritocchi.
Perciò, il lavoro è frutto di un’estesa rete di collaboratori, che ringraziamo. Scusando, in anticipo, qualche lacuna o imprecisione, non voluta, causata dalla fretta.