Lo sguardo di “Buio”, sovversivo campagnolo agli albori del Novecento

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sguardo di BUIORipenso alla storia singolare d’un vecchio anarchico conosciuto da bambino, che non era né aristocratico né intellettuale né operaio in settori industriali, bensì contadino e bracciante. Vissuto in zone isolate collinari tra Valdesse e Trasimeno: che fecero da nascondiglio nell’agguato di Annibale ai romani, durante la seconda guerra Punica.
Il mio vicino di casa, era noto a tutti come “Buio”. Altezza media, robusto, un po’curvo su spalle poderose, andamento caracollante, faccia scura, sopracciglia folte, sguardo triste e torvo che, incrociandolo, avrebbe inquietato. Un volto allarmante da tenere a distanza. In realtà, ricordo d’esser stato vezzeggiato da Buio, anche se in modi poco leziosi; che, d’altronde, erano gli stessi usati dagli adulti verso i piccoli campagnoli. Le coccole sdolcinate odierne, riservate a cuccioli bipedi o quadrupedi, era raro riceverle persino dai genitori.
Nella proprietà del Sor Giovanni detto il Valecchiese, alla Casa Bianca (toponimo mappale, niente affatto parente con le Casa Bianca dei potenti), vivevano nello stesso edificio due famiglie. La mia mezzadrile, nel lato a valle, composta da una decina di persone, con stalla, cantina e magazzino; e, a monte, la famiglia bracciantile di Buio, composta da tre o quattro persone, senza stalla né cantina né terreni da coltivare. Nella quiete collinare immersa tra ulivi e boschi cedui si godeva una splendida vista: sulla Valdesse sulla collina di Sepoltaglia sui monti di Ginezzo fino a Cortona. Certi giorni l’armonia tra le due famiglie era scossa dalle stranezze di Buio, a seguito del suo paio di sbornie ordinarie giornaliere: una mattutina e l’altra serale; quest’ultima, turbolenta, si concludeva a notte fonda. Con gli uomini della mia famiglia alla ricerca di Buio incespicato in anfratti – di ritorno dalla bottega del Passaggio a far provvista di vino -, o impegnati con pazienza a chetarlo in casa sua, soccorrendo le sue donne impaurite dalle minacce del vecchio, preda dei fumi alcolici. Maggiore agitazione era nelle gelide notti invernali, quando incombeva il pericolo di assideramento dell’anziano, caduto in forre e incapace a rialzarsi; o quando le minacce a moglie e figlie erano portate con utensili pericolosi. In quei frangenti, di norma, interveniva a rabbonirlo il nonno Beppe, coetaneo del bumbazziere. Non di rado, costretto pure ad andarci a letto…nudo; perché l’ubriaco temeva d’essere ammazzato dal nonno magari con un coltellaccio nascosto sottopanno… ubriaco e sospettoso… Nel resto del giorno, in cui il vino non faceva da padrone, Beppe e lo stralunato vicino divagavano in chiacchiere amichevoli, fumando accanitamente “Alfa” o sigarette arrangiate con tabacco ruspato nei campi. E storie da raccontarsi, i vecchi conoscenti, ne avevano in quantità. A quelle pause spesso assistevo anch’io, accucciato ai piedi del nonno, capendo poco o nulla dei loro colloqui. E qui finisce il racconto di cose certe, vissute in prima persona. La parte più intrigante la racconterò de relato, per sentito dire; più di tutti, dal nonno: intimo conoscitore di Buio, e dall’estro narrativo seducente. Unico. Senza escludere, tra i due, complicità e intese su vari aspetti della vita, comprese certe idee sovversive che Buio applicò con temeraria coerenza. Buio era coperto di tatuaggi di semplice fattura – disegni tratteggiati da qualche galeotto -, avendo subito il carcere militare (a Gaeta?) per aver tentato di uccidere un ufficiale. Non ricordo le ragioni della zuffa micidiale, mentre rammento il contesto. Chiamato in armi negli anni poco antecedenti la guerra ‘15-18, Buio mal sopportava la vita militare, tantomeno di andare in guerra. Per giunta, tempo addietro, aveva già mostrato la feroce avversione verso le autorità: sparando a un prete, in ossequio alla direttiva anarchica di accopparli tutti!… lui ci provò col suo. Per fortuna d’entrambi, la fucilata risparmiò la vita al religioso. Perciò, Buio, fu richiamato a casa dal rifugio francese dov’era riparato. (Agguato e fuga suscitano più che il sospetto sull’esistenza d’una rete organizzata). Ma torniamo agli sprazzi di memoria superstiti: sul tentato omicidio dell’ufficiale e quel che ne seguì. Nel turbine d’una volontà decisa a sottrarsi alla disciplina militare, la rabbia di Buio ebbe un violento epilogo: durante una rissa, tentò di uccidere (non ricordo l’esito: se l’aggredito sopravvisse) quel giovane ufficiale che, forse, gli era parso il peggiore tra chi usava impartire ordini. Subito dopo, Buio si finse pazzo, con determinazione. E subì stoicamente l’infissione di spilloni nelle sopracciglia – lui diceva, “senza batter ciglio!” – volendosi mostrare davvero pazzo. (In quella occasione gli fu praticato l’elettrochoc?). Durante il ricovero coatto in ambienti psichiatrici e in galera, accentuò il peggio del suo carattere: scontroso, attaccabrighe, capace di bizzarrie improvvise (da cui discendeva il nomignolo: Buio). Fino a escogitare l’ennesima stranezza. Quando caricò sulle spalle la pesante branda di ferro, con materasso, lenzuola, coperte, e il suo misero corredo, allontanandosi dalla camerata… trasportare quel peso non era da tutti. Anzi, era segno di forza bruta, rafforzata dal desiderio disperato d’esser lasciato in pace… pia illusione! in quel mondo di matti veri e finti e galeotti turbolenti… tanto che Buio portava vistose cicatrici sulle labbra, esito d’una rissa selvaggia nella quale i contendenti si erano presi a morsi in faccia, come animali in combattimento.
Trascorsi quegli anni terribili di storia patria – nei quali sul fronte di guerra morirono o furono mutilati centinaia di migliaia di soldati, in prevalenza di origini contadine – la vita di Buio, dagli anni Venti del Novecento, riprese il suo corso “normale”. Coi genitori, era stato contadino a Farnieto (da farnia: quercia gentile), dov’era nato negli anni Novanta dell’Ottocento. Più in alto di quel luogo remoto tra i boschi – all’epoca, raggiungibile per ripidi sentieri – c’era solo Volpaia; il cui nome dice tutto: covo di volpi! Possiamo ben immaginare disagi e misere condizioni nei casolari sperduti di Farnieto e Volpaia, dove a fatica si rimediava di che cibarsi. Tuttavia, le distanze dal mondo civile non impedirono a Buio d’entrare in contatto con idee, diffuse in Europa e in Italia, come quelle anarchiche, delle quali – secondo il nonno – Buio si sarebbe invaghito. Carattere ribelle e lucido, dimostrato raccontando le sue traversie con dovizia di dettagli, non paragonabile all’ingenuo Carrozza, suo vicino in quel di Volpaia, sul quale si tramanda una comica storiella. Carrozza, con ricetta medica, si recò in paese ad acquistare un farmaco per stimolare le “forze” alla moglie in travaglio. Spossato e ansioso di concludere al più presto l’incombenza, salendo l’erta verso Volpaia, si disse: “Se il farmaco è buono a stimolare le “forze” ad una partoriente, può ben servire anche a me!” e, convinto di ciò, ingurgitò parte del farmaco. Che, di lì a poco, gli procurò non pochi disturbi intestinali!… Si tramanda la storiella per il suo grottesco, ma anche per beffare la dabbenaggine di gente vissuta in paraggi sperduti. Tutt’altre avventure, invece, aveva affrontato Buio. Che, morto il babbo, ultra trentenne si sposò in rito civile con una “minorenne”, coi genitori di lei consenzienti; all’epoca, i vent’anni erano minore età. E, abbandonato il podere di Farnieto, da bracciante affittuario si accasò con mamma e moglie a Casa Bianca. Dove gli nacquero tre figlie, e vi rimase fino alla morte, ottantenne; vivendo a fianco dei mezzadri, che nel tempo si avvicendavano a condurre il podere del Sor Giovanni. Compresa la mia famiglia, che vi sostò quattro anni. Benché l’affitto di Buio fosse speciale: una lira all’anno! – già negli anni Cinquanta una lira era uno spicciolino – che il Sor Giovanni riscuoteva da Buio durante il pranzo annuale offerto dallo stesso padrone di casa! Pranzo a cui, a volte, era intervenuto il nonno Beppe che, senza essere cacciatore, era stato compagno di caccia del Sor Giovanni in età giovanile, in quanto suo mezzadro e fido guardaspalle. A commento dell’insolito affitto, sarebbe facile arguire il motivo per cui Buio non se la prese coi padroni (altra bestia nera degli anarchici), mentre si era scagliato decisamente contro un prete e un militare, autorità alle quali aveva dichiarato guerra a oltranza, perché da lui considerate tra i più malvagi burattinai manipolatori nella coscienza e nel comportamento dell’umanità subalterna. Coerente fino in fondo, sulla tomba di Buio non ci sono segni religiosi. Salvo due vasetti portafiori: crociati; forse perché in commercio non se ne trovarono altri.
                                                                                                                              www.ferrucciofabilli.it
P.S. Da principio, speravo in una ricostruzione “storica” delle vicende di Buio, ma nell’archivio diocesano non c’è traccia dell’agguato al prete. Perciò, ho rinunciato a indagare le vicende successive, come il tentato omicidio dell’ufficiale, di cui senz’altro ci sarà traccia. Ma, concludendo, penso che Buio avrebbe apprezzato di lasciare la sua storia nel vago… intollerante d’ogni autorità, e deluso dalle vicende umane come testimoniava la sua cronica ubriachezza nel lungo tramonto della vita.
F.F.

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