Se un viaggiatore mi chiedesse: “Dove inizieresti a scoprire il Sud America”? senza dubbio, risponderei: “Da Quito, e l’Ecuador”. Perché, in spazi poco più estesi dell’Italia, circa 380mila Kilometri quadrati e 17milioni scarsi di abitanti, in Ecuador sono codificati ben 14 biotipi naturalistici. Città coloniali patrimonio UNESCO, foreste primarie nebulose e amazzoniche, fantastiche varietà di flora e fauna, cordigliera delle Ande con gole profonde e alte vette vulcaniche, fiumi gonfi e spettacolari cascate, calde placide spiagge marine e onde ideali per surfisti, scene di vita primitiva in remoti villaggi andini, megalopoli moderne, climi estremi: caldo torrido, cime innevate, eterne primavere… l’elenco di curiosità potrebbe proseguire.
Lingua principale: spagnolo, facile da intendere. Pure diffusa, ufficiale, e insegnata a scuola è la Quechua dei nativi, usata gioiosamente anche da poeti e scrittori.
Come giunsi in Ecuador? Mio cugino Franco – sposata un’ecuadoriana – me ne fece un racconto eccitante. E, conosciuti Venezuela Paraguay Argentina, la conclusione m’è sorta spontanea: l’Ecuador è sintesi ideale del Sud America.
Si può organizzare il viaggio tramite agenzia, unendosi a gruppi organizzati, o col “fai da te”. Che non è, per forza, l’esperienza tragicomica raccontata nella pubblicità (turista fai da te?!… aiaiaii!), purché si legga un buon libro e, in loco, si prenda una guida. Il viaggiatore esperto può rinunciare all’appoggio locale avendo tempo, ma, di fretta, senza guida si perdono molti particolari dei luoghi, dove, forse, non torneremo mai più. La prima volta, cercai un contatto locale in Ecuador: il giovane architetto José. Che aveva sostenuto la tesi di Laurea su origini e struttura della città di Quito. Niente di più desiderabile. Girovagando per Quito, col lieve affanno che prende a 2.800 metri d’altitudine, seguendo descrizioni dettagliate e storia delle strutture in vista, divagammo su politica, progetti urbanistici presenti e futuri, e sulle infinite curiosità sorte strada facendo. A casa, avendo raccolto così abbondanti appunti, di getto scrissi l’unico libro di viaggio: Quito – Bellezze ambientali, storie e leggende. Apprezzato dai lettori, tradotto anche in spagnolo.
Quali pregi avrebbe Quito? È tra le prime iscritte nell’elenco del patrimonio culturale UNESCO (1978) per aver mantenuto i caratteri di città coloniale spagnola: strade strette, piazze, chiese, edifici pubblici e privati, monumenti, un insieme che ben palesa i cinquecento anni d’esistenza, appagando lo sguardo. Il costruito, ben conservato, è in scala compatta unitaria, in armonia con le sagome maestose di chiese e conventi che presidiano i quartieri. Da cui si deduce la supremazia delle varie congregazioni religiose sulla vita cittadina, sulle coscienze, sulla storia. Sensazione accresciuta varcando chiostri e presbiteri che racchiudono oggetti artistici prodotti in loco, d’ispirazione europea, ispanica e italiana. Sorprendente, la statua dedicata al conquistador Benalcazar, violento e spietato verso gli indios, la cui faccia truce è tutt’un programma! Soffrii quel paradosso. Solidale col popolo primitivo, convinto da José sulla mitezza indigena dei cacciatori raccoglitori che s’insediarono in quella gola, alle pendici del vulcano Pichincha. Indigeni – ottanta anni prima l’avvento dei conquistatodores -, sopraffatti pure dai non meno truci invasori Incas, provenienti dal Perù. Sconfitti dagli spagnoli, gli Incas rasero al suolo l’abitato. Cosicché, non restando reperti urbani, per documentarsi su civiltà precolombiane e preincaiche serve visitare i Musei della Casa del Alabado, e La Capilla del Hombre: complesso museale costruito dall’artista contemporaneo Oswaldo Guayasmin presso un’antica necropoli, ricca di corredi funebri. Oltre i reperti preincaici, Guayasmin lasciò sue struggenti prove pittoriche sui drammi sudamericani, mai finiti anche chiuso il dominio spagnolo, proseguiti nella storia tragica del secolo XX, segnato da guerre mondiali, guerre civili, genocidi, campi di concentramento, dittature e torture continuate quasi per tutto il secolo.
La storia di Quito è ricca di leggende ironiche e tradizioni del bel vivere, che ricavai da letture fatte tra una scarpinata e l’altra. Accenno, ad esempio, i miti di Padre Almeida, francescano libertino, e il Chulla quitegno, tipico debosciato sopravvissuto secoli. Non sorprenda, perciò, se el buen vivir è sancito nella Costituzione Ecuadoriana. Principio (distorto) presente nei motivi che spinsero i primi avventurieri spagnoli nel mitico Eldorado: provenienti da una società tradizionalista, dove la Chiesa perseguiva quale crimine religioso ogni forma di libertà sessuale, soldati e frati trovarono nel Nuovo Mondo il posto adatto per soddisfare i più inconfessabili istinti: cupidigia e lussuria. Lo scienziato Humboldt, (tra Sette-ottocento) visitando Quito, ricalcava: “In nessuna città ho riscontrato, come in questa, uno spirito così deciso e generalizzato a divertirsi”. Il viaggiatore odierno non godrà più tali suggestioni: il mondo è omologato, dappertutto. Mentre sarà sedotto dalla ospitalità cordiale, e da scelte tra mille curiosità e attività: culturali, ambientali, artigianali, sportive, … muovendosi su strade ottime, comodi e puliti hotel e aree di sosta, cibi gustosi, tutto a costi ragionevoli in dollari USA, moneta corrente. Cosa si mangia? È la prima domanda dell’italiano medio. Il riso sostituisce pasta e pane, insieme alla yucca. Cucinano carne, legumi, pesce, frutta e verdure fresche tutto l’anno. Ritenuto ghiotto il Cuy chactado (maialino d’india) arrosto. Nei ristoranti la cucina è internazionale, le varie gustose specialità (platano fritto, ceviche, ciccioli, salsicce, brasati, zuppe di pesce o pollo, fanesca, maiale, agnello, manzo, trippa, cacio) si scoprono nei ristoranti tipici, in Hosterias, o nei baracchini stradali.
[Fine prima parte, seguirà la seconda e ultima: “Altri Percorsi”].fabilli1952@gmail.com