Le corna nella letteratura e nella storia – di Rolando Bietolini e Carlo Roccanti

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Il testo che segue è la traduzione in commedia di una accurata ricerca storico-letteraria in tema di CORNA svolta con ammirevole cura da due letterati contemporanei: Rolando Bietolini appassionato di letteratura erotica (avendo già prodotto una gustosa trilogia “La cosa” “Il coso” e “L’arte del pompino”) e Carlo Roccanti poeta vernacolare in chianaiolo. A loro si è aggiunto, nella recitazione dal vivo, Sergio Angori, già docente universitario di Pedagogia, cui corrisponde la S dei dialoghi. Ovvio R  è Rolando e C Carlo. Questo testo definitivo è stato recitato presso la Università della Terza Età di Terontola. Buon divertimento! -. Ferruccio Fabilli

Saluto dell’Organizzazione

Attimi di silenzio con Carlo e Rolando che si massaggiano la fronte, poi:

R.
Cara, ho paura che mio marito sia molto malato.
C.
Per carità, fai le corna.
R.
Oh! Fosse per quello, non avrebbe neanche un raffreddore.
C.
Da una statistica risulta che il 50% degli italiani ha una relazione extraconiugale.
R.
Sai cosa significa?
C.
Che, se non ce l’hai tu, allora ce l’ha tua moglie, la… relazione. È la statistica!
R.
Mio marito è un buono a nulla. Se non ci fossi io non sarebbe neanche capace a essere cornuto.
C.
Se uno ti porta via la moglie, non c’è miglior vendetta che… lasciargliela.
R.
Ma ora, basta; a te, Sergio, l’onore dell’introduzione.
C.
Oh, oh…Non cominciamo con i doppi sensi, io direi di definirla Premessa, sarà meglio.
S.
Sarà una breve… Premessa. Ridere – è cosa risaputa – fa bene alla salute, aiuta a vivere sereni, solleva l’umore, allontana l’ansia e lo stress.
La questione che tratteremo nella nostra “dissertazione semiseria”, in verità molto poco seria, come accennato è tutt’altro che da considerare una cosuccia: è un fatto incontrovertibile che, a cominciare dalla mitologia greca, la nostra storia brulichi di tradimenti coniugali.
Al di là del desiderio di condividere con voi il piacere di trascorrere un’ora dimenticando i tanti affanni che ci assillano, preme sottolineare che la preparazione di questa “dissertazione” è stata preceduta da un lungo lavoro, serio – questo sì -, approfondito, documentato scientificamente, condotto con grande scrupolo in larghissima misura dal prof. Rolando Bietolini, bibliofilo di vaglia, apprezzato studioso ed esperto del settore, che ha setacciato la letteratura di tutti i tempi e anche di diverse culture alla ricerca di opere dedicate all’argomento.

Il lavoro di selezione e di analisi da lui svolto si è arricchito del prezioso contributo del dott. Carlo Roccanti – ringrazio entrambi, fin d’ora, con riconoscenza e con molto affetto – per la “messa in scena” di questa “cosa” che vogliamo proporvi.
Gli ingredienti di cui essa è fatta sono pochi ma, vi assicuro, di… qualità: storia, letteratura, costume, arte, corna di ieri e corna di oggi, cornuti di paesi lontani e, naturalmente, anche di Cortona, ma… ma… della Cortona del tempo che fu.
Ed allora partiamo da un fatto di corna accaduto proprio nella nostra città nel lontano luglio 1766 che Bernardino Cecchetti (un prete pettegolo, con la lingua di Perpetua, come ha detto qualcuno) racconta nelle sue “Cronache cortonesi”, una specie di diario in cui egli annota, per circa cinquant’anni, tutto quello che quotidianamente accade in Cortona, ove vive (viveva) una donna sposata, una certa Mencacchiona, piuttosto chiacchierata a motivo della sua condotta non proprio irreprensibile
R.
La nostra Mencacchiona, portata via dal famoso Gioacchini era stata denunciata dal marito al tribunale (per abbandono del tetto coniugale, si direbbe oggi) e lui era stato denunciato per ratto. Il di lei marito, sapendo che essa era alla osteria di Monte Calandro con il suo Gioacchini,
C.
Ma questa, allora, è roba di Terontola…Oh, non c’è niente da fare… per certe cose si va a finire sempre tra le frasche, da quelle parti!!
R.
(il marito della Mencacchiona dunque) se ne andò lesto lesto a vederla e appena arrivato (i due amanti) gli si presentarono con garbo dicendogli che scusasse di tale affronto ma non vi era stato nulla di male, anzi tutto era riuscito in bene per l’anime loro perché lui l’aveva condotta alla Madonna del Loreto e avevano pregato anco per la salute del di lei marito.
C.
Il buono uomo (il marito) non solo gli perdonò, ma restò loro obbligato e intanto ricondusse la moglie in Cortona. Il Tribunale, però, non intese storie e fece carcerare la detta Mencacchiona. Il giorno dopo il predetto Gioacchini, forse per spiegare i buoni propositi fatti nello spirituale viaggio della Santa Casa di Loreto, venne a Cortona ma sentendo che la donna era stata carcerata si ritirò, per paura, in casa del marito di lei in S. Sebastiano, ed ivi mangiarono insieme, essendo ormai fatti amici sviscerati.
R.
Esempio perfetto di “becco e contento”!!
S.
Le corna, si sa, hanno sempre suscitato ilarità ma non se ne comprende il vero motivo, essendo – almeno per sentito dire – una delle cose più fastidiose e “pesanti” che un uomo o una donna debbano portare. Ovviamente per rientrare nella “Corporazione dei Cornuti” bisogna per prima cosa aver contratto matrimonio. Fatto ciò, non resta che attendere: la sorte prima o poi è generalmente benigna.
C.
Questa strana “malattia coniugale” che colpisce gli adulti di sesso maschile, ma non solo loro, non ha purtroppo alcun antidoto: nemmeno un grande e saggio imperatore filosofo, come Marco Aurelio, fu in grado di esserne immune (altri imperatori notoriamente “cornuti”, come risulta dall’opera di Svetonio (70-140 d. C.) De vita Caesarum, furono Adriano, a causa di Sabina, e Claudio, marito di Messalina, considerata ancor oggi, e son passati 2000 anni, una poco di buono).
A chi lo spingeva a punire severamente l’infedeltà della moglie Faustina, Marco Aurelio rispose, con stoica saggezza, non esservi alcuna medicina per questo “male”.
R.
Dovete sapere, in proposito, che Faustina aveva seguito il marito imperatore in ben due spedizioni di guerra, ricevendo il titolo di “mater castrorum”, ossia di “madre degli accampamenti militari”, meglio si sarebbe però dovuto dire: “di amante di tutti i soldati degli accampamenti romani”. Edward Gibbon, storico inglese, nel suo testo “Storia e decadenza dell’impero romano”, dà credito a tali maldicenze e scrive: “Faustina non è meno famosa per le sue disonestà che per la sua bellezza”.
S.
Della donna della Roma antica – della matrona come si chiamava allora – si è a lungo celebrata la dedizione alla casa e alla cura dei figli (diversamente dalle donne etrusche, considerate più frivole), ma nella società romana dell’età imperiale le cose cambiano: le donne sono ormai più colte, più intraprendenti, possono disporre del proprio patrimonio avuto in dote, dispongono di maggiore libertà e così arrivano i vizi, tra cui l’infedeltà.
E di questo decadimento dei costumi, in tono comico-satirico, si dolgono, nei loro versi, sia Giovenale che Marziale, entrambi vissuti tra la fine del I e l’inizio del II secolo d.C.
Giovenale, nella sesta Satira, che si intitola Contro le donne, mette in allerta tutti gli uomini che intendano sposarsi sulle conseguenze del matrimonio e scrive:
R.
Valle a capire le donne!
Se per caso si trovano in pericolo
per un motivo serio, eccole lì
gelide di paura, con le gambe
che non le reggono, pronte a svenire;
ma con quale coraggio invece affrontano
i rischi nelle più turpi avventure!
Se l’ordina il marito, ahi che fatica
imbarcarsi: la stiva come puzza,
il cielo come gira sulla testa…
Se sono invece con l’amante,
tutto funziona a meraviglia, testa e stomaco.
Col marito rigettano, con l’altro
mangiano allegre insieme ai marinai,
corrono per il ponte, si divertono
a maneggiare…quei duri cordami.
S.
E più oltre:

C.
Vi sento, vecchi amici miei, da un pezzo
predicarmi: “Chiudila a catenaccio,
non falla uscire!”. Ma chi guarderà poi
le guardie? E’ a loro che una moglie furba
in primo luogo penserà.
S.
E Marziale così denuncia i vizi del tempo, tra cui l’infedeltà coniugale. Tra i suoi pochi epigrammi leggibili in questa sala, ascoltiamo quello scritto in onore del ricco Candido:

R.
Soltanto tuoi sono i poderi, o Candido, soltanto tuoi i denari,
soltanto tuoi i vasi d’oro e di mirra,
soltanto tue le anfore di vino massico,
e soltanto tuo il senno, e soltanto tuo l’ingegno.
Soltanto tue sono tutte queste cose: né credere ch’io voglia negarlo!
ma la moglie, Candido mio, l’hai in comune con tutti.

S.
Nonché l’epigramma dedicato ad un cornuto pacifico
C.
Chi è, Mariano, cotesto ricciutello,
che sempre alla tua sposa sta attaccato?
Chi è cotesto ricciutello,
che sussurra all’orecchio delicato
di tua moglie non so che parole
e appoggia sulla sedia
il suo gomito destro?
Non mi rispondi nulla?

R.
– Egli sbriga gli affari di mia moglie! Eh sì, davvero è un uomo di fiducia.
C.
Sbriga gli affari di tua moglie?
Proprio quel ricciutello buono a nulla?
Costui non di tua moglie, o Mariano,
gli affari fa, ma fa gli affari tuoi.
S.
Ancora dalla letteratura latina vi proponiamo una pagina del IX libro delle Metamorfosi di Apuleio (scrittore del II sec. d.C.). L’opera, conosciuta anche come L’asino d’oro, è un romanzo in cui Lucio, il protagonista, è stato trasformato in asino e vive diverse peripezie prima di poter tornare ad essere un uomo. Quest’asino, che mantiene il raziocinio umano, nel suo peregrinare assiste a diversi fatti, compreso vari tradimenti coniugali.
Dopo aver toccati parecchi cascinali e villaggi – dice l’asino – ci fermammo a un paese e nella locanda dove prendemmo alloggio, ci fu riferita la storiella spassosa di un poveruomo, fatto cornuto, che ora voglio raccontare anche a voi.

C.
Dunque, quest’uomo che lavorava da fabbro faceva la miseria nera e, con quel che guadagnava, appena appena riusciva a vivere. Anche sua moglie, come lui, non aveva il becco d’un quattrino ma, in compenso, era libidinosa al massimo, e tutti lo sapevano.
Un giorno, di buon’ora, appena il marito se ne uscì per andare al lavoro, subito un amante, con estrema sfacciataggine, s’infilò in casa. Ma ecco che mentre i due s’azzuffavano alla bell’e meglio sul letto, l’ignaro marito, senza sospettare di nulla, tornò sui suoi passi e, trovando la porta chiusa e sprangata, fra sé compiacendosi dell’onestà della moglie, picchiò all’uscio e le dette anche un fischio per farsi riconoscere.
La moglie, furba e pratica in imbrogli di questo genere, si staccò dall’uomo che teneva stretto fra le braccia e, come se niente fosse, lo nascose in una botte vuota, seminterrata in un angolo; poi, aperta la porta, aggredì il marito che ancora nemmeno era entrato:
R.
«Ah, è così? Ora mi vai anche a spasso, con le mani in tasca, come uno sfaccendato buono a nulla. Perché non sei andato a lavorare? Alla famiglia non ci pensi, no? Cos’è che mangeremo oggi? E io, disgraziata, che me ne sto notte e giorno a rompermi le braccia filando lana perché in questa stanzetta almeno ci sia accesa la lampada. Guarda Dafne, quella qui vicino invece, com’è più fortunata di me: mangia e beve da prima mattina e si rivoltola nel letto ora con uno ora con un altro».
S.
E il marito, dopo una simile strapazzata:
C.
«Ma che ti prende? Il padrone aveva una causa in tribunale e ci ha fatto far festa. Però io ci ho pensato lo stesso alla nostra cenetta. La vedi quella botte? Sempre vuota, occupa tanto spazio per nulla, anzi sempre lì tra i piedi è più un impiccio che altro. Ebbene, l’ho venduta a un tale per sei denari; tra poco sarà qui con i quattrini e se la porterà via. Perciò dammi una mano a tirarla fuori».
R.
(risata) «Ma che gran d’uomo che è mio marito; ha proprio il bernoccolo degli affari: mi va a vendere a un prezzo inferiore della roba che io, povera donna, sempre chiusa in casa, ho già venduto per sette denari».
C.
«E chi te l’ha comprata a così tanto?»
R.
«Ah scemo! È già da un po’ ch’è lì dentro, per vedere se è sana!»
C.
Dal canto suo l’amante non fu da meno della donna e, spuntando fuori:
S.
«Vuoi sapere la verità, buona donna? Questa tua botte è troppo vecchia e sgangherata. Ha certe crepe che paion fessure. E tu buon uomo, chiunque sia, fammi il favore di darmi una lanterna; voglio toglierci tutto lo sporco per vedere se può ancora servire. Non crederai mica che io li vada a rubare i miei soldi!»
C.
«Tirati sù di lì, amico mio, e stattene quieto e comodo, disse il marito. Ci penserò io a farlo e te la mostrerò quand’è pulita».
S.
E così dicendo, toltisi gli abiti, il marito si calò dentro con il lume e cominciò a raschiare tutte le incrostazioni che con il tempo s’erano formate in quella vecchia giara.
Dal canto suo l’amante, un pezzo di ragazzo, si lavorava di gusto la moglie del fabbro che se ne stava appoggiata e curva sulla giara e che anzi, sporgendo il capo all’interno, si prendeva gioco del marito dicendogli:
R.
«Pulisci qui, c’è ancora sporco lì…, e qua…, e là».
S.
Portato a termine ciascuno il suo lavoro, e avuti i suoi sette denari, quel disgraziato fabbro fu costretto a caricarsi in spalla la giara e a portarla fino a casa del suo rivale.
C.
Altro tipico esempio di “cornuto e contento”!.
S.
Ma, fermiamoci un attimo sul termine “cornuto”, sulla cui origine circolano diverse versioni. E’ doveroso partire dalla Mitologia dell’antica Grecia. Siamo a Creta: Minosse, figlio di Giove, per legittimare il suo diritto di successione al trono dell’isola, chiese al dio del mare Poseidone una degna vittima da sacrificare durante la cerimonia.

R.
Dalle onde del mare apparve un toro tutto bianco, bellissimo. Talmente bello che Minosse pensò di tenerlo per sé sacrificando al suo posto un altro toro. Brutto affare offendere la suscettibilità di una divinità di quei tempi: Posidone se la legò al dito e, visto che la moglie di Minosse, tale Pasife, godeva di un’accertata fama di ninfomane mangiauomini, scatenò in lei una passione contro natura per lo splendido animale. Ma come fare per soddisfare l’insano desiderio ?
C.
Ci pensò un geniale Architetto, ospite del re che deliziava spesso la corte con i suoi giocattoli meccanici: il famoso Dedalo. Questi costruì una realistica sagoma di una mucca, entro la quale sistemò a dovere la vogliosa Pasifae, e la posizionò strategicamente in bella vista sul prato ove beatamente pascolava cotanto toro. Non entro nei particolari su quello che successe: solo che dopo nove mesi nacque un frugoletto, purtroppo con la testa di toro, il mitico Minotauro al quale venne imposto il nome di Asterione.
R.
Minosse, pur già ampiamente “cornificato”, non ne fu molto contento: con un toro era troppo….! Fece costruire il notissimo Labirinto dove fece rinchiudere il Minotauro, la madre Pasifae ed anche l’ Ing. Dedalo che poi se ne sarebbe scappato assieme al figlio Icaro volando con ali posticce appiccicate con la cera, ma questa è un’altra storia….
S.
Questa è la leggenda nuda e cruda: sembra in realtà che Asterione (meglio noto come il Minotauro) fosse nato in realtà da una relazione della vispa Pasife con un aitante Generale di Minosse, tale Taurus appunto, notissimo atleta nei giochi di Tauromachia. Il fatto è che, da quando venne alla luce Asterione-Minotauro, i pettegoli abitanti di Creta cominciarono a salutare a mo’ di scherno il loro Re Minosse facendo appunto il gesto delle corna per ricordargli la “scappatella” della moglie Pasifae.
Un’altra ben accreditata ipotesi sostiene che il termine è nato da un racconto sulle “imprese” dell’imperatore bizantino Andronìco (vissuto tra il 1118 – 1185). Un personaggio di pochi scrupoli che, dopo una serie interminabile di intrighi e nefandezze, riuscì ad impossessarsi del trono.
Andronìco, specialmente nei confronti di quei nobili che lo avevano avversato durante la conquista del potere, escogitò un modo tutto suo di vendetta: prima faceva arrestare per futili motivi il nobile preso di mira, poi giaceva con la moglie dell’arrestato e, beffa finale, ordinava di appendere sulla facciata dell’abitazione del malcapitato una testa di cervo o di altro animale cornuto. Nasce così il modo di dire in greco: chèrata poièin ovvero “mettere le corna”.

Un’altra versione ci racconta invece che Andronìco, essendo un gran donnaiolo cercava in ogni modo di insidiare le mogli altrui. Aveva perciò inventato un espediente tale che mentre l’ignaro marito era intento a “cacciare” in una riserva, il Sovrano andava anch’egli a “cacciare”, ma in un’altra “riserva”, spassandosela con la di lui sposa. E quando il cortigiano, tutto contento, ritornava a casa carico di trofei venatori, Andronìco non solo gli conferiva il titolo onorifico di “Gran Cacciatore” ma anche di “Gran..…
C.
Dunque facciano attenzione i cacciatori veri a non tornare a casa con molti trofei. Sarebbe una curiosa vendetta del destino se accadesse che mentre il marito sta cacciando gli uccelletti, la moglie facesse altrettanto.
S.
Probabilmente però questa storia è frutto di inventiva popolare, che sfruttava questa antica usanza per deridere i costumi nobiliari. Quello che è certo è che presso i Greci e presso i Romani le corna non avevano un significato disonorevole.
La donna infedele pagava personalmente la sua colpa senza per questo infangare il marito e renderlo oggetto di derisione. Anzi ,le corna erano attributi con cui spesso si manifestavano talune divinità: Giove Ammone, Bacco, Pan…
E giustamente il poeta livornese Giovanni De Gamerra, a fine Settecento, così canta:
R.
“Fra gli antichi non fu mai disonore
l’ esser cornuto da qualcun chiamato,
ma sempre dinotò gloria ed onore
e gloria e onore è suo significato”.
S.
Presso i barbari le corna erano addirittura un vanto di cui amavano adornarsi e di cui erano estremamente fieri. Inoltre le corna venivano usate nei banchetti, per bere, e nei sacrifici come coppe. Infine, come trombe, per annunciare o segnalare qualcosa.
Nel mondo antico non esiste la figura del “cornuto”; né l’uso specifico delle corna per indicare il tradimento e l’adulterio.
Esiste invece un aspetto delle corna che ritroveremo poi nel periodo medievale. Le corna hanno la pro¬prietà di allontanare i malefici ed impedire il diffondersi del malocchio. Portare le corna, cioè un oggetto fatto a forma di corna, è un modo sicuro di tutelarsi dalle disgrazie (Tirare fuori il cornetto)
C.
Mi sembra che alcuni abbiano supposto che derivi dall’uso delle donne romane di mettere un amuleto a forma di anello nell’indice e nel mignolo. (gesto delle corna) E infatti per scongiurare la iettatura si distendono queste due dita e si chiudono le altre.
S.
Più probabilmente è in ambiente cristiano che si afferma l’ idea di un legame tra corna e adulterio. Già per i primi cristiani era un peccato gravissimo il tra¬dimento del “sacro” vincolo coniugale: la donna che lo commetteva si diceva che facesse indossare al suo sposo le corna stesse del Diavolo. E c’è una tradizione medievale che fa riferimento a ciò: le corna erano il giusto premio che Satana tentatore aveva dato ad Eva per la sua compiacenza, e che quest’ultima aveva regalato ad Adamo co¬me risarcimento dell’infedeltà subita. Per gli antichi, come si è visto, le corna rappresentavano la forza.
R.
Perso il significato originario di forza, le corna prendono vie diverse, rappresentando – da un lato – il simbolo del Demonio, e – dall’altro – una difesa contro le forze del male.
Pan, i Satiri e tutte le divinità caprine si trasformano in diavoli cornuti. Anzi, Satana stesso viene rappresentato con gli attributi di Pan: le corna, gli zoccoli caprini, la barba del becco, il maschio della capra. E infatti nelle iconografie medievali il diavolo appare sotto forma di un caprone.
C.
Si vengono pertanto a contrapporre due figure: la prima, la strega, sposa infedele di Satana-becco, la seconda, la vergine, sposa fedele di Cristo-agnello. Non è però ancora comprensibile come da una situazione tragica – quella di scoprire l’infedeltà della persona che si ama – si sia giunti alla comica rappresentazione dì chi è stato tradito. C’è, forse, un bisogno intrinseco dell’uomo di sdrammatizzare situazioni di tensione o di paura, di esorcizzarle, trasformandole in situazioni comiche, dalle quali egli stesso può uscire rinfrancato. Le corna – ci piace pensare – sono sempre gli altri ad averle e, se così è, ci si può anche ridere sopra!.
S.
Ovviamente, in tema di corna, dominando la mentalità maschile, la più colpevole è stata sempre considerata la donna. L’uomo infatti ha preteso da lei un contegno irreprensibile, in netto contrasto con il diritto che si è auto-attribuito di violare tale retto comportamento. In particolare, abbiamo visto che nella severa Roma repubblicana la donna doveva essere assolutamente pudica e fedele.
C.
“Casta fuit, domum servavit, lanam fecit”.(si mantenne casta, curò la casa e, traducendo alla buona, fece la calza)
Ma Catone sentenzia anche:”…se sorprendi tua moglie in atto di adulterio puoi ucciderla senza processo e impunemente”. Che bei tempi…..!

S.
Solo in un caso fu permesso alle donne , e non fu senza ragione, di eludere questi “sani” principi: quando Annibale giunse alle porte della città sguarnita e ormai allo stremo: in quell’occasione le donne romane si concessero ai pochi romani sopravvissuti per assicurare comunque la discendenza di Roma.
R.
Corna in questo caso altamente patriottiche! La guerra è guerra….
S.
A partire dal Medioevo le corna cominciano ad essere oggetto di beffa e tra i primi a darne questa interpretazione è Giovanni Boccaccio, che dedica più d’una “novella” del “Decamerone” a ragionare, appunto, “delle beffe le quali o per amore o per salvamento di loro le donne hanno già fatte a’ lor mariti, senza esserne essi avveduti o no”.
Vi proponiamo uno stralcio della novella VII della VI giornata che ha per titolo:
Madonna Filippa dal marito con un suo amante trovata, chiamata in giudicio, con una pronta e piacevol risposta se libera e fa lo statuto modificare.
Nella terra di Prato fu già uno statuto che comandava che fosse arsa viva quella donna che dal marito fosse con alcuno suo amante trovata in adulterio.
Avvenne che una gentil donna e bella e oltre ad ogn’ altra innamorata, il cui nome fu madonna Filippa, fu trovata nella sua propria camera una notte da Rinaldo de’ Pugliesi suo marito nelle braccia di Lazzarino de’ Guazzagliotri, nobile giovane e bello di quella terra, il quale ella quanto se medesima amava. La qual cosa Rinaldo vedendo, turbato forte, appena del correr loro addosso e di uccidergli si ritenne.
Calmato il desiderio di farsi giustizia sul momento Rinaldo pensò bene di denunciarla al podestà chiamandola in giudizio.
C.
II podestà, riguardando costei e veggendola bellissima e di maniere laudevoli molto e di grande animo, cominciò ad aver di lei compassione, sperando che Filippa non arrivasse a confessare il fatto, e perciò le disse:- Madonna, come voi vedete, qui è Rinaldo vostro marito, e duolsi di voi, dicendo che vi ha trovata in adulterio con un altro uomo; e per ciò domanda che io vi punisca con la morte come richiede lo statuto, ma ciò far non posso, se voi nol confessate, e per ciò guardate bene quello che voi rispondete e ditemi se vero è quello di che vostro marito v’ accusa.
R .
La donna, senza sbigottire punto, con voce assai piacevole rispuose: – Messere, egli è vero che Rinaldo è mio marito e che egli questa notte passata mi trovò nelle braccia di Lazzarino, nelle quali molte volte sono stata; né questo negherei mai; ma come io son certa che voi sapete, le leggi deono esser comuni e fatte con consentimento di coloro a
cui toccano. Ma, avanti che ad alcuna co¬sa giudicar procediate, vi prego che una piccola grazia mi facciate cioè che voi il mio marito domandiate se io ogni volta, e quante volte a lui piaceva, senza dir mai di no, io di me stessa gli concedeva intera copia o no.
C.
A che Rinaldo, senza aspettare che il podestà il domandasse, prestamente rispuose che senza alcun dubbio la donna ad ogni sua richiesta gli aveva di sé ogni suo piacere conceduto.
R.
Adunque domando io, messer podestà, se egli ha sempre di me preso quello che gli è bisognato e piaciuto, io che doveva fare o debbo di quel che gli avanza? Debbolo io gittare ai cani? Non è egli molto meglio servirne un gentile uomo che m’ ama, che lasciarlo perdere o guastare?
C.
Da qui il detto delle sagge donne chianine, peraltro mai contraddetto, che “È meglio fassela becchè da l’ucelli che fassela cunsumè dai bèchi!”
S.
Con il Boccaccio, nel racconto, viene introdotto anche il motivo della “gelosia”. E la donna è “maliziosa in beffare suo marito” quanto più costui è geloso. Così il marito, roso dalla gelosia, si trasforma gradatamente ed irreversibilmente nel “Cornuto” per eccellenza. Un altro tema su cui il letterati hanno giocato è quello della dabbenaggine di certi mariti poco versati alla bisogna. Un letterato, nostro conterraneo, Poggio Bracciolini da Terranova (1380-1459), ce ne porta un gustoso esempio nel racconto CL delle sue Facezie dal titolo: Un giovane inesperto che non si fece la moglie la prima notte
R.
Un ragazzo di Bologna, certo più che sciocco, prese per mo¬glie una splendida fanciul-
la; e la prima notte, digiuno al completo delle faccende che s’ usano (non avendo mai prima d’allora avuto una donna), non consumò il matrimonio. Al mattino un amico gli chiese come fossero andate le “cose notturne”. «Male» rispose. «Ho cercato a lungo di unirmi a mia moglie, ma l’ho trovata senza quel taglio che mi dicevano essere proprio alle femmine.” Si accorse l’altro dell’imbecillità di lui, e allora: «Taci, ti scongiuro, non farne parola: è una faccenda gravissima e assai pericolosa se la si viene a sapere in giro».
C.
II marito chiese subito aiuti e consigli. «Mi incaricherò io della fatica di praticare questo benedetto taglio; sempre che tu voglia offrirmi una lauta cena. Però ho bisogno di otto giorni di tempo per condurre a termine un’impresa come questa, tutt’altro che facile.» ./.
Fu d’accordo lo stupido, che pose di nascosto l’ amico nel letto della moglie, co-ricandosi lui stesso in un altro giaciglio. Trascorso il periodo indicato, quando ormai l’opera del benefattore aveva ben allargata la via (in modo che non ci fosse più timore d’ alcunché), l’amico chiamò il marito per dirgli che aveva assai faticato per lui: ora finalmente era pronto il taglio tanto desiderato. La fanciulla, pur essa ben istruita, si compiacque col marito per il buon lavoro dell’uomo. E lo scemo, trovata la moglie forata, lo ringraziò tutto contento, pagandogli poi la cena pattuita.
S.
Abbiamo detto che fin dall’antichità l’adulterio è oggetto di condanna e di pene severe e che la causa della “infedeltà” coniugale è ritenuta principalmente la donna.
Gustosa, a questo proposito, la ribellione a tale convincimento e la requisitoria contro l’ipocrisia maschile che De Gamerra mette in bocca ad alcune donne.
De Gamerra è un poeta livornese della seconda metà del ‘700, famoso per aver scritto la Corneide, un poema in cui immagina di essere in un paese presso il quale approdano grandi torme di cornuti da tutta la terra: ricchi, poveri, giovani, vecchi, tutti accomunati dallo stesso destino: avere le corna.
Così canta il De Gamerra:
R.
Ergo se l’abbracciare un fido amante
È delitto, secondo il parer Vostro,
Quando l’uomo ne abbraccia tante e tante,
E perché sol sarà delitto il nostro?
A una sposa che cede al supplicante,
Morte disdoro insulti esilio e chiostro
E intanto il lascivissimo marito
Della moglie più reo, resta impunito.
S.
In effetti, la donna, più dell’uomo, ha sofferto, a torto o a ragione, le pene dei tradimenti. L’uomo è invece sempre (quasi sempre) riuscito a giustificare le sue scappatelle.
Questo modo di pensare è continuato fino a pochi decenni fa.
L’art. 559 del Codice Penale Rocco stabiliva :
La moglie adultera è punita con la reclusione fino a un anno. Con la stessa pena è punito il correo dell’adultera. Il delitto è punibile a querela del marito.
E il marito adultero? Per lui non erano previste pene, salvo che il suo contegno costituisse ingiuria grave per la moglie.
Dello stesso Codice Penale, l’ art. 587, rimasto in vigore fino al 1981, riguardava il cosiddetto “delitto d’onore” e diceva:
Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni.

C.
Insomma se la cavava con poco. Ma, visto che abbiamo l’onore di avere tra noi il sommo poeta di Salcotto, (indica Rolando)ecco come commenta una sentenza:
R.
Becco e mazzièto
(Suprema Corte di Cassazione. Sentenza n. 10/1977)

Leggo che la Cassazione,
si ‘l marito è al lavoro:
“E’ vietèto – fa’ attenzione –
de tradillo de straforo!”

E cusì, si a la consorte
c’è chj fa girè la testa,
glie nòn pu’ accettè la corte,
anze deve restè onesta.

La morèle dice alora
che ‘n se pole fè curnuto
el marito che lavora.

Cusì père autorizzèto,
anze, sembra ch’è duvuto
fallo si è disoccupèto.
S.
Ma non era sempre stato così: dall’Antico Testamento si evince che un tempo l’adulterio era considerato, in realtà, un peccato gravissimo, punito altrettanto gravemente: con la morte e, per la donna, anche con la lapidazione.
R.
“Se un uomo commette adulterio con la moglie del suo prossimo, entrambi, sia l’adultero che l’adultera, saranno messi a morte”, si legge nella Sacra Scrittura. Se però l’uomo aveva una relazione con una donna non sposata era invece “punito” con lo sposarla.
C.
Il che è la dimostrazione palese che il matrimonio costituisce di per sé una punizione.
R.
Sì, però, come dice S. Paolo: “meglio sposarsi che ardere all’Inferno”.
S. Contro la lapidazione si pronuncia nettamente Gesù e visto che abbiamo tra noi il celebre poeta dialettale Carlo dottor Roccanti ne approfittiamo per ascoltare una sua reinterpretazione, in versi chianini, della famosa pagina del Vangelo relativa, appunto, alla adultera perdonata.

R.
E ce credo che Gesù perdonò l’adultera: che fatiga no, ‘nn era mica la su’ moglie.
C.
E’ una mia composizione di oltre 20 anni or sono che si adatta….a fagiolo e che si intitola

OCCHJO A LE SASSÈTE

A la Messa siguìo piéno de zelo
e pròpio co’ la massema attenzione
el préte che leggéa prima ‘l Vangelo
e doppo, quande dèa la spiegazione,
de comme che ‘l Signore, ‘l sapparéte,
una donna salvò da le sassète.

Enfatti succedéa lì ‘n Palistina
(sintite béne quelo che ve dico):
si ‘na moglie facéa ‘na scappatina
(comme che pu’ succéde) co’ ‘n amico,
si ‘ntul fattaccio ce la ‘ntoppèno…
co’ le sassète la lapidèno!

Mettésson qui ‘sta legge… se sta belli:
non bastarìa… la chèva del Donzelli!!
S.
Ma torniamo al tema. Nell’antica Grecia sebbene entrambi gli adulteri fossero puniti con severità c’era comunque un certo riguardo per la donna, considerata per lo più come una creatura “sedotta”. Per cui le leggi sull’adulterio colpivano drasticamente soprattutto il “maschio” traditore, mentre la donna riceveva biasimo ma non la morte.
Il grande legislatore spartano Dracone (fine VII sec. a.C.) affermava che non doveva es¬sere punito chi avesse ucciso l’adultero in casa propria. Il troppo è troppo! C’era in ogni caso, anche allora, una possibilità per l’amante (uomo) di sfuggire alla punizione pagando al marito, ma solo con il suo consenso, una pena pecuniaria.
C.
Era forse l’origine del mari¬to “cornuto e contento” di cui abbiamo visto qualche esempio?
S.
Ad Atene tra le varie pene infamanti, se scoperto, l’amante doveva subire la rasatura del pube, che lo rendeva simile ad una donna.

C.
Sergio, ma forse tu non sai che per l’adultero era prevista, a quell’epoca, anche la vio¬lenza anale mediante l’immissione di un rafano, una radice commestibile ma piuttosto acre e presumo … anche dolorosa.
S.
Invece nella severa Roma gli amanti erano puniti entrambi. Inizialmente, sia il marito che il padre della sposa avevano il “diritto di uccidere” (jus occidendi). L’adultero, come in Grecia, poteva essere ucciso oppure, a scelta degli offesi, preso a frustate o a pugni. Poteva essere anche mutilato, tagliandogli di netto il naso. Talvolta veniva anche privato dei suoi attributi maschili o persino sodomizzato collettivamente dai servi.

R.
Sappiate che c’era anche l’uso di ficcare un “muggine” nel sedere del malcapitato: e sappiate che il muggine è un pesce dalla testa molto, ma molto grossa, con molte scaglie!
C.
Rolando, ho l’impressione che bisognerà stare in guardia: con questo continuo cambiare di governi… avessero a reintrodurre questa legge!
S.
Sotto Augusto, la “Lex Julia de adulteriis” stabilì che nessun marito avrebbe potuto più uccidere la moglie colta in adulterio: gli era consentito solo di ripudiarla. Invece il disgraziatissimo amante poteva naturalmente essere ucciso.
R.
Una punizione classica della donna era, poi, quella dell’Ordalia dell’Acqua: la colpevole di adulterio veniva gettata con mani e piedi legati nell’acqua. Se sopravviveva voleva dire che era innocente.
C.
Nei secoli successivi la stessa punizione era riservata alle donne accusate di stregoneria ma, in questo caso, senza alcuna pos¬sibilità di salvarsi. Infatti, se per caso le presunte streghe fossero riuscite a riemergere, vole¬va dire che il Diavolo le aveva aiutate; pertanto dovevano nuovamente essere messe a morte.
S.
Per restare in epoca medievale lo Statuto di Cortona del 1325 regolamenta anche questa materia e prevede dettagliatamente le pene da infliggere. Cortona – va detto – era una Comunità molto civile anche allora. Per fatti di corna non si ammazzava nessuno! Lo Statuto stabiliva:

R.
“Chiunque sia trovato in atto sessuale con la moglie d’altri, paghi una multa di 50 lire”. Insomma: se scoperto, vada dal gabelliere, paghi e .. chi ha avuto ha avuto!
La Statuto stabiliva altresì: “Se qualcuno dovesse tenere un’amante in casa con la propria moglie (perché magari, da solo, non ce la fa), allora il podestà, il vicario o il rettore, a richiesta di un fratello e di un religioso, di un sacerdote o di chiunque altro, è tenuto a punirlo e a farlo espellere da Cortona”. Si trattava di evitare che dessero pubblico scandalo! Inoltre: “Chiunque abbia commesso adulterio con la moglie d’altri non può essere accusato o denunciato, né si può procedere in alcun modo contro tale adultero, se non dietro denuncia di un familiare. E tale denuncia e accusa sia fatta pubblicamente e platealmente, e che non si possa condannare tale adultero per adulterio reiterato o più volte commesso fino al giorno dell’accusa. Solo allora debba essere condannato con la sanzione di 50 lire da versare al comune di Cortona per l’adulterio in qualsiasi numero commesso.”
C.
Vediamo di non dare troppi suggerimenti come questi al nostro Sindaco o a qualche Assessore. Se dovessero riproporre questa legge, in un anno sistemano il Bilancio: altro che l’Autovelox….!
S.
Norme tutt’altro che vessatorie, dunque, ma con un limite:
C.
“Chiunque alla vigilia della festa di S. Margherita e il giorno della festa predetta e un giorno dopo tale festa commetta adulterio o altro delitto personale o un furto o altro delitto in Cortona e nel suo distretto, paghi il doppio della pena indicata nello Statuto”. (breve sosta) Dallo Statuto apocrifo da me rivisto scaturisce un opportuno suggerimento: Se vogliono risparmiare è bene che gli interessati controllino attentamente il calendario!
S.
Siamo agli inizio del Trecento: è quello il momento in cui si afferma il Dolce stil novo: un movimento poetico che vede nella figura femminile la “donna-angelo”, una donna da contemplare. Ma gli uomini e le donne, a dispetto del Dolce stil novo, sono anche passione, che talvolta diviene incontenibile, impetuosa, travolgente. E vittima di passioni travolgenti sono i personaggi magistralmente descritti nel canto V dell’Inferno: il canto dei lussuriosi, le cui anime sono trascinate qua e là da una bufera incessante che simboleggia la forza, appunto, della passione carnale. Dante chiede a Virgilio di parlare con le due anime che se ne stanno avvinghiate l’una all’altra, sbattute dalla “bufera infernal che mai non resta” e che incessantemente le tormenta: sono le anime di Paolo e Francesca

R.
“O anime affannate,
venite a noi parlar, s’altri nol niega!”.

Quali colombe dal disio chiamate
con l’ali alzate e ferme al dolce nido
vegnon per l’aere, dal voler portate;

cotali uscir de la schiera ov’è Dido,
a noi venendo per l’aere maligno,
sì forte fu l’affettüoso grido.
S.
Mentre Paolo rimane in silenzio e piange, Francesca racconta la sua relazione amorosa.
C.
Siede la terra dove nata fui
su la marina dove ’l Po discende
per aver pace co’ seguaci sui.

Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende.

Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.

Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense”.
S.
E Dante insiste per conoscere come è nato il loro amore. Va detto che Paolo e Francesca, in vita, erano cognati. Lei era la sposa di Gianciotto, Signore di Rimini, uomo anziano, brutto, cattivo, rozzo. Mentre Francesca stava leggendo, insieme a Paolo, fratello del marito, il libro in cui si racconta l’amore tra Lancillotto e Ginevra, moglie del re Artù, parte la scintilla della passione amorosa tra i due:

R.
Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.

Per più fïate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.

Quando leggemmo il disïato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,

la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante”.
S.
Versi di straordinaria bellezza del nostro sommo Poeta che, con molto rispetto e pudore, abbiamo voluto inserire in questa “dissertazione”.
Ma facciamo un balzo nella storia e arriviamo al Cinquecento quando, nella Mandragola di Machiavelli, l’infedeltà coniugale è il pretesto per una divertente storia architettata alle spalle di un dottore bonaccione e, poi, giungiamo al Seicento quando viene quasi istituzionalizzata la figura dell’attentatore all’altrui fedeltà: cioè la figura avventurosa del “libertino”, che troverà grande sviluppo nel secolo successivo.
II cornuto non è più solo un personaggio della letteratura boccaccesca ma un personaggio tipico della commedia. Le commedie di Moliere e di Goldoni traboccano di figure di cornuti.
Per tornare alla documentazione settecentesca della vita in Cortona, Bernardino Cecchetti di cui abbiamo già parlato, ci narra un episodio singolare.
All’epoca (siamo a fine ‘700), le monacande, prima della loro promessa solenne di ubbidienza, povertà e castità, dovevano sperimentare le tentazioni della vita, in modo da saper consapevolmente rinunciare ad esse e, in caso di necessità, da poter dire: “ Signore dammi la forza di dire di no”. In sostanza, per prepararsi a non cadere, in futuro, in tentazione – anche pensare a certe cose, come si sa, è peccato – dovevano superare delle prove. Accadde così, scrive il Cecchetti, che :
C.
La mattina del dì 18 una figlia sposa monaca del marchese Venuti si è portata nella torre di piazza (la torre del Palazzo comunale di Cortona) per seguire la sciocca usanza introdotta non so con che ragione che tutte le spose monache pochi giorni avanti di entrare in monastero erano accompagnate in detta torre per toccare il batocchio della campana grande, e siccome quella mattina erano 11 ore e mezzo, quando la detta sposa prese con la sua delicata manina il prefato batocchio e suonò un poco più del solito delle altre spose monache. Il duomo credendo che fosse mezzogiorno, suonò l’ultima messa avanti il tempo e ciò diede da ridire a tutta la città considerando esser quella una usanza sciocca e indecente che le spose monache dovessero di norma andare a toccare i batocchi delle campane, tirandone poi delle conseguenze poco decenti alle dette fanciulle.
S.
Un’altra figura che si pone al centro di questa problematica è quella del Prete, e in particolare il “Prete di campagna” oggetto di tanti racconti boccacceschi e di facili ironie. L’obbligo del celibato tutela questa figura da ogni “rivalsa” da parte dei mariti: lui ha sposato la Chiesa…
C.
Però mi sembra che la faccia… scopare dal sacrestano…!
R.
SPAZZARE vorrai dire…
C.
Elementare Watson…
R.
Il Prete è una figura di riguardo rispetto ai suoi parrocchiani umili e spesso sempliciotti. Poi, con l’obbligo della Confessione, conosce tanti segreti e, se vuole, può andare…a colpo sicuro ! Poi le statistiche ci dicono che la donna ha aspettative di vita maggiori rispetto all’uomo e , nell’ Ottocento/Novecento, ci sono state tante guerre che hanno falcidiato tanti giovani lasciando vedove le loro mogli. E, dato che abbiamo l’onore di avere qui tra noi il Dr. Carlo ROCCANTI, sommo poeta del Poggetto del Riccio, ne approfittiamo per ascoltare una sua nota composizione dialettale al riguardo.
C.
Si tratta di una mia poesia di oltre vent’anni or sono che si intitola appunto

LA FUNZIONE DEI MORTI

S’èra ridotto mèle Don Simone
Sempre più cjàlbo….sempre più smagrìto….:
manco dovésse vìre a fè ‘l “Formòne”…
che ‘l lavoro ‘n l’éa péso….è garantito !
‘Na vita dovéa fèccèrto de stenti:
davéro reggéa l’ànnema…coi denti !

Ensiéme a l’altri Préti, ‘n Semmenèrio
un giorno s’atrovò pe’ ‘n Cuncistòro:
stèa da ‘na parte, mogio mogio e serio,
guèsi distratto lì anco sùl lavoro.
De questo sen’acòrse Sua Eccellenza
ch’à la fine ’l chjamò per un’udienza.
Guminciò ‘l Vèsco: “Chèro Don Simòne,
me sembre stràcco…père ‘m péscio lésso.
Certo, vurrìa da te ‘na spiegazione
e sapé de priciso…ch’è successo !”
“Tu le Funziòn dei Morti – fa ‘l Curèto –
Eccellenza me so troppo ‘mpegnèto ! “

“Ma che me dice, chèro Don Simone,
fè ‘lle Funziòni…nn’è ‘n gran lavorone !”

“El dite Vò, Eccellenza, che nn’è dura !
Ho venti…véddeve ‘ntù la mì Cura !!!”
S.
Ma è nell’Ottocento che l’adulterio trionfa: esso viene ammirato dai romantici non solo come esaltazione totale dell’amore ma anche come violazione della morale borghese fondata sull’istituzione del ma¬trimonio.
I romanzi hanno commosso generazioni di ragazze, che come in una catarsi purificatrice hanno potuto espiare spiritualmente la “colpa” di aver preferito la “stabilità” e la “sicurezza” del vecchio marito alla “felicità” data dal giovane amante, anche se spiantato. Nel Novecento è arrivato il “triangolo” e l’adulterio ha finito per diventare quasi esclusivamente materia da tribunale, soprattutto quando il marito tradito risolve “equamente” la situazione, uccidendo entrambi gli amanti (delitto d’onore)
Cadute le pene per l’adulterio, esso cessa di essere un delitto contro il matrimonio e diviene una semplice “relazione extraconiugale”.
R.
Ricordate la statistica: il 50% degli italiani avrebbe una “relazione extraconiugale”!
C.
Mi sa tanto che anche in questo gli italiani sono… i soliti spacconi! Però di casi mi sembra ce ne siano molti e gradirei sentire in merito Rolando sommo poeta di Salcotto:
R.
LA MOGLIE PRIVIDENTE

“Chèro Gianfranco mio, cunsiderèto
che ‘l mi’ marito è tanto scarognèto
che ‘nn è capèce a gnente a fè da sé,
aspètteme domène, pe’ le tre.
Per fè sparì la iella che cià ‘ntorno,
me sò’ dicisa a regalagne ‘n corno.”
S.
Sorge a questo punto una domanda: perché, allora, esistono ancor oggi le “corna”?
Fedeltà alla tradizione? Ritorno ad antichi costumi? Amore per il passato? “Cornuto” è una ingiuria normale ed usuale anche verso persone non sposate.
Cornuto è l’arbitro di calcio….( Battuta di Carlo: “E anche…Juventino !”), cornuto l’automobilista che ci supera, cornuto è il vigile che ci multa, cornuto è il vicino che fa rumore la notte, cornuto è …
Ma il vero “cornuto” dove è andato a finire? E prima di tutto: qual è la causa vera delle corna? Ce lo spiega Pierre de Bourdeille, detto Brantôme (1540-1614), storico e biografo francese, in uno scritto dal titolo La causa vera delle corna.
R.
«Gentili signore; è già gran tempo ch’io ho sentito parlare di questa malattia ma nessuno ancora ha saputo dirmi donde essa provenga. Se alcuna di voi fosse capace di illuminarmi in proposito io canterò pubblicamente le sue lodi anteponendola a tutte le al¬tre le quali non mi han data finora alcuna spiegazione soddisfacente». Indottevi dalle mie parole tutte le si¬gnore risposero. Una invece era rimasta silenziosa, la quale, quando le altre ebbero finito, cominciò a sorridere e infine parlò in questa guisa: «Due parole bastano a risolvere ogni dubbio; due parole che nessuno mai potrà accingersi a confutare. Tenete per fermo che ciò che soprattutto rende cornuti gli uomini, anche i più belli, i più galanti e i più compiti, che non lo sono meno degli altri, è il fatto semplicissimo che per la donna due uomini valgono più di uno».
S.
Lapalissiano! Nel corso dell’Ottocento anche taluni filosofi si sono occupati delle corna. Ne parla perfino Carlo Marx, che distingue tra Traditi, Cornuti e Becchi. Nel suo celeberrimo opuscolo, Il manifesto dei Comunisti, nel II Capitolo (Proletari e Comunisti), si domanda, poi, se le donne siano o meno da considerare uno “strumento di produzione”.
C.
Perbacco! se lavorano e portano a casa un bello stipendio sono sì uno strumento di produzione!
S.
Altro acuto studioso di corna è stato Charles FOURIER, socialista utopista vissuto in Francia tra sette e ottocento. Propugnava il superamento della famiglia monogamica: L’uomo, egli sosteneva, non deve avere una sola partner e le donne devono poter avere più uomini, anche le donne devono godere di una loro sessualità.
R.
Questo è il vero socialismo dal volto umano !

S.
Asserisce inoltre che possiamo distinguere nove tipi di Cor¬na, sia tra gli uomini, sia tra le donne, e se il marito ne porta di alte come quelle di un cervo, si può dire che quelle della moglie arrivano all’ altezza dei rami degli alberi.
Ci limiteremo a citare le tre tipologie più significative che egli elenca: il Cor¬nuto, il Cornetta e il Cornardo.
R.
II Cornuto propriamente detto è un geloso onorevole, che ignora la sua disgrazia e si crede il solo possessore di sua mo¬glie.
C.
Il Cornetta è un marito sazio degli amori casalinghi, che, volendo trovare altrove i suoi piaceri, chiude gli occhi sulla condotta della moglie, e lascia che si prenda gli amanti che vuole, purché non ne abbia dei figli.
C.
II Cornardo è un geloso ridicolo, che non piace alla mo¬glie, e che è ben informato della infedeltà di lei: è un iracondo che recalcitra ai voleri del destino, e vi si oppone goffamente, diventando oggetto di derisione per le sue precauzioni inutili, la sua collera e i suoi scoppi d’ira.
S.
Ma il Fourier si è spinto oltre e ha formulato una classificazione dei cornuti ancora più precisa e dettagliata tollerante, fino a ben 80 tipologie. Vediamone qualcuna:
C.
Il cornuto salutista: è colui che, per ordine del medico, si astiene dal peccato carnale. Sua moglie non può far altro che ricorrere all’opera dei sostituti, ed egli non ha il diritto di lamentarsi. (pausa)…Infatti ha i suo certificato !
Vorrei avvisare a tale proposito il nostro pubblico che, a fine serata, se qualcuno ha bisogno di tale certificato, il nostro Dott. Calzolari ha portato il ricettario ed è a disposizione…..(E poi dicono che non si fanno iniziative a carattere sociale….!)
R.
Il cornuto riformista: chi si dedica agli interessi della comunità, sorveglia le famiglie dei confratelli, e li ammonisce sui pericoli che minacciano la loro onorabilità. Nel frattempo, egli non vede cosa avviene in casa sua, e non capisce che farebbe meglio a difendere i suoi interessi.
C.
Il cornuto disertore o scissionista (mi sembra doveroso chiarire al nostro attento pubblico che la tipologia del “cornuto scissionista” è stata codificata dal Fourier circa 250 anni orsono. E pertanto non è attribuibile – come qualcuno maliziosamente potrebbe pensare – a recenti tweet di Matteo Renzi):
dunque, cornuto disertore o scissionista è chiunque che, stanco degli amori domestici, mostra di aver rinunziato alla sua sposa e, quando vede un amante, dice: «Appena sarà sazio, ne avrà abbastanza anche lui, come me».
S.
Per restare alle classificazioni c’è da dire che i cornuti non sono tutti uguali: vige anche tra loro, così come deve essere, una casta privilegiata e poi si scende giù giù: c’è insomma una precisa gerarchia legata alla quantità di corna possedute, come autorevolmente attesta il livornese De Gamerra:

R. Un corno solo alla sua fronte porta
chi la moglie ha puttana, ed ei nol sa;
ma due ben lunghe poi quell’altro n’ha,
che finge nol saperlo, e lo comporta.
Chi lo confessa, e da persona accorta
alcun risentimento non ne fa,
questo n’ ha tre, e quattro poi chi va
gli adulteri a condurre alla sua porta.
Ma chi si stima poi lieto e felice,
e pensa non aver fronte ramosa
e chi crede alla moglie quanto dice,
che la casta Penelope famosa
in paragon di lei sia meretrice;
questo sì, che n’ ha cinque: oh bella cosa!
S.
Giggi Zanazzo, romano de Roma, avanza una ulteriore proposta su come raggruppare iI popolo dei cornuti:
C.
(Chiedo preventivamente scusa per il mio modesto romanesco: penso di cavarmela molto meglio col chianino!) Aricordateve che li cornuti se divideno in cinque specie. Becchi, Cuccubboni, Becconi, Tribbecchi e Calidoni.
Li BECCHI so’ quelli che nun ce lo sanno d’ essece;
li CUCCUBONI ce lo sanno e tireno a campa pe’ quieto vive;
li BECCONI ce magneno sopra;
er TIRIBBECCO è quello che porta l’ amico a casa sua e se squaja co’ na scusa;
er CALIDONE poi è quello che porta lo stendardo ne’ la processione de San Martino: é quello che accompagna la moje a casa de l’ amico.
R.
Ma, ma che c’entra S. Martino?
S.
In effetti nella storia del vescovo di Tours (316-400 ca.), per l’appunto Martino, non esiste nulla che giustifichi un accostamento con le corna e non è chiaro come si sia giunti a tale accostamento facendo dell’11 novembre la festa dei cornuti.
Quel che sappiamo è che a metà novembre, nella Roma antica, si celebrava la festa dei Brumalia in onore di Dioniso-Bacco. In periodo cristiano questa festa fu sostituita da quella di S. Martino ed è possibile che, nella mente popolare, quella adunanza di fedeli avvolti in pelli di montone, simili a satiri o divinità silvane, si sia trasformata in una folla di gente cornuta e per successive trasposizioni in una festa di cornuti.
Più probabilmente, però, la spiegazione è un’altra, che ci riporta alla mitologia greca, con gli amori adulterini di Marte e Venere, i quali sorpresi da Vulcano (marito di lei) furono rinchiusi in una rete di ferro (Vulcano faceva il fabbro!). Dopodiché lo stesso Vulcano chiamò gli altri dei per averli testimoni del torto subìto; ma fu invece da loro beffeggiato e deriso.
Forse Martino è qui inteso come un diminutivo di Marte, e questo, nel passaggio dell’antica religione pagana al cristianesimo, avrà dato luogo all’equivoco che ha portato ad accostare il nome di San Martino alle… vittime delle infedeltà coniugali.
Come abbiamo già appurato sinonimo di cornuto è il termine becco. Per il De Gamerra l’origine di questo nome è legato a quello che si pensava fosse il costume del maschio della capra, appunto il becco:
R.
Becco gli antichi popoli han chiamato
lo sposo d’ una femmina lasciva,
ch’a più d’ un giovanetto innamorato
delle dolcezze il bel sentiero apriva;
ciò forse perché aveva osservato

che la capra non è di molti schiva
e se capra sapea la moglie farsi
lo sposo in becco ancor dovea cangiarsi.
S.
Si credeva infatti che il becco, unico tra gli animali, fosse disposto a permettere che la sua femmina si accoppiasse con altri. Attribuire ad una persona questo costume voleva dire paragonarlo ad un caprone, e quindi dargli del cornuto.
Per la verità, nella graduatoria delle offese, il Becco rappresentava uno scalino inferiore del cornuto: era colui che cedeva ad altri il suo talamo per qualche interesse (denaro,
carriera…). Cose… ovviamente che accadevano in altri tempi! Ed ancora il De Gamerra così descrive questi mariti…generosi:

C.
Cheti lascian la moglie in braccio altrui,
e dicon non mostrando alcun pensiere:
godiamo, e gli altri ancor lasciam godere.
S.
Alla fine però la distinzione perse valore e Cornuto e Becco finirono per indicare indifferentemente il marito compiacente e quello ignaro. L’ Aretino Pietro usa addirittura il diminutivo “beccarello”.
Ma il testo fondamentale resta il poema in ottanta canti e sette tomi del livornese Giovanni De Gamerra, più volte citato, il cui titolo è tutto un programma:
– La corneide, poema eroicomico del dott. Cornografo, colle annotazioni di Cornelio Tacito il moderno, in Cornicopoli, per Luca Cornigerio all’insegna del capricorno. S. d.
Lo scopo del libro è indicato chiaramente nei seguenti versi:

C.
O voi che avete le cervella sane
Mirate la Dottrina che s’asconde
Sotto il velame delle corna umane.
S.
Abbiamo ricordato il Fourier con il suo immaginario paese di cornuti, ma sono la letteratura dell’Ottocento ed il cinema nel Novecento che attingeranno, a piene mani, a storie di tradimenti coniugali, influenzando in modo rilevante i costumi ed il modo di vivere la relazione amorosa tra l’uomo e la donna.
Ed allora, per i romanzi d’adulterio, in cui alla noia ispirata dal marito si contrappone l’amour-passion dell’amante, il pensiero va a Madame Bovary di Flaubert, ad Anna Karenina di Tolstoj, alle storie raccontate da Moupassant, da Zola, dai nostri De Roberto e Capuana, a La virtù di Checchina di Matilde Serao, a L’esclusa di Pirandello.
Mentre per il cinema ricordiamo solo “Il magnifico cornuto”, con Ugo Tognazzi, 1964 e il divertentissimo Mimì metallurgico ferito nell’onore, con Giancarlo Giannini e Mariangela Melato, del 1972.
Giunti pressoché alla fine di questa nostra più o meno dotta conversazione, veniamo a una questione seria: come si fa a scoprire se si è cornuti, perché la domanda, giusto per precauzione, ogni tanto è bene porsela!

R.
Gli antichi usavano l’Alectriomanzia. Per prima cosa facevano un cerchio per terra e lo dividevano secondo le lettere dell’alfabeto. Poi, in ciascuna lettera ponevano un granello di frumento. Posto quindi un gallo al centro del cerchio aspettavano di vedere che cosa avrebbe “beccato”. Ovviamente se la perso¬na era “un “cornuto” il gallo avrebbe cominciato dalla C e cosi di seguito fino a completare il nome.
C.
La lettera C? Speriamo che non sia Carlo.
S.
Ma ci sono altri metodi che garantiscono maggiore scientificità.
R.
Se si mette un diamante sulla testa della donna che dorme, si conosce se è fedele o infedele al marito; perché se è infedele si sveglierà impetuosamente; al contrario se è casta lo abbraccerà subito e con trasporto. (Alberto Magno).
C.
Ma sei matto? Con quanto costano i diamanti ti costerà caro controllare se sei un cornigero! No…ci sono altri metodi assai più a buon mercato….
Anche la calamita sembra che serva allo stesso scopo. Riportiamo da un testo di Frate Jacopo Passavanti, fiorentino dell’ordine dei predicatori ( siamo nella seconda metà del 500): ”Chi vuole sapere se la moglie l’è leale, pongale un pezzo di calamita sotto il capo quand’ella dorme; e se ella sarà casta e fedele, si volgerà ed abbraccerà il marito; s’ella sarà adultera e sleale non potrà sofferire la virtù della pietra, ma come sospinta, caderà a terra dal letto”
R.
Finito l’incontro, se qualcuno è interessato, abbiamo l’elenco delle ferramenta convenzionate che nel cortonese vendono le calamite adatte alla bisogna. Affrettatevi perché so che vanno a ruba!
S.
In realtà un rimedio alle infedeltà coniugali ci sarebbe:
C.
Prendere l’estremo del membro genitale di un lupo, il pelo delle sue palpebre e quello della estremità della coda, ridurlo in polvere per calcinazione e somministrarlo alla donna o all’uomo a sua insaputa.
R.
Il problema è: il lupo sarà d’accordo?… E poi, mi fido più dei “rimedi” della Cuzzina!
S.
Avviandoci a concludere – con sommo e, speriamo, reciproco rincrescimento –
dobbiamo purtroppo prendere atto che non esistono rimedi veri e propri contro le corna.
C.
C’è anche chi ha consigliato di non sposarsi, ma, non è possibile modificare il proprio destino.
E se, come abbiamo visto, la donna è colpevole di tutto ciò, allora liberiamola dalla colpa. Diamole finalmente la vera parità, che non è riuscita ad acquisire col lavoro, con lo studio, con i diritti. Diamole l’unica cosa che ancora le manca per essere veramente un uomo: diamole le corna!
R.
Eh!… Piano! Piano!, Non rubiamo il mestiere al Padreterno: la donna l’ha creata lui, con tanta pazienza e sentimento. E gli è venuta anche benino! Prima di disturbare l’Altissimo, per vedere se è d’accordo ad aggiungere le corna alla sua “creatura”, sentiamo cosa ne pensa San Pietro che del problema, tempo addietro, si è occupato personalmente. L’ha interpellato, a questo proposito, ancora una volta il nostro eccelso poeta dialettale Carlo Roccanti che ne ha ricavato la poesia EL SUDORE DE LA FRONTE
C. Si tratta di una mia ironica composizione di oltre vent’anni or sono:
“ Certo ‘sto mondo è fatto ‘n gran bordello:
– pensò ‘l Signore su ntul firmamento –
è tutto ‘n mette i corni a questo e a quello…
qui bisògna pensè a ‘n pruvidimento.”

Fece chjamère subbeto San Piétro
e volse fagne ‘ntende ‘l su’ giudizio:
“Qui bisògna che ‘l mondo arvèda ‘ndjétro
E cerca de capì che ‘nn è ‘no sfizio.

Qui nòn c’è più morèle… ‘n c’è famiglia…
Deve arvì tu la terra, eh sirà dura…,
ma mostrete de colpo a chjnche sbaglia
e fagne arnì a ‘sta gente gran paura!”

Pronto al comando, disse: “Sì” San Piétro,
e dal cielo spiccò ‘na volatona:
nònn ebbe ‘l tempo d’arvoltasse ‘ndjétro,
che s’artrovò tul centro de Cortona.
E subbeto trun viquelo niscòsti
vedde ‘n ómo e ‘na donna ‘ncatreccèti.
“Per fè ll’amore questi nòn sòn pòsti
– disse – mò vò ‘mpaurì ‘sti disgrazièti!”

Co’ ‘n gran lampo gne cumparì davanti
E quelli disson: “Mò chj è ‘sto guardone?!”
Ma arconobbeno ‘l Princepe dei Santi…
e s’arcomposon, piéni d’attenzione.

“Parturirè tu, o donna, con dolore!
– gne fa San Piétro e le su’ chjève sbatte –
E co’ la fronte piéna de sudore,
ómo, la vita dovarè tu guadagnatte!!”

Quel tèle armanse lipperlì ‘nterdetto
E rosso doventò pe’ l’imbarazzo:
“Scusa San Piétro… manco de rispetto…
Ma de ‘sto fatto.. ‘n c’è capito ‘n cazzo:
glie… ha preso ‘n anticoncezionèle,
e io… fo l’impieghèto cumunèle!!”

S.
E, quindi, esentata, lei dal dolore e lui dal sudore! Il tema delle corna è entrato stabilmente nella saggezza popolare con tutta una serie di proverbi e facezie anche se sempre sconsigliabile farsi accecare dalla gelosia come successe invece ad un famoso personaggio citato ancora da Poggio Bracciolini

C.
Un tale Giovanni da Gubbio, gelosissimo, non riusciva a scoprire se la moglie si divertiva con altri. Pensò allora ad una furberia tutta degna di lui: si castrò, prevedendo che, se la moglie fosse rimasta incinta, egli finalmente sarebbe stato sicurissimo del suo adulterio.
S.
Comunque chi dovesse trovarsi le corna, non se ne adonti: fondamentalmente vuol dire che almeno…ha la moglie bella ! Ma senza arrivale al caso estremo raccontatoci da Poggio Bracciolini, c’è chi, avendo qualche dubbio ha voluto controllare di persona. Trovandoci qui a Terontola approfitto ancora del Sommo Poeta Dr. Carlo ROCCANTI che tanto ha scritto sull’argomento…..

LA GHJACCEA (3.04.1994)

Arivò la “Dentòna” per Narcìso,
un colpo e via: murì senza stentère.
Giònse a l’ùscio cusì del Paradiso
e dimandò a San Piétro de rentrère.
Ma prima de timbràgne el passaporto,
San Pietro chiése comme ch’èra morto.

“Ma che ve devo dì ? – fece Narciso-
è ‘na storia ‘n po’ longa a raccontè
però, si de sintìlla éte dicìso,
Ve la dico…mettémmece a sedé.
Avéo ‘na moglie bella pròpjo tanto,
che davéro podèo menànne vanto.

Ma al lavoro, i colleghi tutti i giorni
badèno a dì: “ La moglie è troppo bella…
en qualche modo te li mette i corni.
El fàn le brutte…figuràsse quella !
Io avéo fiducia…ce arìa giòco el collo…
ma ‘n giorno me dicìse afè ‘n controllo !

Entànto che Narcìso raccontèa
un’altr’ànnema giònse guèsi al volo:
el ghjàccio ‘l chèpo e ‘l viso gne ‘ncrostèa
comme si fusse stèto lassù al Polo !
Gne fa San Piétro: “Aspetta… non so’ pronto…
sghjàccete…che mò sento sto’ racconto ! “

“Enventò che dovéo vì dal Dottore
-Narcìso continuò ‘ndù avéa lascèto –
Prese cusì ‘n permesso de quattr’ore
e argiònse a chèsa pròpjo nn’aspettèto.
Me venne a a iprì la moglie, mèzza ‘gnùda,
che disse :”Fa ‘n gran caldo… qui se suda !”

“Frugò tutta la chèsa… ero dicìso,
la soffitta…cantina eppù l’armèri.
Amirò sott’al letto… eh so pricìso !,
ma traccia non trovò de furistiéri.
Fu pròpjo tanta la sudisfaziòne…
che lì al cuore me vénne…n ‘ cocquelòne !

Quel’altr’ànnema ch’èra lì a ‘spettè
la bocca ‘n poco guminciò…a sghjaccè:

“Si éi miro, bischero, ‘ntù la ghjaccèa…
a st’ora tutti do mò se campèa !!!”

S. Come diceva una vecchia pubblicità: “la fiducia è una cosa seria…” Ma proprio su questo tema sono tanti i proverbi, specie della tradizione toscana: vere perle di saggezza…
R.
Quando vecchio piglia donna,
suona a morto o suona a corna !

C.
Chi di lontano si va a maritare…
o gliele fanno o le vuole fare

R.
Sia da Preti e da Soldati…
stiano attenti gli ammogliati !

C.
Comunque, in conclusione…
Chi è cornuto e vuol star bene….
pigli il mondo come viene !
S.
Ed allora, dopo questa sana botta di filosofia esistenziale, almeno per chi ha fede, che sia uomo o donna, non rimane che pregare di non aver… mai corna da portare!

R.
Signore, cornuto io non sia,
se lo son, che mai lo sappia,
se lo so, che non lo veda,
se lo vedo, non lo creda,
e credendo non mi persuada,
e se sono, se so, se vedo, se credo e me ne persuado…
dammi la rassegnazione di portarle in santa pace.

SERGIO – CARLO – ROLANDO si alzano in piedi gridando
Sursum corna!!!

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