La Chiesa offre variegate figure di sacerdoti, vescovi e cardinali. Papa Bergoglio – preferendoli di moralità specchiata, usi al contatto con la gente comune – fronteggia curiali resistenti alla sua visione evangelica pauperista, presi da privilegi e mondanità, se non lussuriosi malversatori di beni destinati al culto e alla carità.
Franciolini, ultimo vescovo cortonese residente nella diocesi, apparteneva ai prelati dal pensiero aristocratico, in graduale riduzione con la fine della monarchia in Italia, e la rinuncia al triregno da parte dei Papi.
Se pure le sue mani robuste rivelassero che, forse, da giovane le usò in lavori faticosi regalandogli una robusta fibra fisica, con cui superò novant’anni con pochi acciacchi.
Dagli anni Trenta agli Ottanta del secolo passato, resse la diocesi distinguendosi per moralità, senso civico, cultura raffinata, vita sobria, destinando propri averi all’incremento del patrimonio artistico cittadino. Il più prestigioso, commissionato a Gino Severini, fu il mosaico sulla facciata a valle della chiesa di san Marco, dedicato all’evangelista – dal leone simbolico, simile a quello dello stemma cittadino -, e le edicole musive della Via crucis che, da via delle Santucce, finiscono nel piazzale di Santa Margherita. Santa a cui fu molto devoto. Raffigurata sullo sfondo del ritratto giovanile di Franciolini. Vescovo arrivato a Cortona da Nocera Umbra, dov’era stato Rettore del seminario. Altro lavoro artistico finanziato dallo stesso è il portale bronzeo sul pavimento della Cattedrale: copertura della cripta dov’è sepolto.
Indole aristocratica – si sosteneva nutrisse simpatie monarchiche – non si distaccò dagli eventi contemporanei: il passaggio del fronte di guerra e il Concilio Vaticano secondo, a cui partecipò in qualità assistente al soglio pontificio.
Al passaggio del fronte, aveva invitato i curati a tenere il diario degli eventi nelle loro parrocchie, e molte di quelle vicende confluirono nella raccolta intitolata Piccola Patria, curata da Pietro Pancrazi. E, da dietro le quinte, autorizzò il giovane don Giovanni Materazzi a partecipare al locale Comitato di Liberazione, in quota Democristiana, e a impegnarsi con altri partiti al riassetto del Comune disastrato.
Franciolini, consapevole della frattura che divise il popolo cristiano per la scomunica dei comunisti (componente massiccia tra i fedeli), dopo rigidità iniziali, negando loro i sacramenti, ammorbidì la linea, consentendo nuovamente l’accesso in chiesa a tutti, comprese le giovani coppie di sposi. (Anche se i fedeli non torneranno in chiesa nella consistenza ante scomunica). Così come introdusse innovazioni suggerite dal Concilio: gli altari rivolti al popolo e la liturgia, canti compresi, in lingua italiana. Invitò alcuni vescovi conciliari a Cortona, favorendo il confronto su quella vicenda storica in corso, come fu col vescovo Pollio, ex missionario in Cina, al quale, durante la prigionia, si disse ch’era stata mozzata la lingua, perciò parlava stentatamente.
Sul pronunciato naso rosso (couperose?) di Franciolini, si mormorava indulgesse in alcoliche libagioni; ma la diceria gli portò bene: visse molto più a lungo di tanti astemi. Altra caratteristica era il suo lento incedere (camminando e parlando) che si tramutava in riti dalla lunghezza esasperante. I fedeli dovettero farsene rassegnata ragione. Specie d’inverno, senza riscaldamento in Duomo, al freddo fino alla fine di cerimonie interminabili. Tempi dilatati negli spostamenti da passi lenti e complessi protocolli, indossando vesti pesanti e preziose che gli donavano un’aura maestosa e surreale. Il suo incedere era complicato dalla vista difettosa. Operato alle cataratte, fu costretto a indossare occhiali dalle spesse lenti che gli ingigantivano i bulbi oculari, sbrigliando fantasie giovanili sul personaggio regale, quanto buffo a vedersi.
Al rigore del Vescovo nel seguire pontificali tradizionali, corrispondeva altrettanto scrupolo nell’interpretazione dottrinale. Ne fui testimone in Cattedrale, genuflesso in fila con altri in attesa della cresima: segno della croce con olio sulla fronte, fasciato da un laccetto bianco, e un buffetto dato nella guancia al neosoldatino della fede. Franciolini stava negando la cresima a un bambino il cui nome non appariva nel martirologio cattolico. Mi pare che il vicino si chiamasse Renzo, privo di santo corrispettivo. Gli assistenti si affannavano a far considerare Renzo diminutivo di Lorenzo, ma il Vescovo insisteva: quel ragazzo era da ribattezzare… Non ricordo l’esito della disputa, preoccupato per quel che mi stava capitando. Gli adulti s’erano divertiti a intimorirmi con la storia della fascia in fronte, che avrebbe coperto la ferita inflitta dal Vescovo con un chiodo! Ne dubitavo… però avevo la strizza.
Anche in cerimonie laiche, si temeva la lunghezza della chiacchiera del Vescovo, che, però, non era banale né fuori tema, ricca di spunti culturali ed esperienza. Mecenate, umanista, spiccata sensibilità artistica e poetica, espressa pure nella sua “Ghirlandetta Cortonese”: elegia d’un mondo religioso giocondo, d’una innocenza quasi infantile.
L’ultimo incontro con Franciolini a pranzo, in occasione dei suoi novant’anni. Finito il desinare, chiesi il permesso d’accendere il sigaro. Che il buon Vescovo accordò, verseggiando: “Io non fumo, ma volentieri sumo l’altrui fumo!” Gli piacevano giochi di parole. Come quella mattina – in visita alle aule scolastiche del seminario – udito un “Bischero!” urlato tra ragazzi, lemme lemme, s’avvicinò loro dicendo: “Bischero è una parola che, derivando dal latino, possiamo scomporre in bis carus due volte caro. Di per sé affettuosa. Però con quel tono v’invito a non usarla!”. Il monito pedagogico, mite e raffinato, cadde presto nel dimenticatoio, anche se i discoli non scordarono quella ed altre lezioni di calembour, impartite dal vescovo e dagli insegnati preti. Saranno state pure arguzie pretesche, ma c’è un detto: dalla scuola dei preti non escono bischeri! Appunto.
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Tra i 30 personaggi del libro, è inserito anche Giuseppe Franciolini