FULVIO CASTELLANI, “PUNZINO”, ciabattino cortese e longevo

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tutti-dormono-sulla-collina-di-dardano-di-ferruccio-fabilliIntravidi Fulvio, la prima volta, nella penombra – illuminato solo il desco da lavoro – nella botteguccia da ciabattino, odorosa di vernici e mastice, attigua alla bibliotechina pubblica, dove prendevo a prestito ingiallite letture per ragazzi. I due locali erano sul lato posteriore di villa Sandrelli a Camucia – lungo la trafficata strada nazionale, dirimpetto all’allora caserma dei carabinieri. Poco a che vedere col fronte elegante della dimora nobiliare – affacciata sull’ampio e curato parco – che ospitò pure un papa in transito: Pio VII. Il retro-villa ha l’aspetto lineare delle residenze popolari. Dove, in un locale seminterrato e angusto, il ciabattino trascorse i giorni d’una lunga vita. Visse 97 anni. E finchè fu sorretto dalle forze, anche per far quattro chiacchiere con gli amici, scendeva in bottega. Fulvio era stato apprendista da Orlando Ciculi – che, a due passi da lì, aprì un fortunato negozio di scarpe. Morto il babbo si caricò sulle spalle la famiglia, con due sorelle da crescere, nello storico rione popolare camuciese della Bicheca. Per tutti, Fulvio era Punzino. Come il nonno e il babbo, fino al più giovane maschio di famiglia Massimo, si sono tramandati quell’appellativo: Punzino. Mentre le sorelle di Fulvio, maritate, presero altri soprannomi: Margherita era la Bambara, e Augusta la Bigheri. (Superfluo ricordare che i soprannomi, una volta appioppati, si ereditassero per linea retta padre/figlio, e le mogli si chiamassero come i mariti). Il mestiere di ciabattino, umile e gravoso, aveva un vantaggio: di non far mai la fame. Specie se svolto con diligenza e laboriosità, come Fulvio. Che, nei momenti di calma in bottega, saliva in bicicletta girando nelle campagne a far zoccoli ai contadini; usando anche materiali di recupero come i vecchi copertoni, sottratti a relitti bellici, trasformati in sopratacchi e soprasuole resistenti e antiscivolo. La penuria di soldi costringeva intere famiglie contadine a usare zoccoli come calzari, poco costosi e molto resistenti. In cambio, essi davano al ciabattino prodotti della terra, del pollaio, vino e olio, che certo non l’arricchivano ma tanto bastava per non far la fame. A proposito di fame, Massimo ricorda un episodio drammatico capitato al babbo, durante la ritirata tedesca in quel di San Lorenzo, mentre trasportava farina in compagnia del coetaneo Mèchena (Primo Capoduri), mugnaio di professione. I militari tedeschi arrestarono i due compari, minacciando di fucilarli per contrabbando di farina! Fattosi buio, i familiari erano preoccupati sulla sorte dei due giovani. Ma, grazie alle doti affabulatorie del Mèchena, finì che i tedeschi offrirono loro una cena a base di carne di pecora. Tornato a casa a notte fonda, meravigliò i familiari un Fulvio ubriaco… mai capitato!… però lo spavento di quella notte si risolse con un’orticaria, diffusa sul corpo, da carne di pecora… Punzino ne era allergico.
Socievole, umile, cortese, rispettoso e gran lavoratore dalle sette di mattina, quando scendeva in bottega, fino a tarda sera, allorché la moglie andava in ansia per i ritardi del marito. Il lavoro metodico e paziente richiedeva tempo per contentare la crescente clientela e metter da parte soldi per farsi una casa, che realizzò negli anni Sessanta. Di Punzino, cinquantenne, il figlio, decenne, ricorda quel momento di grande soddisfazione: l’obbiettivo d’una casa propria! seppure a costo di sacrifici. E per Massimo era giunto il momento di avere qualche soldino in tasca, e, per procurarseli, s’ingegnò come lustrascarpe, in cambio di mancette. Al babbo sarebbe piaciuto che avesse seguitato il suo mestiere, invece Massimo, alla prima occasione che gli si presentò di squagliarsela, scappò via a Firenze, Milano, …verso altri interessi. Chissà se, da quella fuga, Cortona perse un impresario calzaturiero pari ai Della Valle?…
L’angusta bottega di Fulvio, stracolma di attrezzi, tomaie, sopratacchi, scarpe riparate e da riparare,…era un simpatico luogo di ritrovo. Dove, come dal barbiere, si andava a pettegolare, parlare di politica, di attualità (con la presenza anche di gente colta come il farmacista Edo Bianchi), o a sbirciare riviste osè, tra lo scollacciato e il politico, come ABC. Magari accostando l’unica imposta: la porta finestra che dava sulla statale rumorosa e puzzolente. Il pacato Punzino era stato attivista politico, compagno di idee di Ricciotti Valdarnini: primo sindaco comunista di Cortona, antifascista schedato e perseguitato dall’OVRA. E, nel dopoguerra, candidato senza successo al parlamento e dirigente cortonese del PCI finchè non cadde in disgrazia, accusato di titoismo. I titoisti furono espulsi dal partito, dopo che Togliatti li ebbe definiti i pidocchi sulla nobile criniera del cavallo. Il cavallo, inutile dirlo, era il partito. Espulso Valdarnini – deliberandone l’emarginazione e l’oblio di ogni merito, che da dirigente politico e sindaco non erano stati pochi -, anche Fulvio lo seguì (con pochi altri compagni: Crivelli, Rinaldi, Luciano Bambara, …) pur mantenendo convinzioni egualitarie e anticlericali. Punzino non partecipò più ai riti della chiesa comunista, né alla diffusione dell’Unità e del Pioniere, sui quali aveva letto nuove visioni del mondo. Legato com’era a Valdarnini da amicizia e riconoscenza, avendo pure ricevuto soldi in prestito per costruirsi casa. (Tempi in cui si poteva prestare soldi e riottenerli indietro senza rischi, anche solo sulla parola!). Punzino, comunista, che litigava di politica col Ghioghiolo, cugino fascista, era parte del folklore del rione popolare della Bicheca, quartiere che da solo meriterebbe un lungo racconto.
Per le abitudini del tempo – risuolare e fare sopratacchi rovinati finchè le scarpe non fossero da buttare – Punzino teneva il libretto dei debiti che la gente onorava entro un mese, se gli andava bene… anche se era un altruista generoso. Basti ricordare la sera che portò uno zingaro affamato a cena a casa, sconvolgendo i suoi familiari… così come riparava i palloni di calcio del Camucia portati da Codenna, magazziniere della squadra. Il fragile dei vecchi palloni di calcio era nel pellame e nella cucitura, dalla quale, per gonfiarli, ogni volta si estraeva il picciolo di gomma della camera d’aria.
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