Su L’Etruria avevo espresso il convincimento, senza prove, sul decesso di Augusto Cauchi, avendone oggi la certezza, basterebbe ricordarne la data della morte: il 23 luglio 2017. I motivi di quel sospetto li avevo già paventati in due articoli su L’Etruria, ai quali non ho altro da aggiungere. Così come avevo sommariamente riassunto la sua vita, non facile, per molti versi controversa, che ho trattata in due libri, e, anche su ciò, non avrei altro da aggiungere.
Fui interessato alla sua storia, non ascoltando critiche immotivate. In quanto quella ricerca avrebbe attinto a fonti primarie, com’era la testimonianza diretta di due protagonisti (Augusto Cauchi e Luciano Franci) di quel periodo tragico, indicato in più modi, basta ricordarne due: “strategia della tensione” e “anni di piombo” . Quello studio m’aprì una finestra su un mondo ignoto, fisicamente contiguo (Cauchi era stato compagno di Liceo, a Cortona), e idealmente distante da me.
Non tutte le domande che ci facemmo, io come Ricercatore e loro due Protagonisti, ebbero risposte chiare ed esaurienti. Non soltanto per omertà cameratesca, che ci fu senz’altro, e non avrebbe potuto essere diversamente (chi si darebbe la zappa sui piedi? o racconterebbe cose sulle quali avesse dato la parola di non dirle?), e anche perché la storia di quegli anni è ancora in gran parte avvolta da misteri, in particolare sulle stragi, a partire dalle responsabilità più alte dello Stato.
Quando feci leggere la bozza de “Il Nero dell’oblio della violenza e della Ragione di Stato” a uno storico cattedratico, rimase impressionato dalla trama, che gli parve la scenografia d’un film, definendola “malmestosa”. Giudizio che condivisi. Ciò nonostante procedetti alla pubblicazione, suscitando interesse e riflessioni sui percorsi di quella generazione a cui appartengo, finita nel macello di giovani, e nella degenerazione antidemocratica della politica italiana di quegli anni. Com’era accaduto a destra, che giovani s’imbarcassaro nella lotta politica violenta, lo stesso era capitato a sinistra. Ricordo ancora un compagno socialista, scomparso prematuramente, di cui fui collega amministratore, confessarmi candidamente, che, ad Arezzo, per poco non entrò nelle Brigate Rosse! E qui torna in mente la riflessione che esternò Cauchi, sul disegno politico a monte, di far fuori una generazione di attivisti poltici, secondo lui troppo coinvolti emotivamente, incapaci di porsi limiti per un esasperato senso di giustizia, per quanto assurdo e disastroso. Analogo concetto espresso da Luciano Violante, magistato, politico comunista, presidente della Camera dei deputati, quando disse: “una generazione politica è stata mandata al macello”, durante un convegno sul terrorismo. Egli, probabilmente, aveva più chiari i motivi e gli ispiratori di tale “macello”.
Senza voler somigliare all’attegiamento “neutro” del “Pescatore”, cantato da Fabrizio De Andrè, al passaggio d’un mariuolo, voglio dire che, per chi studia la storia, non può esserci un approccio moralistico ma storico e politico nell’intento di produrre maggiore chiarezza possibile, così come feci, essendomi capitato ascoltare storie terribili. Come le carcerazioni simili a condanne a morte, data l’altissima conflittualità generata nelle carceri (in Italia come in Argentina), dovuta alla voluta commistione tra estremisti (accomunati nella definizione di “terroristi”) di destra e sinistra, e con altri galeotti appartenenti alle varie mafie. Messi in stretto contatto quotidiano, ci poteva, e di fatto ci scapparono morti e feriti.
Ciò detto, non possiamo cancellare il passaggio a Cortona di Augusto Cauchi, che, insieme ai suoi segreti, più o meno importanti, porterà sulla tomba anche il nostro, non retorico, riposi in pace.
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