L’impresa di Franco Bentenuti: volare in cielo e nel futuro coi “Baroni Rotti” ed “Etruria Volo”

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Bentenuti 2A cadere (dalla moto) spezzandosi la spina, rimettersi in sella (al Quad) e volare in aereo ci vuol gran volontà, applicazione e fantasia, com’è  capitato al cortonese Franco Bentenuti, oggi protagonista in attività complesse, raccolte presso l’Aeroclub Serristori, a Castiglion Fiorentino.

Percorrendo lungo la strada provinciale, che da Castiglion Fiorentino va a Cesa, curioso mi domandavo come funzionassero, in quell’angolo di campagna,  piste di volo, aerei, hangar, abitazioni, piscina,…  un complesso che si sviluppava di continuo, e, soprattutto, aveva l’aria di sfidare il tempo, di non decadere, anzi, crescere! Finchè un amico comune, l’ingegner Bruno Frattini, me ne ha portato a conoscerne il deus ex machina,   Franco Bentenuti. Nostro vicino di casa (mio e di Bruno), che non avevo mai incontrato prima. Strada facendo, Bruno s’era promesso di non anticiparmi nulla, poi, durante la chiacchierata sotto gli hangar, ho capito che anche Lui è tra i  protagonisti di quel gruppo di imprenditori e sognatori. Amanti del volo, della solidarietà coi portatori di handicap,  delle nuove tecnologie, dello sviluppo del territorio,… inseguitori di sogni, in gran parte definiti e realizzati, e sulla strada di realizzarne ancora nuovi, pur con i piedi piantati nella realtà.

Pian piano ho scoperto la forza di volontà di Franco Bentenuti che, nel 1991, ebbe un incidente di moto grave, con lesioni spinali cervicali, di quelle che possono lasciarti senza più l’uso di mani e gambe. Affermato programmatore e progettista industriale, presso l’orafo Tacchini a Terontola, Franco riuscì, dopo dolorose cure e lunga riabilitazione, a riprendere l’uso delle mani. E, con i miglioramenti fisici, crebbe la sua aspettativa di riprendere il lavoro, come fece, da progettista e programmatore, e insegnante di elettronica elettrotecnica e controllo numerico, presso l’ITIS e il Margaritone di Arezzo.

La svolta: Franco incontrò, presso l’Associazione Paraplegici di Arezzo, una persona che gli ventilò l’idea di condividere la passione del volo con altri disabili. L’idea affascinante richiedeva passaggi obbligatori: come adattare i velivoli ottenendo l’approvazione delle modifiche dall’Aero Club Italia. E, per dar seguito alla condivisione di quella passione, fu costituita l’Associazione nazionale per il volo “Baroni Rotti”. (Trasposizione ironica del “Barone Rosso”, il barone Manfred Von Richthofen, asso dell’aviazione tedesca nella I° guerra mondiale, che si era guadagnato il soprannome per aver dipinto completamente di rosso il suo Fokker da combattimento).  Con questa, in Valdichiana, s’avviava una scuola di volo con propri istruttori. E da lì – ottenuta la concessione d’una vasta area agricola, terreni e un rudere, dall’Ente Serristori di Castiglion Fiorentino – nacque il “Centro Volo Serristori”, scuola di volo per disabili, dal 1995. Si procedette alacremente al livellamento dei terreni per la pista di volo, fu costruito il primo hangar per ricovero e manutenzione velivoli, rendendo così effettiva la scuola: potendo gli allievi svolgere, in un’unica sede, la formazione  ottenendo l’abilitazione al volo, senza spostarsi in giro per l’Italia in cerca di istruttori, piste, aerei,… mentre casa Bentenuti fungeva quasi da ostello. Il problema dell’ospitalità non era secondario, provenendo gli allievi dalla Sicilia alla Lombardia; nonostante che l’Associazione Baroni Rotti curasse il dislocamento degli aspiranti al volo anche in altri centri di addestramento nazionali.

Fatti importanti intervennero a far crescere il Centro Volo Serristori. La progressiva chiusura di centri volo preesistenti a Siena, Perugia, Grosseto, Lucca, e la decisione dell’Ente Serristori (gestito dal Comune) di alienare i terreni concessi al Centro Volo, per finanziare interventi sul proprio patrimonio immobiliare. Era il 1999. Dei 60 soci del Centro Volo, 19 sottoscrissero l’impegno di partecipare all’asta pubblica per acquistare l’area, fin’allora in affitto dal Serristori. La base d’asta era fissata a 390 milioni di lire. A Franco, ancor giovane (aveva 28 anni), soci più esperti  suggerirono di offrire 401 milioni e 750 mila lire. E le 750mila lire furono decisive per vincere l’asta sulla concorrenza. Per gestire la nuova proprietà, di 11  ettari e un casale diroccato, fu costituita una società a responsabilità limitata di cui Franco fu eletto presidente. Invece di restaurare il casolare diruto, fu deciso di costruire  strutture residenziali nuove per gli aspiranti piloti. Costruita una piscina un ristorante e nuovi hangar, l’ultimo nel 2004. Nei vent’anni trascorsi dall’acquisto dell’area, sono sorti 7 blocchi di hangar, 2 piste di volo (una asfaltata e l’altra erbosa), 15 appartamenti (metà adattati a clienti disabili), vengono ospitati 30 aerei, di cui 25 di privati e 3 di proprietà della scuola, e altri aerei super leggeri.

Intanto crescevano, intorno a Franco, sia appassionati al volo  sia collaboratori e, con essi, progetti per il futuro. Così nacque l’Associazione Tuscan Easy, senza scopo di lucro, per sviluppare “turismo sostenibile e inclusivo”, a cui aderirono privati e istituzioni pubbliche (ICARO, MAEC, ditta Magini, ditta Athena, AION Cultura), come nacque un’altra Associazione di e-commerce per valorizzare prodotti locali. E, nel seguire l’evoluzione degli aeromobili, è venuto anche l’interesse per i droni, creando la società Etruria Volo SRL,  di cui Bentenuti è direttore, in collaborazione con  Bruno Frattini (amministratore di ICARO) e l’avvocato pisano Giuseppe Ramalli. Ramalli, a quarant’anni,  abbandonò la professione forense per dedicarsi a una nuova vita  in Valdichiana, quale: progettista, costruttore, programmatore, istruttore e guida di droni!   L’angolo dell’ hangar ch’egli occupa – con prototipi funzionanti, pezzi di ricambio, e un aereo leggero da turismo e scuola guida – è pure dotato d’un laboratorio, in cui Ramalli mette in opera le sue idee hardware e software, da provetto inventore. Tanto che, in risposta all’impegnativa domanda della figlia “Babbo, ma tu che fai?”, gli avrei suggerito – anche se l’ho visto un po’ perplesso, forse perché non legge fumetti – “Rispondile che emuli Archimede Pitagorico! il genio inventore nei fumetti di Topolino e Paperino.” Battute spiritose a parte, già è provata –  da Ramalli – la versatilità dei suoi droni nel produrre rilievi aerei in tempi rapidi, affrontando i più svariati temi: cartografici, geologici, ambientali, plani volumetrici, ecc. Perciò la società Etruria Volo, dal 2014, coi droni è in grado di realizzare monitoraggi vari sul territorio, oltre a formare nuovi tecnici: fornendo manuali operativi e rilasciando abilitazioni all’uso di droni; a cui si aggiunga la costruzione degli stessi, seguendo idee innovative. Servizi di cui già si avvalgono centri di ricerca nazionali,  universitari, enti pubblici e privati.  Per quanto sia impegnativo sviluppare ricerche e applicazioni in campo dronistico (a causa dei rischi dell’uso terroristico), ai protagonisti di Etruria Volo non mancano coraggio e inventiva.

A loro sostegno, sarebbe auspicabile un maggiore interesse dei soggetti pubblici e privati presenti sul territorio. I quali, comprese le innumerevoli potenzialità dei droni,  avrebbero  disponibili una vasta gamma di servizi: utili alla pianificazione territoriale, alla programmazione di infrastrutture, alla produzione di carte tematiche per il turismo, oltre alle  mappature di siti archeologici, industriali, urbani, ecc.

Dal 2015, l’abilitazione a centro addestramento all’uso dei droni, presso il Centro Volo Serristori, andava ad aggiungersi all’abilitazione a scuola volo per aerei leggeri e superleggeri e a scuola volo per aviazione civile, compreso il volo notturno, potendo così rilasciare licenze professionali. Si contano, ad oggi, almeno tre persone, qui abilitate, che esercitano la professione di piloti civili. Ecco un altro singolare valore del Centro Volo Serristori:  abilitato a scuola volo riconosciuta da ENAC (Ente Nazionale Aviazione Civile) e altresì abilitato  a livello europeo, come  numero 0 (zero), essendo stata la prima scuola europea abilitata. A certificare la crescita enorme, in prestigio e affidabilità, della scuola volo, conseguente  a capacità e responsabilità, dimostrate nel tempo, in campi altamente tecnologici. Sottoposti a rigide normative per la delicatezza del compito nell’abilitare al volo piloti di aerei leggeri e, persino, aerei civili.

A conclusione dell’incontro affascinante, al Centro Volo Serristori, ringrazio Franco Bentenuti e i suoi entusiasti collaboratori presenti alla chiacchierata, Bruno Frattini e Giuseppe Ramalli, per avermi illustrato un’eccellenza della Valdichiana. Nata nello spirito solidale di far accedere anche i disabili al piacere del volo aereo. Missione accresciutasi strada facendo di capitoli nuovi dalle valenze nazionali, ricadute importanti sul territorio, e  dal futuro promettente. Sul quale sarebbe auspicabile la collaborazione di  componenti civili e istituzionale della Valdichiana, della quale abbiano a cuore lo sviluppo. E, son convinto, che spinte dal territorio sarebbero molto apprezzate dai miei ospiti d’un pomeriggio al Centro Volo. Lieti di cimentarsi in sfide nuove, tante sono le loro capacità e fantasia imprenditoriale,  oltre all’affetto per il territorio dimostrato in tanti anni di impegno.

Bentenuti 6Centro Volo Serristori a Castiglion FiorentinoBentenuti 3Franco Bentenuti, Amministratore del CentroBentenuti 5Franco tra i suoi amati oggetti per il voloBentenuti 4Oltre alla abilitazione al volo, si abilita anche alla guida dei droniBentenuti 2Da questa scuola guida al volo abilitata anche per portatori di handicap sono transitati anche piloti attualmente attivi nei coli di aviazione commerciale

Bruno Frattini, da 35 anni con la società ICARO “vola” sulle innovazioni nel Lavoro e nell’Ambiente

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ICARO -Fotp di gruppoIl settantottenne Bruno Frattini – fondatore della più importante società di consulenze aziendali presente a Cortona con ottanta dipendenti – il tempo non sembra scalfirlo.  Stesso sguardo vivo dietro lenti squadrate, stessi amichevoli sorrisi misurati e frequenti, stesso incedere felpato, stessa corporatura, stessa ponderatezza e lungimiranza nell’analizzare problemi del mondo o argomenti  professionali, misto di scienza e filosofia… l’ho ritrovato, dopo oltre un trentennio, del tutto simile, per non dire uguale, a quando, negli anni Ottanta, l’ebbi maestro di nuove tecnologie. Allora, per me, rappresentate dal PC Olivetti M24 e dal software archivistico DB IV. Egli ingegnere chimico – colonna portante della Medicina del Lavoro,   nella USL24, a fianco del medico Michele Di Trani – che da quell’esperienza (conclusa nell’87) trasse spunti fondamentali per il suo futuro professionale. Sviluppato nella società ICARO, di cui fu fondatore (1985) e, poco dopo, amministratore unico e “dittatore illuminato”. L’avvento al potere di Khomeini gli aveva interrotte esperienze di lavoro precedenti in Iran (nel ’79), aggregato a una società di ingegneria, costretto a tornare in Italia con la compagna Daniela Piegai, che, giornalista prestata all’industria,   svolgerà compiti nell’espansione operativa di ICARO, dedicandosi alla formazione e informazione sulla prevenzione dei rischi ambientali e nel lavoro, nel raffinato microcosmo culturale tecnico umanistico, forza tranquilla, alla base del successo di ICARO.

Nonostante l’immagine folkloristica della Medicina del Lavoro della USL 24 – chi vestiva salopette alla Super Mario, chi vestita da Calamity Jane, con Bruno l’unico vestito in modo convenzionale –, quel gruppo fu accolto con rispetto e interesse, sia dagli amministratori pubblici che dal mondo  del lavoro, per idee innovative sulla protezione dai rischi a vantaggio della salute. Tanto avanzato, alla ricerca di soluzioni innovative, da inseguire sostegni finanziari ai loro progetti fino alla Comunità Europea: in Lussemburgo, presso la competente Commissione. O partecipando a Convegni di alta specializzazione, come quello ad Amburgo, dove – facendo infuriare il dottor Di Trani, meridionale insofferente lo stigma “del meridionale con la valigia di cartone” – furono sistemati in un hotel di quarta serie, “da Turchi”, a causa dell’immagine estetica non convenzionale del gruppo. Che, però, trasudava entusiasmo e competenze eccellenti nel portare avanti la propria missione nella prevenzione dai rischi e nella sicurezza nei luoghi di lavoro. Capaci di coinvolgere tutte le componenti interessate, dall’imprenditore al lavoratore singolo, suggerendo  nuove metodiche nei processi produttivi anche con dimostrazioni facili da recepire, semplici e risolutive dei problemi riscontrati nei casi concreti.

L’apogeo di tale dedizione fu rappresentato dal Convegno nazionale sulla “Sicurezza e igiene del lavoro del settore dell’edilizia abitativa”, a Cortona, nel giugno ‘84, a cui aderirono i maggiori esperti italiani in materia. Pari successo ebbe l’analoga manifestazione riguardo “I presidi sanitari”, cioè l’uso dei fitofarmaci in agricoltura (Cortona, ottobre ‘87). Attenzioni alla sicurezza curate fino ai dettagli, come nella campagna promossa dalla Medicina del Lavoro a favore dell’istallazione sui trattori del rollbar: arco metallico antiribaltamento, costruito anche con materiali di recupero, suggerito in dettaglio ai fabbri della Valdichiana. Vista l’ampia statistica di incidenti da ribaltamento dei trattori, quasi sempre mortali. Insomma, la squadra affiatata Di Trani-Frattini   spaziava a tutto tondo sulla prevenzione nei luoghi di lavoro; tenendo alta la qualità delle prestazioni, avvalendosi di contatti continui con referenti qualificati come l’Università, altri Servizi territoriali efficienti, Agenzie nazionali come l’ISPRA (deputata alla prevenzione dei grandi rischi industriali), e in collegamento col dirigente della Regione Toscana Raffaele Faillace, che apprezzava molto quel gruppo della Valdichiana aretina.

Nell’87, l’ingegner Frattini si trovò a scegliere tra lavoro a tempo pieno nella USL o dedicarsi esclusivamente alla sua impresa, ICARO. Scelse la seconda via. Forte dell’esperienza acquisita, e incoraggiato dall’introduzione continua di nuove normative settoriali che creavano spazi per consulenze private a fianco delle imprese. Era chiaro che stati nazionali ed Europa  intendevano creare sempre più avanzate tutele normative  a favore del mondo del  lavoro e dell’ambiente, delegando, però,  all’iniziativa privata l’applicazione di gran parte delle nuove forme di protezione.

Norme sulla tutela ambientale – emanate dal Ministero dell’Ambiente e dalla Comunità Europea – dopo l’incidente di Seveso, e norme sugli ambienti di lavoro (rumori, solventi),  sulla sicurezza industriale, sui processi di lavoro, sull’Impatto Ambientale, …, sollecitavano adeguamenti all’organizzazione del lavoro e l’obbligo della formazione del personale (DLgs 626/94 poi DLgs 81/08), vincoli, sulle procedure per nuovi insediamenti e infrastrutture, con il VIA (verifica impatto ambientale).

Rimasto solo al timone di ICARO, per la rinuncia a proseguire degli altri fondatori, Frattini – con la sua struttura che lievitava nel numero di dipendenti e in alleanze con altre società di consulenza – si applicava: specializzandosi e curando la qualità del prodotto finito, navigando tra normative in crescita,  ricerca scientifica sulle “buone pratiche” da applicare, e opportunità offerte dal mercato. Non senza incontrare momenti di crisi dovute a temporanee carenze di offerte dal mercato. Giungeva così a maturazione la fase delle tutele pubbliche in materia di ambiente, salute, sicurezza, con norme sugli impianti, sostanze e processi produttivi, sulla formazione del personale e organizzazione del lavoro, e, in tutto ciò, la società era all’altezza dei compiti.

Il 1996 rappresentò un’altra tappa nel percorso di ICARO, riassunto in un Convegno d’un certo rilievo. Allorché erano di grande attualità i sistemi di gestione con le ISO, e la salvaguardia ambientale.

La svolta successiva al 2000, su input del Ministero dell’Ambiente e  della CE, incentivava la collaborazione tra imprese, ministero, enti europei e agenzie ONU, sulla tutela Ambientale e della Salute. ICARO colse l’occasione per espandere le attività in progetti internazionali: in nord Europa, nei Balcani, in Asia Centrale, Turchia, Iran, Algeria, Serbia, Montenegro. Egitto, Slovenia, Croazia, Romania. La Società crebbe enormemente in attività internazionali, in cultura aziendale, con l’inglese lingua prevalente; dimostrandosi fondamentale la selezione del personale, sempre più vario per competenze e nell’internazionalizzazione degli operatori.

Frattini – nel focalizzare il tema occupazionale – sottolinea come nel suo gruppo di ottanta persone abbia una discreta mescolanza di rappresentanze: multietniche e multiculturali. E come, trattandosi di personale giovane, in una perfetta equivalenza tra uomini e donne, nel numero e nei ruoli, la sua impresa abbia favorito tanti matrimoni e generazioni di bambini.

Nonostante il fattore imprevisto della pandemia da Covid-19,  Frattini non solo è soddisfatto dei recenti progressi, ma guarda fiducioso al futuro dell’azienda, unica in Italia nel suo genere per dimensioni e competenze. Capace di sviluppare azioni – e ancor più lo sarà in futuro – sul terreno internazionale, da sola o in collaborazione con altre imprese. Intanto, avendo a cuore il futuro di ICARO, ha dotato  la società d’un consiglio di amministrazione che sta per celebrare il primo anno di vita. Ed è noto come, da più sedi operative dislocate in Cortona, recentemente, abbia raccolto l’impresa occupando l’intero palazzo vescovile. Dopo mesi di attenta valutazione, prima di compiere il passo, da anni propostogli dalla Curia vescovile aretina. Rimanendogli utile anche la precedente sede di via Nazionale, riaperta di recente per dare “distanziamento” al personale, imposto dalla crisi pandemica.

Dunque, Frattini è ottimista sul presente e sul futuro di ICARO. E tra gli obbiettivi futuri s’interroga, per ora senza risposta, sui contributi ulteriori che potrebbe fornire al territorio. Interrogativo – a dir poco lodevole – a cui sarebbe auspicabile partecipassero a dar risposte anche gli amministratori locali. Ai quali è offerta su un piatto d’argento l’opportunità di pronunciarsi, dopo aver focalizzato il potenziale insito in un’azienda leader nazionale. Sarebbe la realizzazione d’un altro sogno di Bruno Frattini, “socialista storico” nell’animo, e coerente nei fatti concreti, riscontrabile in ciò che ha compiuto nell’ultratrentennale percorso imprenditoriale.

fabilli1952@gmail.com

ICARO -Fotp di gruppo Lo squadrone di ICARO quasi al completo

Il sogno di Lavagnini, Bistarelli ed altri deve continuare a volare – di Ivo Camerini

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pci cortoneseIl sogno di Lavagnini, di Bistarelli ed altri cortonesi può e deve essere ripreso per continuare a volare nel cielo di Cortona e della Valdichiana. Cent’anni fa nel gennaio 1921 nasceva il Pci anche a Cortona. 

Rileggendo l’Etruria del 1921 troviamo queste parole che G.L.Passerini dedica al nascente partito politico dei comunisti italiani in quell’inverno di cent’anni fa : “Ben vengano,dunque,conserte tra i rami di pacifico olivo e di lauro vittorioso, falce e martello: e siano insieme segno di volontà tenace e di solerte energia, affermazione di ideale e forza, di diritti umani ma anche di umani doveri , conforto ne’ buoni propositi di fratellanza e di amore , ammonimento a chi contro a que’ propositi osasse di opporsi.” Sia ben chiaro: queste parole Passerini le inserisce nel suo editoriale come arte retorica per respingere l’idea comunista e il mito della Rivoluzione sovietica del 1917,  che sta facendo proseliti anche da noi. Ma le riporto perché sono testimonianza di un clima sociale, dove la lotta alle ingiustizie sociali ed economiche veniva avvertita anche dalla borghesia e da quella proprietà agraria, che, in gran parte, ormai stava finanziando l’opera politica del socialista Mussolini, che, nel 1919 a Milano, aveva fondato il Partito nazionale fascista.

Nella stessa Etruria e nell’Azione democratica di Carlo Nibbi ( a Cortona in tutto il Novecento, tolto il ventennio della dittatura fascista, abbiamo tanti fogli di libera discussione democratica) sempre si dà la notizia , seppur in termini molto essenziali,  che al Congresso socialista di Livorno del 15-21 gennaio 1921 ha partecipato anche un delegato socialista cortonese, che abita e vive a Terontola.

La notizia di cronaca ci dice inoltre che questo delegato di cui, per ovvi motivi, non si fa il nome, “ abbracciò il comunismo e ritornato a casa con sé comunistizzò anche tutta la sezione di Terontola”. Questa notizia di cronaca è, dal 1981,  una bella storia che in pochi conoscono e che rispolvero volentieri per i nostri lettori, avendola già pubblicata in quell’anno , nel mio libro “ Il Pci cortonese: 1921-1946”, pubblicato su invito dell’amico Ferruccio Fabilli, allora sindaco di Cortona.

Si trattò di una interessante ricerca storica sulle origini del Partito comunista a Cortona, che feci volentieri nella mia veste di professore di storia e di cattolico democratico impegnato nel sociale e, per l’alba di un mattino, anche in alcuni ambiti di militanza politica. Mi costò l’espulsione, infatti, dalla Dc, da cui però, senza che i miei amici ne volessero prendere contezza, mi ero già allontanato dopo la tragedia dell’assassinio del presidente Aldo Moro, di cui ero giovane amico ed allievo in Roma e per la cui salvezza poco fece la direzione nazionale democristiana all’infuori dell’estremo tentativo di Amintore Fanfani, che solo nei primi giorni di maggio si schierò apertamente con l’azione di trattativa iniziata venti giorni prima da Craxi, da alcuni socialisti e da alcuni esponenti del mondo cattolico.

Ma questo è un altro discorso e ritorno subito a quei mesi invernali del 1921 quando, in una piccola capanna contadina di Terontola, allora sezione del partito socialista, questo ferroviere cortonese ritorna comunista da Livorno e converte tutti gli iscritti al Pci di Terracini e Gramsci, creando la prima “cellula” di comunisti che poi si allargherà a Chianacce, dove il contadino Bistarelli, nel 1926, con l’emanazione delle leggi speciali del fascismo che abolirono i partiti politici anti fascisti sarà un protagonista clandestino della bandiera rossa della falce e martello cortonese. Una bandiera  che riemergerà poi maggioritaria e ed egemone negli anni 1946-1948, quando prenderà il governo del Comune tenendolo ininterrottamente fino al 1994, allorché nasce il Pds. Un partito che poi, nel 2008, con la convergenza di socialisti, di cristiano-sociali, di cattolici del Ppi e liberaldemocratici della Margherita accetta il  Pd sognato da Veltroni, Marini, Rutelli ed altri.

In quel Pd convergono i sogni italiani novecenteschi dei diritti umani, della liberazione dalle ingiustizie , dalla subalternità sociale ed economica, della eguaglianza tra le persone, tra gli uomini e le donne d’Italia. Oggi , ma forse già dal 2016, quel sogno naviga in brutte acque, sballottato tra i marosi della globalizzazione selvaggia e sembra che stia sul punto di affondare nel dramma parlamentare venuto fuori dai risultati delle elezioni del 18 marzo 2018 e in questi ultimi mesi incartarsi nel dolore nazionale ed europeo dovuto alla pandemia Covid-19.

Tra l’inverno e la primavera del 1921 a Cortona il clima politico è molto incandescente per via delle elezioni politiche che si svolgono nel maggio. Grandi discussioni politiche impegnano i cortonesi e i chianini di allora, che sono coinvolti anche nei primi episodi di violenza squadristico-fascista, come nel caso dei fatti di Renzino dove morirono contadini e fascisti aretini andati colà in spedizione punitiva e che segnarono i prodromi di quella guerra civile che poi sarebbe esplosa dopo l’otto settembre 1943.

Tra le poche cronache di quei mesi invernali del 1921 ne riassumo tre. Le prime due sono de L’Etruria. Una è dedicata al furto della bicicletta di “tale Arsenio Frati di Monsigliolo, consigliere comunale social-comunista” cui il furto “ metterà alla prova la fede comunista, visto che la proprietà è un furto”. L’altra è invece dedicata ad un comizio tenuto da “ un certo Tarozzi, venuto a Cortona a predicare il verbo di Bombacci” , accolto dai socialisti unitari “ gentilmente con una salve di fischi” e con il quale “ il buon Vannuccio Faralli ha tenuto in tono molto sentimentale un breve contraddittorio”.

Un altro articolo di cronaca lo troviamo invece nel giornale “ La parola repubblicana” che invece parla di questa prima conferenza pubblica dei comunisti cortonesi in maniera più documentata e circoscritta: “ una conferenza comunista si è tenuta a Cortona nei locali della Camera del Lavoro. L’oratore Leonardo Tarozzi ha parlato sul tema ‘Il comunismo e il momento attuale’ e nel dibattito è intervenuto in contraddittorio per difendere la posizione dei socialisti unitari e riformisti Vannuccio Faralli”. L’estensore dell’articolo commenta che il Tarozzi, arrivato per illustrare il programma e l’azione dei comunisti italiani costituitisi al recente Congresso socialista di Livorno, in realtà ha solo fatto “un comizio apologetico della rivoluzione russa”.

Un altro articolo  ancora de L’Etruria viene dedicato ai comunisti di Renzino rei, secondo tale Franco l’articolista filofascista, di avere teso “ una feroce imboscata ad alcuni fascisti aretini che tornavano da una pacifica gita di propaganda nei paesi della Valdichiana”. Per la verità storica questi squadristi erano stati a distruggere i locali della Camera del Lavoro di Renzino, dove i contadini chiedevano il rispetto e il rinnovo dei patti agrari concordati nel 1920. E comunque, per tutta quella violenza scatenatasi vicino alla chiesetta di Renzino, divenne capro espriatorio Bernardo Melacci, che era solo un giovane contadino comunista di quella frazione foianese e che con l’avvenimento dello scontro aveva poco a che spartire, in quanto non presente, ma che per tali fatti fu condannato a trent’anni di reclusione.

Nel libro sopracitato, oggi quasi introvabile e ormai una vera rarità per bibliofili, pubblicai un breve saggio di Giustino Gabrielli su Spartaco Lavagnini, il barocciaio sindacalista e socialista cortonese immigrato a Firenze ed ucciso dai fascisti il 17 febbraio 1921.

Ed inoltre pubblicai una mia intervista a Sante Bistarelli, che in quegli anni venti viveva alle Chianacce e poi nel secondo dopoguerrra mondiale si trasferì a Tuoro, dove fu anche sindaco, che mi raccontò anche il suo essere stato comunista membro della prima cellula clandestina del Pci cortonese.

Così Bistarelli mi raccontò la vita dei primi comunisti cortonesi nei difficili anni 1920 e 1930. “ Divenni comunista nei primi anni trenta e feci questa scelta per combattere il fascismo e lottare assieme ad altri per riconquistare le libertà soppresse con le leggi dittatoriali del 1926. Ci si riuniva clandestinamente in posti diversi della Valdichiana , nei dintorni di Camucia. In queste riunioni clandestine ebbi i primi incontri con il compagno Ricciotto Valdarnini , responsabile del Pci a Camucia e nel cortonese. Io non conoscevo la rete clandestina del Pci cortonese ed aretino , ma solo il Valdarnini che, come propaganda, ci passava libri di marxismo e di antifascismo. Talvolta numeri clandestini de L’Unità e anche alcuni libri di autori democratico-socialisti di fine ottocento e primo novecento . Ricordo di aver letto La Madre di Grazia Deledda e L’Idiota di Dostojeski. Insomma eravamo comunisti che più che la rivoluzione russa si sognava l’uguaglianza tra le persone, la dignità sociale ed economica di tutti gli italiani esclusi dal sistema borghese e capitalista”.

Ecco, quel sogno di Bistarelli è ancor oggi vivo e necessario,soprattutto davanti a questi mesi di pandemia covid-19, dove il lusso italiano, europeo e mondiale è cresciuto del venti per cento e dove , secondo i dati statistici del consuntivo 2020, i ricchi hanno avuto guadagni del quarantacinque per cento in più rispetto all’anno 2019.

Il sogno democratico e socialista di Lavagnini, di Bistarelli e di quei primi comunisti cortonesi di cent’anni fa , credo proprio che possa essere ripreso e , coniugato con quello evangelico di Papa Francesco di “Fratelli tutti”, possa essere fatto ancora volare in alto nel cielo di Cortona, della Valdichiana e d’Italia, visto che in Europa e nel mondo la globalizzazione selvaggia sta cercando di imporre a tutti i popoli la tragica, barbarica ricetta del capitalismo selvaggio e del consumismo usa e getta.

Ivo Camerini

L’Inghilterra è più vicina di quanto si pensi

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Londra, Cancellata ReggiaAnche chiusi in casa, ogni giorno, molte famiglie italiane  sono in contatto con la Gran Bretagna, per figli o parenti emigrati o espatriati (questo termine, di recente, è  preferito).  Dati freschi (2019) quantificano in 350mila Italiani iscritti all’AIRE (anagrafe residenti all’estero), ma stime consolari dicono che almeno altrettanti connazionali vi risiedano,  non iscritti all’AIRE perché arrivati da poco, per pigrizia, o incerti sulla  loro futura permanenza. Dei 700mila espatriati in Gran Bretagnaa Londra c’è la fetta più consistente, stimata la maggiore comunità italiana all’estero. Tanto che, nella settimana trascorsa (a settembre) in Gran Bretagna, con mia figlia Brunella, abbiamo potuto far visita solo a due dei nostri amici e conoscenti cortonesi colà stabiliti; mi vengono in mente Ida, Pietro, Glenda, Antonio, Silvia,… prendendo rimproveri da alcuni, con promesse di riparare in futuro, sperando di mantenerle.

In verità, la gita in Britannia l’ha inserita Brunella nel nostro progetto annuale di visita in una città, più volentieri europea. E Londra era l’obiettivo principe, con una  deviazione a Manchester, a trovare Eleonora Ciufini, dove insegna Lingua italiana. Con lei, abbiamo funto anche da vivandieri portandole salsicce, che,  per cucinarle all’uccelletto, era riuscita a procurarsi la salvia, rara a quelle latitudini.

Eleonora ci ha ringraziato anche per aver portato giorni di sole!… Il clima di Manchester, che lamentava, è grigio freddo e piovoso. Quella luce ci ha consentito di apprezzare meglio i caratteri della struttura cittadina. Resa famosa da due squadre di calcio di livello mondiale, – City e United –  e dall’inventore dei computer Alan Turing e, prima ancora, per la sua storia di grande polo manifatturiero (industria tessile), e di cantieri navali (a 60 Km dal mare, è collegata al porto di Liverpool via fiume). Non a caso, simboli della città operosa sono le api. Scesa la parabola industriale, pagando pesanti scotti sociali, ha cercato di nuove prospettive economiche, progettando  maquillages urbani, in parte già completati, da noi apprezzati passeggiando lungo strade e corsi d’acqua che la traversano. Vedendo l’ammodernamento del sistema dei trasporti, su acqua, su ruote ferrate e strade, e dei molti edifici storici restaurati, e vie centrali pedonalizzate, o a traffico ridotto che invitano allo shopping. Elemento ricorrente caratteristico dell’arredo urbano è il mattone rosso: in grandi edifici, palazzi, ex fabbriche, magazzini (docks), e case, che degradano in altezza allontanandosi dal centro. Sistemati nell’area centrale di Picadilly Gardens, camminando, abbiamo visitato gran parte del centro storico,  gli esterni del Town Hall (architettura gotica) infagottato in restauro, e della University Library. Mentre osservavamo la Cattedrale gotica, un premuroso prelato aveva ordinato al poliziotto di guardia di predisporre la segnaletica anti covid 19, mettendo egli stesso il giubbetto security. Incerti sul da farsi, abbiamo preferito guardare solo gli esterni. Secondo Eleonora, il virus nell’area era divampato, perciò meglio non chiudersi. Però abbiamo apprezzato quell’offerta ospitale.  Due statue ci han dato il senso civico della città, dedicate: alle Suffragette e a Gandhi, nel serto di monumenti bronzei dedicati a glorie passate britanniche. Londra ha una scala urbanistica di quasi 9 milioni di abitanti, 14 nell’area metropolitana, contro il circa mezzo milione di Manchester; mentre le due storie urbane risalgono ai romani-britanni: l’una fu Mancunium (collina a forma di seno), l’altra Londinium. Volendo indicare elementi leganti le due città, tra i tanti, sceglieremmo lo sviluppo industriale (a Manchester) che grazie al vapore portò tanta ricchezza al Regno da elevarlo a grande potenza,  e Crystal Palace (a Londra), sede della prima esposizione mondiale del progresso (1851), che mostrò quale fosse lo Stato tecnologicamente più avanzato di allora.

Seguii – stanco – parte della  frenetica escursione di Brunella nell’immensa Londra, partendo dal Parlamento di Westminster, la Torre del Big Ben (fasciata in restauro), il Ponte storico sul Tamigi (London Bridge), la Reggia (Buckingham Palace), senza  cambio della guardia e scarso pubblico esterno, causa coronavirus, la Cattedrale di Westminster, … Il resto lo vidi nelle foto della figlia che, determinata,   entrò negli splendidi Musei, National Gallery e  British Museum,  che, soli, valgono la gita, per le ricche collezioni che spaziano nella storia dell’arte: dalle più remote civiltà ai capolavori pittorici europei.  Quattro giorni di soggiorno non avrebbero consentito visitare altro, tanto che incontrando la brava musicista cortonese Elena Zucchini che, troppo generosa, riconobbe a  Brunella di aver fatto una rassegna di Londra più completa della sua, vivendoci da tempo come insegnante di Musica.  Inutile dire che, per visitare Londra e godersela, è necessario avere idee precise sul che fare e vedere. Non dimentichiamone, inoltre, il carattere multietnico e multiculturale, forse è la città più cosmopolita al mondo, riscontrandolo nelle offerte turistiche: dalla ristorazione, alla moda, agli intrattenimenti giovanili, alle mostre d’arte, agli spettacoli teatrali e musicali, ante e, auspichiamo, post virus. C’è poi l’interrogativo: come muteranno i rapporti con gli immigrati dopo la Brexit?  Quel ch’è certo, ad oggi, la Gran Bretagna è stata molto ospitale, offrendo tante opportunità: dai meno prestigiosi lavori manuali alle attività manageriali, agli insegnamenti, alla ricerca scientifica e nel sistema sanitario. Rappresentando, con i limiti che pur ci saranno, un esempio di accoglienza.

Che noi abbiamo toccato con mano, da Manchester a Londra, non solo nella soddisfazione delle concittadine,  Eleonora ed Elena (che definire integrate è poco), vedendo tante etnie diverse alla guida di taxi, nei servizi informazione, negli hotel,  bar, ristoranti. E l’evidenti influenze nel fornire vaste scelte culinarie, dove orientali e italiani si contendono i clienti, essendo la cucina tipica inglese poco fantasiosa (fish and chips), ma singolari: il rito della pinta di birra e dei cicchetti di whisky scozzese.

fabilli1952@gmail.com

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Vitaliano Marilli, esperto di recezione turistica di qualità

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Cortona - Angolo LoggettaGià abbiamo ricordato il ruolo della famiglia legata al Ristorante Tonino, dal fondatore Antonio, al figlio Ivan Accordi e a sua moglie Adriana, grande scuola di ristorazione da essi rappresentata  a favore dell’immagine gastronomica di Cortona, in Italia e nel mondo. In parallelo, a quella cucina di gamma elevata e innovativa, seguitava l’opera appetitosa delle Trattorie, prevalenti in via Dardano,  dov’erano curati  piatti tipici della tradizione, toccando vette gustose nella trippa, consumata specie il sabato,  giorno di mercato, da avventori golosi: campagnoli  montagnini e cittadini. Oggi, quella  geografia culinaria sarebbe da aggiornare, con la nascita di tante (troppe?) offerte: dal piatto pronto a pranzo, a proposte di media  e più alta elaborazione. Un patrimonio Cortonese attrattivo per turisti forestieri, apprezzato anche nel  circondario Tosco – umbro. Inutile ricordare l’attuale stallo economico, dovuto al virus, che speriamo non faccia troppi morti e feriti tra le imprese, sarebbe un impoverimento economico grave per il territorio.

La recente scomparsa di Vitaliano Marilli, mi ha fatto ricordare come, negli anni Settanta, la ristorazione cortonese,  e con essa l’immagine turistica della Città, fosse in tanta crescita da indurre operatori capaci, come Vitaliano e Signora, a spostarsi da Chianciano (affermato centro termale) a Cortona, nel Ristorante La Loggetta. Di cui fu promotore Paolo Poccetti, eclettico imprenditore con interessi antiquari, altra eccellenza locale (allora),  impostasi nell’annuale Mostra Antiquaria del Mobile Antico, tra le più longeve del settore.

Vitaliano, elegante e gentile (dalla melodiosa parlata senese), e l’infaticabile sua Signora (dietro un grand’uomo c’è sempre una gran donna),  avevano dato alla Loggetta una precisa connotazione, dall’arredo elegante, al menù dai gusti originali, variazioni nuove sul panorama dell’offerta cittadina.

Mentre la Signora presidiava la cucina, Vitaliano serviva gli avventori in sala, suggerendo piatti e abbinamenti enologici, intrattenendo flemmatico e ironico. E, a tavola, non mancarono occasioni di approfondire la nostra reciproca conoscenza. Iniziata il giorno in cui i risultati elettorali dissero che potevo essere il prossimo sindaco della Città. Da allora non ci siamo persi di vista. Per quanto mi dedicavo a incontrare gli operatori turistici, a cogliere suggerimenti, e sondare  l’economia del settore che stava diventando l’industria principale: nei bar, ristoranti, alberghi, ostello della gioventù, agenzie immobiliari, agriturismi, e negozi. (Ricordo l’incontro col rappresentante dei commercianti, Giuliano Molesini, per comunicargli la decisione del Comune di applicare la norma che dava la facoltà ai comuni turistici di aprire i negozi anche i giorni festivi, che rispose: “Ufficialmente, devo dirti che noi siamo contrari!… ma io domani apro”, era sabato, e la delibera era efficace dall’indomani).

Con Vitaliano condividevo anche simpatie politiche di sinistra (allora, molti  eravamo comunisti, ogni tanto mi domando: che fine ci han fatto fare!?). Mi capitò anche chiedergli il favore di trovare lavoro a un giovane, che sistemò cameriere a Chianciano, per dirne la disponibilità nell’aiutare gli altri. Stesso altruismo di quando raccolse l’invito a partecipare, da ristoratore, alla “settimana aretina a Wettingen”, ideata dal prof  Karl Huber (che ogni anno portava studenti a Cortona per corsi estivi) e patrocinata dalla Provincia di Arezzo. Si trattava d’un sacrificio, assentarsi dal suo ristorante, portandosi dietro aiutanti, per un’intera settimana. In appoggio, aderì anche Paolo Poccetti (proprietario della Loggetta), esibendosi elegante in abito da chef di sala. Salito a Wettingen  – per vedere come stesse andando l’organizzazione –, scoprii il piacere di commensali svizzeri per la ristorazione cortonese. E una simpatia palpabile aleggiava intorno a Vitaliano e Paolo, stremati dalla fatica, ma che non si sottraevano agli impegni, compreso far giri di valzer con signore eleganti, a conclusione di serate brillanti. Mi piace testimoniare i bei ricordi, da veri gentiluomini, che lasciarono Vitaliano e Paolo.

Vitaliano e famiglia, imprenditori coraggiosi e operativi, avviarono pure l’Hotel Sabrina in via Roma, restaurando un immobile, e arredandolo con mobili in vecchio stile, col solito gusto elegante di cui erano capaci. Immagino che fu per loro un discreto impegno economico. La fortuna di Cortona, a quei tempi, era una sorta di emulazione a restaurare vecchi immobili, senza stravolgerne i caratteri, adattandoli a nuove  funzioni.  Come  fece il Comune all’ostello della gioventù, alle case popolari di via Benedetti e via Roma, e al centro convegni Sant’Agostino, modelli seguiti da cittadini e imprenditori come Paolo Alunno, affrontando il progetto di trasformare il gigantesco palazzo Bourbon di Petrella nell’Albergo San Michele.

Ma l’inventiva di Vitaliano e famiglia non era finita. (Non importa sapere i motivi dei cambi di attività, bensì la perizia dimostrata nell’una e nell’altra, e la volontà di affrontare nuovi rischi d’impresa).  Per ultimo, aprirono il laboratorio di Pasta fresca in via Dardano. Dove vedevi la Signora Marilli produrre grandi quantità e varietà di pasta fresca, e salse da abbinarci. Il cerchio era completo. Vitaliano e Signora avevano offerto a Cortona  esempi eccellenti nel destreggiarsi a tutto tondo nel sistema recettivo turistico. Il ristorante La Loggetta, l’Hotel Sabrina, e, non meno importante per qualità, la Pasta fresca.

Gli ultimi saluti con Vitaliano –  acciaccato da problemi di salute, ma non abbattuto nello spirito realistico suo solito – ce li  scambiammo, per caso, in un bar di Camucia. Era l’addio a un uomo che avevo stimato.

fabilli1952@gmail.com

Cortona - Angolo LoggettaCortona. Lato della Piazzetta Pescheria, il RISTORANTE LA LOGGETTA è dietro gli archetti

“Una Nuova Innocenza. Oltre la Pandemia, un altro mondo possibile” di Raffaele Luise – Intermedia Edizioni – Meditazioni sulla vita per credenti e laici

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UNA NUOVA INNOCENZA_def (1)In mano il libro del vaticanista RAI  Raffaele Luise, “Una Nuova Innocenza”, con  prefazione di due cardinali, Coccopalmerio e Kasper, ho pensato a un testo a  soggetto “religioso”. Ma i Prefatori, esordendo, chiariscono subito i concetti universali dal libro –  evocante scritti di papa Francesco sulla Natura violata da uno sviluppo economico distruttivo di risorse e vorace di guadagni – dove affermano: “La  posta in gioco è immensa. Non solo la sopravvivenza, e la fedeltà al comandamento divino di custodire il Creato, ma la gioia di una vita che si apre alla bellezza e all’amore”. Dopo aver sottolineato: “Poiché l’origine prima del contagio universale del covid-19 sta proprio nell’attacco alla Natura. E qui l’Autore ci invita a presentare molta attenzione, perché si deve parlare di Natura e non di generico ambiente, di un mare di un cielo una terra considerata come pura estensione materica, ma della Natura, della Madre Terra, che vivono, ricordano, crescono, invecchiano e ci parlano come “anima mundi”; e che ora chiedono a noi – che siamo parte di loro come un’unica Famiglia universale (come afferma Francesco) – il riconoscimento della pari dignità a vivere e il rispetto dei loro diritti.”

Il libro breve di Luise – appena 100 pagine -, scritto durante il lockdawn di primavera, si presenta come una Meditazione, svolta “All’incrocio tra ecologia, poesia, filosofia e spiritualità, la Meditazione riprende la grande lezione della “Laudato Si’” di Papa Francesco, e mostra come questo nuovo abbraccio alla Terra sia la condizione per costruire un altro mondo possibile”.

Il risultato è uno spaziare incalzante, fluente, poetico e filosofico davvero, che a ogni riga, anche su concetti già familiari al lettore, lo persuade a proseguire,  offrendogli, insieme ai momenti di Meditazione personale, anche lo svolgimento di temi impellenti che dovrebbero permeare i dibattiti pubblici, culturali e politici. Mentre ahimè sorbiamo contenuti anche sguaiati e fuorvianti, o effimeri di breve respiro su tecnicità come assolvere a problemi contingenti (orari, chiusure, calendari, statistiche, ecc.), lasciando spazio pure a tesi folli (è capitato) quale le inutili vite degli anziani, scatenando latrati mediatici funzionali al sistema di distrazione totale.

C’è voluto un religioso, il Papa, per sollevare il tema dei temi: l’abisso imminente, la distruzione irreversibile della Natura. Iniziata nel 1970 – secondo stime di organismi tecnici internazionali –, data da cui si è calcolato che il consumo delle risorse del pianeta è superiore alle sue capacità di reintegro.  A cui è intimamente connessa l’espansione del dolore di milioni di persone: affamate, misere, senza istruzione, che non sanno neppure dove trovare riparo; problemi aggravati nella pandemia.

Le riflessioni di Luise, sostenute da discorsi pacati e  pungenti,  penetranti intelletto e sentimenti, supportano intuizioni già presenti nelle nostre coscienze, indagandole in modo efficace, sereno, avvincente. Tanto che, quale conclusione naturale, ci attenderemmo il miracolo della diffusione dell’amore per un’Umanità Nuova, basata su Eguaglianza e Giustizia tra gli uomini, in assonanza ai principi  cristiani, recepiti anche da visioni laiche. Così come l’umanità intera dovrebbe convergere sull’idea di proteggere la Natura, giunta agli estremi della sopravvivenza.  Il miracolo, cui accenno, dovrebbe iniziare  convincendo per primo il 20 percento della popolazione che detiene l’80 percento della ricchezza mondiale (e, quasi per intero, il potere) a condividere la prospettiva del “passaggio dal tragico Antropocene alla nuova era dell’Ecozoico”, come evidenziato dagli stessi cardinali Prefatori.

Se Luise rimprovera al mondo religioso d’aver reagito alla catastrofe umanitaria e naturale, in cui siamo immersi, dall’unica voce di Papa Francesco, che dovrebbero dire i laici? Dalla cultura e dalla politica riceviamo analisi e proposte episodiche e frammentarie, non equiparabili alla fermezza e autorevolezza del Capo cattolico. Comunque, qualcosa si sta movendo anche nell’opinione pubblica, in sintonia col Papa. Mi riferisco ai propositi di Greta Thunberg, seguita da movimenti giovanili globali, stoppati solo dalla pandemia, e da sproni intellettuali crescenti, sparsi nel mondo, a cui aggiungeremo Raffaele Luise con questo libro. Che ci invita a non abbandonare la speranza, già nel sottotitolo del libro: “Oltre la Pandemia Per un altro mondo possibile”, ma c’è tanto da lavorare, e far presto.

fabilli1952@gmail.com

UNA NUOVA INNOCENZA_def (1) Copertina del libroRaffaele LuiseL’autore, Raffaele Luise

“L’Ombra delle Rose” di Spartaco Mencaroni, romanzo storico intrigante e gentile (Intermedia Edizioni)

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COVER_ombra-rose_1Altre volte avevo incrociato a distanza il medico-scrittore Spartaco Mencaroni. Fummo premiati, al Tagete degli scrittori aretini, in categorie diverse; lui assente, era sostituito dal padre. Di recente, mi fu chiesto di metterlo in contatto con l’editore Intermedia Edizioni della dottoressa Isabella Gambini.  Grazie a lei, avuta la copia de L’Ombra delle Rose, finalmente ho conosciuto l’Autore tramite il bel romanzo. Svolto con penna gentile e suggestiva, e molto apprezzato su Facebook dai primi lettori di Spartaco Coniglio Mannaro Mencaroni (simpatico nickname autoironico).

È la  storia trecentesca avventurosa di due piccoli gruppi di viaggiatori, durante una pandemia pestilenziale, in regioni turbolente ai confini tra il decadente Impero Bizantino e i domini dei Khan orientali. Nella vasta area tra le coste nord dell’odierna Turchia e le regioni a sud della Russia –  tra Mar Nero e Mar Caspio, entroterra compreso –, i due gruppetti di viaggiatori traversano mari, fiumi, zone brulle, foreste, gole montane, villaggi più o meno popolati nel clima spettrale della pestilenza, animati da intenti diversi. Gli uni (Marco e Duccio), inseguendo interessi commerciali, e gli altri (Erdon  Vania e Burqam),  in fuga minacciati da vendette  mortali. Passioni,  personalità, e luoghi d’origine dei personaggi, molto distanti tra loro (Marco e Duccio, genovesi e pisani, e mediorientali gli altri tre) destinati a incontrarsi in un finale mosso e in situazioni complici; dopo aver vissuto scontri cruenti, intrichi, disavventure, amori romantici e amori fugaci…

Al  caleidoscopio di  personaggi in azione, l’Autore da credibilità storica avendo studiato con cura le vicende del tempo, elencando in appendice bibliografia e storiografia attinte. Mentalità  scientifica e afflato umano, del medico- scrittore, tornano altrettanto efficaci nella costruzione psicologica dei personaggi, suscitando empatia nel lettore, spinto a seguirne le peripezie fino all’ultimo capitolo. La crudezza del racconto non è disgiunta da gentilezza e misura. Come vedere il film del romanzo senza effetti speciali stordenti, o eccessi descrittivi di crudeltà, o musiche di sottofondo angoscianti, bensì, nulla togliendo all’intensa tensione narrativa, i toni misurati di Mencaroni sono indulgenti verso miserie e disavventure, seguendo  i destini dei protagonisti, quand’anche sordidi e crudeli, velandoli di realistica partecipazione, rendendoli esseri umani verosimili. Dimostrando che la fiction, quella vera, è capace di raccontare la realtà molto meglio della cronaca o di un saggio. Per tutto ciò e per lo stile suadente, Mencaroni va oltre la letteratura d’intrattenimento,  meritando d’esser noverato tra romanzieri storici di valore.

Alla stregua del fondatore del romanzo storico, Walter Scott, con Ivanhoe,  e del contemporaneo  Umberto Eco, ne Il nome della rosa, anche Mencaroni inserisce la sua storia nel medioevo.  Collocando, però, le vicende non in Europa – in contese curtensi,  dispute teologiche abbaziali, o trame dell’Inquisizione – bensì nel vicino Medio Oriente, approfondendo usi costumi e vicende popolari proprie di quel Mondo. Impresa superata brillantemente. Mencaroni traccia personaggi attribuendo loro sentimenti eterni, proprie della gente comune, cioè, non di quelle speciali dotate di  alta cultura o calate in ruoli sociali straordinari, presenti in altri romanzi storici.

Intrica la lettura anche la descrizione della pandemia pestilenziale che traversa la narrazione. Non fosse elemento storico ricorrente nel medioevo, verrebbe da pensare a capacità premonitrici di Mencaroni sull’attualità del fenomeno, invece, è probabile ch’egli abbia elaborato lo scritto ancor prima della pandemia virale in corso.  Efficacemente, cala il lettore nei disagi e sofferenze in epoca pestilenziale, di fronte alla quale (in ogni pandemia)  le reazioni umane s’assomigliano, come dimostrato da Saramago in Cecità, ne La Peste di Camus, e nei Promessi Sposi di Manzoni. Prove terribili che, in ogni epoca, accomunano le condizioni sociali, sia ricchi che poveri.

Purtroppo il vezzo del sistema italiano è promuovere letture mosso da esterofilia, e di puntare a nomi sponsorizzati dalle grandi case editrici; altrimenti,  L’Ombra delle Rose di Spartaco Mencaroni avrebbe le qualità per essere in ogni libreria.

L’augurio è che presto verrà il momento del meritato successo per Mencaroni.

 

fabilli1952@gmail.com

Napoli, splendida fusione, a toni vivaci, di storia arte cultura sapori folklore…

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Sclinata nel rione SanitàAnche un pigro non ha scuse a compiere un viaggio a Napoli. Dove, l’alta velocità in treno, da Arezzo o Chiusi, porta comodi in meno di tre ore. Lo stesso giorno si possono gustare sfogliatelle e babà, a colazione, visitare angoli cittadini fascinosi, e, prima del treno per casa, saggiare la cucina tipica, non solo pizza; comunque proposta in ogni angolo e in mille versioni. Dunque, in un sol giorno, sarebbe possibile fare un bell’assaggio della città tra le più seducenti al mondo. Ricordi liceali m’hanno spinto a tornarci – con più tempo e senza smanie giovanili -, desideroso di appagare curiosità mai spente, come rileggere un libro per rinfrescare particolari sfocati nella memoria. Mi sfugge se prima vi andai in gita scolastica o alle nozze del prof di Greco e Latino, Petruzzelli. Al quale, rivolto alla scolaresca, sfuggì: “Qualcuno verrebbe alle mie nozze?” In tre prendemmo al volo l’invito. Augusto – a Napoli era stato allievo dell’accademia militare Nunziatella – primo a proporsi convinse a seguirlo, senza fatica, Marco e il sottoscritto. Dopo esserci abbuffati al sontuoso pranzo di nozze, sulla terrazza panoramica d’un hotel in via Caracciolo, la notte dormimmo a Monte di Dio in una pensione scalcinata di un vicolo stretto e ombroso, animato dal campionario umano presente nelle commedie di Eduardo De Filippo, che ci piacque, quanto le pizze e i supplì salati, vere leccornie. Nei tre giorni di gita scolastica, visitammo la Stazione Zoologica, il Vesuvio, gli scavi di Ercolano,…il resto dei ricordi sfuma in ragazzate giocose che, spesso, vincevano sugli intenti pedagogici dei professori. Rassegnati, alla fine, anch’essi si convertivano allo spasso.

Poco tempo fa, con idee precise su quanto desideravo visitare, stazionai in residence a piazza Cavour – prossima al Museo Archeologico Nazionale (MANN) – dove fermano ben due linee metro: una fa capo a Pozzuoli, e l’altra circumnaviga il Centro storico. Avevo alle spalle Spaccanapoli, di fronte il quartiere Stella (che racchiude il rione Sanità, dove nacque Totò), e, vicino, diverse Catacombe e l’Orto Botanico. L’obiettivo era immergersi in città, ammirando monumenti e tesori d’arte, ma anche viverne le strade e conoscerne la storia, munito della tascabile: Napoli, guida per viaggiatori, Edizioni IntraMoenia. In via Costantinopoli, vicino ai ruderi di mura greche, l’Editore ha sede nell’omonimo Ristorante IntraMoenia, fornendo, insieme, informazioni e pasti. Una siluette stilizzata di Totò, illuminata di sera, sovrasta l’accesso al rione Sanità, dedalo di strade e vicoli sopra cui pendono, per esteso, le lettere della canzone Napule è di Pino Daniele. Descrizione poetica di quel mondo: Napule è mille culure/ Napule è mille paure/ Napule è a voce de’ criature/ che saglie  chianu chianu/ e tu sai che ca’ non si sulo…. soli proprio no, anzi, da mattina a sera un fiume di persone preme indaffarato tra bancarelle del mercato, negozi, ristoranti, pizzerie – compresa la stellata Michelin, Concettina ai Tre Santi. Nel ventre del serpentone umano s’infilano pure auto e motorette. Sottostante, al caos della Sanità, c’è l’immota pace delle Catacombe di San Gennaro, San Gaudioso e San Severo, e il Cimitero delle Fontanelle, vasto contenitore ipogeo di morti sconosciuti. Dov’è praticata l’adozione di reliquie d’un morto (capuzzella) in cambio di richieste di favori. In quest’area di congiunzione, tra la città vecchia e la sovrastante Reggia di Capodimonte, si trovano splendide chiese, e palazzi come quelli dello Spagnolo e di Sanfelice dalle scalinate ad ali di falco, ritratte anche in qualche film. Per eleggere Napoli ai vertici delle capitali culturali mondiali basterebbero due musei: la Reggia, oggi Museo di Capodimonte, con una quadreria di capolavori (Tiziano, Raffaello, Brueghel il Vecchio e il Giovane, Carracci, Reni, Tintoretto, Ribera) presenti in ogni manuale di Storia dell’arte, al pari delle raccolte, uniche al mondo, nel Museo Archeologico Nazionale (diretto dal Cortonese Paolo Giliarini), di statuaria greco-romana, antichità egizie, e splendidi reperti di scavi, compresi alcuni di Pompei ed Ercolano. Giusto, perciò, riconoscere ai regnanti napoletani l’aver raccolto un ingente patrimonio culturale, emulati dai nobili dalla chiesa e dal popolo (pagante per tutti), costruendo splendide piazze chiese monasteri palazzi e statue. Napoli ha una vita millenaria, fondata dai Greci il 21 dicembre 475 a. c., anche se i primi insediamenti son legati alla leggenda della sirena Partenope (Omero, XII canto Odissea), che, delusa di non essere riuscita a trattenere Ulisse, volando si schiantò sul lido di Megaride, dov’è oggi Castel dell’Ovo. La stessa struttura urbanistica, reticolata in cardini e decumani,  racconta la storia millenaria. Con l’antico Decumano maggiore, di via dei Tribunali, dov’è il MANN, la Galleria Principe di Napoli, Piazza San Gaetano antica Agorà greca, San Lorenzo Maggiore, il Duomo, via San Gregorio Armeno, e vicoli suggestivi, dove miseria e nobiltà sono affiancate. Il Decumano inferiore, attuale Spaccanapoli, presenta molti palazzi nobili, chiese, obelischi, cappelle, monasteri. Forse, è il quartiere a più alta densità turistica giornaliera, dal folklore singolare: misto di turisti e affaccendati venditori di souvenir e posti a tavola nel proprio ristorante. L’accoglienza turistica – va detto – è cortese e di qualità. Prima dello stop causato dal virus, Napoli era molto lanciata nel proporsi al mondo intero, aiutata anche dalla collocazione geografica nel suo golfo magnifico sovrastato dal Vesuvio. Palazzi pregevoli si trovano anche discosti dal centro storico. Come quelli prossimi al mare (Castel dell’Ovo, Palazzo Reale, Teatro San Carlo, Piazza Politeama), e quelli del salotto europeo Liberty in via dei Mille, nel rione Chiaia, che accoglie numerosi negozi del lusso. Suggerisco, imperdibile, l’escursione agli scavi di Ercolano (scoperti dal Cortonese Marcello Venuti, nel 1738). Di minori dimensioni di Pompei, però, più che sufficienti a illustrare la vita romana ai tempi dell’eruzione Vesuviana, compresi gli abitanti pietrificati, in attesa vana di soccorsi dal mare.

fabilli1952@gmail.com

Stazione Metro ToledoStazione Metro Toledo Sclinata nel rione SanitàBalconata rione Sanità MANN (5)MANN NAPOLI -MANNMANN NAPOLI - MANN (2)MANN MANN (7)MANN NAPOLI - MANN (3)MANN Napoli Castel dell'OvoCaste dell’Ovo Palazzo RealePalazzo Reale NAPOLI - CAPODIMONTEReggia-Museo Capodimonte Napoli - Teatro San CarloTeatro S. Carlo Monastero S. Chiara-CortileCortile Monastero Liberty-Via dei Mille Palazzo Liberty via dei MilleScavi Ercolano (2)Ercolano – ScaviScavi ErcolanoErcolano – Scavi

Terremoto dell’Irpinia e l’incontro tra Cortona e Paternopoli, a 40 anni dagli eventi

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Terremoto 1Per gli italiani fu un evento straordinario, nel novembre ’80, il più grande disastro ambientale e umano del dopoguerra, in quel che fu definito il “cratere” del terremoto in Irpinia, esteso tra più provincie e regioni. Colpiti duro furono: gli abitanti (molti morti), case e palazzi (paesi rasi al suolo), la coscienza del paese (alla TV vedemmo spettacoli apocalittici), e lo Stato, del tutto inefficiente! Trascorsero non ore, ma giorni prima che arrivassero i primi soccorsi efficaci. In qualche modo, anche certi soccorsi improvvisati (pur generosi) contribuirono ad alimentare il caos. Non a caso da quell’esperienza nacque l’idea della Protezione Civile.

L’onda lunga dell’afflato emotivo, nel desiderio di alleviare sofferenze, toccò tutto il resto d’Italia. Anche a Cortona, con un tamtam improvvisato, ci mettemmo in cerchio per stabilire cosa fare. Nel giro breve, con il Comune punto di riferimento, tutta la società si mosse (associazioni laiche e religiose, privati e imprese, e volontari pronti a partire),  allestendo un convoglio consistente di beni primari, che partì diretto al terremoto. Già in TV si assisteva a sprechi di materiale donato, ammonticchiato a caso qua e là, destinato al macero, perciò decidemmo di seguire il carico sino al suo buon fine. Usciti dall’autostrada, prendemmo la via per il cuore dell’Irpinia. Era freddo e imbruniva. Ci trovammo in un crocevia dietro a un grosso camion di aiuti del Comune di s. Gimignano, il cui unico rappresentante, l’autista del camion,  stava ascoltando un tipo che gli diceva: “Sono Mario Leone, presidente della Regione Toscana, seguimi!”, con accento campano… Costernato, non sapendo che fare,  invitammo il camionista a seguirci. Nostra intenzione, a quel punto,  fu cercare a Grottaminarda un centro informazioni affidabile, che doveva pur esserci, a una settimana dal sisma. Appena scesi sul piazzale, ci venne incontro un giovane in eschimo, Pietro Palermo, che si presentò Assessore del comune di Paternopoli, lamentando che da loro nessun aiuto era arrivato, pur avendo  necessità estrema di tutto: il sistema distributivo era saltato, alimentari e farmaci compresi! Avevano anche morti, e molti edifici lesionati o distrutti. Ci fidammo, e  seguimmo Pietro, compreso il camionista di s. Gimignano. (Essere  diffidenti era giustificato: la malavita, subito dopo il sisma, impiantò truffe maramalde verso i soccorritori depredandone i carichi, e, in seguito, taglieggiando, con la violenza, la ricostruzione).

Trovammo, a tarda sera, molti abitanti in attesa, con il Sindaco la Giunta e il Consiglio comunale in testa: esempio dei Consigli dei terremotati, molto efficienti. I quali furono esautorati nella fase ricostruttiva (troppo democratici ed efficienti!), sopraffatti da Comitati d’affari (superfetazioni burocratiche di cui  lo stato banditesco, spesso, si è dotato) che fecero bottino di soldi pubblici!

Erano adunati, a discutere e decidere iniziative, in un capannone dove per la prima volta dal terremoto videro scaricare derrate alimentari e altri beni necessari. In seguito, portammo alcuni moduli abitativi provvisori, prodotti nella falegnameria comunale. Non avevamo certo risolto i problemi di Paternopoli. Fu, però, un approccio amichevole tra rappresentanti di due comunità fisicamente lontane, ma, in pochi attimi, legate da sincera simpatia – sollevando per un momento persone depresse e sperdute -, tramutatasi in una spaghettata corale (per pentola un grosso secchio) innaffiata da abbondante e genuino aglianico locale. Il vino tanto buono che a notte fonda dovemmo calmare lo spirito battagliero di Angelo Salvicchi (Scandaglio), intento a  incitare gli astanti a correre a Grottaminarda per rivendicare altri soccorsi… Dormimmo sul cassone telonato del camion, senza sentire alcun disagio, non si sa se per merito dell’aglianico, o per la sequela di scherzi  frizzi e lazzi che fecero da ninna nanna ai ragazzi attempati cortonesi. Purtroppo, molti di loro, della prima spedizione in soccorso, sono scomparsi, impegnati anche nella seconda mandata di aiuti, sempre più convinti della buona azione da compiere, sentendo dietro la spinta generale dei cortonesi a proseguire.

Mesi dopo il sisma, fu anche stabilito un gemellaggio tra le due città, naturale tappa di un’amicizia. A quello, fece seguito un altro gemellaggio, tra la Misericordia di Cortona e la consorella nata a Paternopoli dopo il terremoto, sull’esempio e il sostegno della più stagionata associazione di volontari.  Sodalizio tuttora vigente. Mentre tra i due Comuni residuano solo amicizie tra persone che si conobbero allora.

Tutto è bene quel che finisce bene. Visitando, poco tempo fa, l’Irpinia e Paternopoli, era evidente non solo la ricostruzione conclusa,  ma segnali di crescita economica importanti, valorizzando prodotti agricoli eccellenti, come vino olio e il broccolo DOP, e stava prendendo campo la recezione turistica, in quei territori ricchi di emergenze ambientali e di centri urbani carichi di memorie storiche.

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Michele Boenzi, simpatico scugnizzo napoletano trapiantato a Cortona

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boenzi1 (3)Di origini campane e ben integrata, la famiglia Boenzi, genitori e sei figli, visse alle Case Popolari a Camucia, negli anni Sessanta. Il babbo, Nicola, veniva dalla elegante scuola sartoriale napoletana. Fatto singolare, un sarto napoletano nel fenomeno migratorio Cortonese del dopoguerra, quando larga parte degli immigrati furono lavoratori della terra provenienti da Benevento e Avellino.

Michele, maggiore dei fratelli, era canzonato: “Napoli” o “Napoletano”, da certi bulletti, alludendo allo stupido luogo comune del “napoletano che si lava poco”, riemerso, di recente, in squallide cronache politiche. Michele, moretto mingherlino, salvo stupide bullaggini, era benvoluto. Socievole, allegro, giocoso, amava il calcio anche se non era tanto versato, intelligenza vivace, bravo a scuola. Il corpo gracile celava un tipo tosto: rispondendo a tono a giudizi malevoli, o facendosi amabilmente dispettoso se molestato, dimostrando fantasia – a dieci anni – nel replicare a scherzi e dispetti. La vita collegiale, sin da piccoli, costringeva a svegliarsi anche non volendo; d’altronde, non son nate a caso le battute sugli “scherzi da prete”, e  “dalla scuola dei preti non escono bischeri!”. Michelino, vispo e in fretta, si adattava alle circostanze.

Nel Seminario diocesano, forte d’una sessantina di allievi, pareva fiorissero infinite “vocazioni”. La società contadina aveva dato molti preti a Cortona, mentre nel passaggio alla società industriale e della televisione corrispose un crollo di “vocazioni”. Il Seminario Cortonese chiuse a fine anni Sessanta. Michelino mal ne sopportava la disciplina, anche se cercava di adeguarsi. Stare in gruppo gli piaceva, specie nei giochi. Oltre al calcio, si praticavano giochi da tavolo: pingpong, scacchi, dama, carte, monopoli, calciobalilla. Dopo pranzo, erano corse sgomitanti alla conquista del gioco preferito. Gli istitutori di camerata governavano le giornate del seminarista. Studenti più grandi, in veste di “prefetto” e “viceprefetto”, sorvegliavano, disciplinavano, e si univano pure ai giochi. E, per far rispettare le regole, comminavano punizioni ai trasgressori degli infiniti dettami quotidiani, dalla sveglia al coricarsi. Lavarsi bene, scender lesti da letto, ordinati nelle vesti e calzature, procedere in fila stando in silenzio, buon contegno nelle funzioni religiose, educati a tavola, diligenti a scuola, riverenti verso i superiori,…ordini minuziosi, a cui non sfuggiva alcun attimo della giornata del seminarista. E non mancavano nel gruppo gli spioni, “riportini” ai superiori di marachelle. In caso d’infrazione, a loro scelta, i superiori sancivano richiami, scappellotti, e punizioni: niente giochi, niente passeggiata pomeridiana, pranzo in piedi e in silenzio, … sia per colpe individuali che di gruppo. Dai pesi variabili nelle punizioni, Michele spesso si sentiva discriminato: con lui il Prefetto avrebbe calcato troppo la mano, senza scusargli niente. Vivendo  lo stato d’animo di “soggetto a ingiustizie”, non di rado, reagiva ideando altre birbonate.

Ambedue sortiti di Seminario, tra grosse risate, Michele mi raccontava compiaciuto le sue ragazzate. Come quando tirò una riga continua, in punta di lapis, sugli intonaci bianchi: dalla cappella, a pian terreno, al camerone dei letti, all’ultimo piano. Ricordavo l’interrogatorio a tutta la camerata su chi fosse stato il colpevole.  Nessuno si fece avanti. La punizione fu collettiva: quel giorno, senza gioco del pallone!

In più occasioni, Michele espresse il proposito intrigante di fissare quelle esperienze scanzonate in un libro, simile al Giornalino di Giamburrasca di Luigi Bertelli. Il progetto non prese la luce a causa della sua prematura scomparsa, quando avrà avuto, forse, cinquant’anni.

Michele divenne funzionario di banca, superando tante difficoltà con la sua grinta consueta, uscito di Seminario dopo la terza media. Da vicino di casa, gli  insegnai a usare la bicicletta che non aveva posseduto fino a quattordici anni. Avendo sei  fratelli, Michele era conscio di dover conquistare tutto da solo, compresa la bicicletta comprata coi guadagni da apprendista nella fabbrica di radio transistor, in via di Murata. Deciso a proseguire gli studi lavorando, occupatosi stabilmente alla Confar di Rigutino, si diplomò Ragioniere alle scuole serali. Seguì l’impiego in Banca, raggiungendo l’agognata sicurezza economica e il meritato stato sociale. Formò una famiglia con figli,  dedicando ad essa ogni energia, accettando carichi di lavoro e sedi disagiate, pur di migliorare le entrate economiche domestiche.

Tuttavia, un tragico destino l’attendeva: fu colpito da una di quelle malattie che rendono il corpo inerte, gradualmente, fino alla morte. La coscienza intatta, fino alla fine, ne amplificò il dramma.

Sorretto da fede cristiana, angosciato dalla morte, scrisse in una preghiera: “Ho perso il controllo del corpo giorno dopo giorno/ E ora Signore non sono più mio”, offrendo i suoi dolori “Per i sofferenti, i derelitti e le vittime della prepotenza del potere./ Guarda la strada dei miei figli e dei miei cari, concedi loro/ La grazia della fede, della giustizia  e dell’onestà”. Pensieri trepidanti dedicati ai suoi “ragazzi”: “…la mia mente vi corre accanto”, pur avendo perso l’uso di braccia, mani, e gambe “ho un gran cuore per stringervi forte”. L’amaro calice di cui avrebbe fatto a meno,  fatalmente rassegnato, ne fece una delle tante vittime di quei percorsi emancipatori che colpirono, in età prematura, la nostra generazione e quella dei nostri genitori. Uccisi, precocemente, da condizioni stressanti nel mondo del lavoro. Mentre, oggi, è possibile morire anche per mancanza di lavoro.

I miei ricordi dolorosi su Michele perdurano. Solare onesto tenace, vita bruciata per obiettivi che molti di noi fortunati abbiamo raggiunto senza pagare scotti irreparabili.

fabilli1952@gmail.com

boenzi1 (3)

Michele è quello al centro in basso. In alto a destra Giovanni Tanganelli, gli altri mi pare siano Luciano Pelucchini, Marino Faralli (?) Giampaolo Masserelli(?) non so se la memoria è ancora buona…