L’ULTIMO GIRO DI GIOSTRA NELLA CORRUZIONE E NEL CAOS POLITICO ITALIANO

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Sparando promesse di improbabili rimedi, stanno contribuendo ad aumentare  sconforto e pessimismo (in un Paese da tempo nel caos politico) l’anziano Presidente della Repubblica, dalle dimissioni annunciate, che predica il ritorno ad antichi valori politici (quali?), accusando di sovversivismo l’antipolitica, e un rampante presidente del Consiglio che di fronte al quotidiano disfacimento economico e morale del Paese, aggrava la sua malattia di “annuncite”, capace di mettere solo tanta carne al fuoco, con scarsi risultati, spesso di dubbia utilità. Anche se qualche danno l’ha già fatto, come l’introduzione di nuove precarietà nel mondo del lavoro e certe riforme  istituzionali (del Senato, elettorale) indigeste pure agli onorevoli del suo PD.

A me, come a tutti, piacerebbe appartenere a quanti pur criticando al momento opportuno, senza compiacersene, sperano ogni giorno (purtroppo vanamente) che si arrivi almeno a risolvere qualche bandolo della matassa, vedendo una sia pure timida e graduale inversione alla frana che sta travolgendo l’Italia.

Gli elettori non vanno a votare, siamo al 60% di assenteismo elettorale, sarebbe stata necessaria un’attenta analisi sui motivi di tanta disaffezione, ma il fenomeno non preoccupa, il Premier ha fatto spallucce. Una serie infinita di scandali è piovuta e sta piovendo bipartisan su classi dirigenti politiche locali, regionali e nazionali, per un danno colossale all’erario di miliardi di euro, e nessuno, tra chi di dovere, pensa ai rimedi. Consideriamo rimedio il commissariamento di un partito in una città? O sono rimedi gli inasprimenti “annunciati” di qualche articolo del Codice penale, che chissà quando entreranno in vigore?

Senza avere la pretesa dell’analista politico che non sono, oserei dire che a questa classe politica manca uno specchio!

C’era una volta un personaggio politico che, quasi quaranta anni fa, indicava prioritario affrontare la  “questione morale”, pericolo più che incombente sulla salute della fragile democrazia italiana. Denunciava l’occupazione manu militari dei partiti in ogni ganglio vitale non solo della Pubblica Amministrazione, e dell’intero apparato gestionale dello stato, dalla più modesta banca locale, alle maggiori aziende di Stato. Sosteneva che l’unico modo di uscirne era, nella trasparenza, la netta separazione delle due sfere di competenza, quella di indirizzo e controllo, riservata alla politica, e quella manageriale affidata a persone competenti al di fuori di logiche partititiche. Erano gli anni Settanta, e il personaggio evocato era Enrico Berlinguer.

Nel frattempo si è fatto tutto il contrario.

Sono spuntate come funghi, oltre 10.000, società di capitale per la gestione dei servizi a domanda locale, fonte non solo di proliferazione di poltrone remunerate da ricoprire, ma adottando norme del codice civile nel modo più spregiudicato, tali gestioni spesso fallimentari hanno creato il terreno di coltura per appalti truccati, assunzioni clientelari a gogo, ecc. ecc. Poi, perché non ricordarla, è intervenuta la legge Bassanini sui dirigenti pubblici, ai quali gli incarichi non vengono più dati sulla base di un concorso e sulla rotazione periodica degli uffici, bensì sono nominati perché di “fiducia” dell’amministrazione. Aumentandone così il numero a dismisura, con paghe stratosferiche superiori ai presidenti Obama o Merckel, “fedeli” al politico di turno, e, quando mal guidati e mal controllati, protagonisti di disgustosi  intrallazzi, bustarelle, negazioni di diritti, ecc., a tutto danno delle casse pubbliche. (Ad esempio, mi domando, com’è stato possibile a Roma, sindaci Veltroni e Rutelli, accumulare un deficit intorno ai cinque miliardi di euro, ancora in via di liquidazione a spese dei contribuenti?).

Per non parlare poi sulla selezione politica delle classi dirigenti. Non è da oggi che si sa che molte carriere politiche sono sostenute da voti di scambio, dal servilismo agli apparati, dalla corruzione, dall’appartenenza o meno a questa o quella tribù.

E le Regioni, che erano state costituite in nome del  principio di sussidiarietà ed efficienza della spesa pubblica, dopo inizi promettenti, sono diventate nuovi ricchi feudi politici, più propensi a dilapidare risorse pubbliche (pensiamo ai pazzeschi indebitamenti in certe regioni per spesa sanitaria) che a rendere servizi efficaci a costi contenuti. Non dimentichiamo poi la punta dell’iceberg scoperto dalla magistratura sulle cosiddette spese facili, rimborsi ad uso personale attuati dai poco “onorevoli” consiglieri regionali (cene, mutande, regali a sé stessi o ad amanti, finanche ville, vetture costose, ecc.), aggiunte all’aumento di nuovi consiglieri e a un sacco di privilegi, sotto forma di indennità di carica, pensioni, buonuscite…

Concludendo. E’ implosa la cosiddetta Prima Repubblica, per gli scandali di “tangentopoli”, per metodi surrettizi di finanziamento ai partiti. La Seconda Repubblica non è stata da meno, caratterizzata dall’immoralità politica elevata alle più alte cariche governative. Berlusconi ne è stato di sicuro il massimo ispiratore con l’uso del potere a scopi personali nei modi più smaccati e protervi, ma le colpe vanno estese all’intero panorama politico, che, pur sconquassato da scandali, è proceduto senza batter ciglio. Un magistrato intelligente, di fronte a quanto sta emergendo a Roma, sommato ai ladrocini della Seconda repubblica, ha detto che saremmo oramai alla Terza repubblica.

E parte della Magistratura che ha fatto? A fronte di ammirevoli esempi, Pignatone a Roma, il pool “mani pulite” a Milano, i veneziani del Mose e i milanesi dell’Expo, ecc., penso che in giro per l’Italia se non connivenza con la politica, c’è stata opacità. La politica dello struzzo, i “porti delle nebbie”. Altrimenti non si spiegherebbero le decine di miliardi di corruzione, denunciati dalla stessa Corte dei Conti.

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