L’agricoltura aretina nel secondo dopoguerra

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L’agricoltura Aretina dal dopoguerra agli anni Sessanta

La superficie agraria. (Dati Somea 1970).  Nel ‘62, l’agricoltura contribuisce al 13,8%  del reddito netto provinciale e allo 0,56% del nazionale. Morfologicamente il territorio è classificato: 40% montano e 60% collinare, senza pianura (in seguito l’ISTAT, modificando canoni, prevederà anche superfici pianeggianti). L’utilizzo varia in altitudine. In  montagna, il bosco occupa il 55% della superficie agroforestale, il seminativo il 39% , e il pascolo il 6%. In aree collinari, bosco al 20%, e al 16% in vallate. L’ISTAT ripartiva la provincia in cinque zone montane (Alta Valdichiana, Val Tiberina Superiore, Alto Valdarno Aretino, Chianti Aretino) in  spopolamento: per suoli poco produttivi, gravi carenze infrastrutturali, distanze dai centri abitati, scarsità di alternative economiche. L’agricoltura montana aveva piccole zone a coltura promiscua di vite, olivo e seminativo arborato. Nei territori collinari di origini alluvionali (Piano-colle del Valdarno Aretino, Piano-colle della Valdichiana, Bassa Valtiberina Aretina) presenti  seminativi nudi e arborati in basso, arborati nelle parti elevate. Struttura delle aziende agricole. Somea, per capire le tendenze compara dati censuari (del ’61, primo censimento agricolo nella storia italiana) a campioni (del ’67) rilevati in aziende sopra 20 ha., da cui emerge l’incremento delle superfici medie aziendali. Nel ’61, in Toscana, prevale la conduzione diretta: 136.689 aziende con superficie media di 4,38 ha.; i coltivatori diretti aretini sono 13.412, con superficie media di 5,59 ha.; nel ‘67, tali aziende salgono, poco, a 13.453 unità, mentre la superficie media sale a 6,39 ha. e la loro percentuale passa dal 46% al 53%, a fronte di un calo provinciale di aziende (-14,9%). Indicativo il dato sulle aziende mezzadrili: 12.150 nel ‘61, 8.117 nel ‘67, (-33%); dato evolutivo fin quasi alla dissoluzione mezzadrile, in seguito al divieto del ’65 a stipulare nuovi patti. La conduzione diretta a fattoria o di tipo capitalistico, con salariati e/o compartecipanti, occupava gran parte del territorio (111.667 ha.) pari al 39,1% della superficie agraria; la cui superficie media aziendale sale a 33,86 ha., nel ’67.  Altre conduzioni hanno scarso rilievo. Nell’Aretino prevalgono, nel ‘61, aziende inferiori a 10 ha. (22.184 su 29.158), con superfici frammentate in più corpi. Solo 10.979 aziende su 29.158, il 37,6%, erano d’un solo corpo, più frequenti in montagna e in Valdichiana. Strutture aziendali e natura dei terreni, ostacolando meccanizzazione e incrementi produttivi, davano esiti negativi sui redditi per addetto. Il patrimonio zootecnico. Nella stima del livello tecnico agricolo è determinante la consistenza zootecnica: molto variabile. Al decremento dei bovini, per la polverizzazione aziendale e  la loro sostituzione  con forza meccanica, dal ‘66 segue l’incremento della Chianina, razza selezionata dagli anni Trenta (Kovacevich 2004). I suini, in montagna e in valle, aumentano in stalle intensive col favore di mercati stabili e redditizi. Gli ovini, dal ‘51 al ‘61, dimezzano, tornando a crescere nel ‘66 con l’immigrazione di pastori sardi. Il calo ovino è legato all’esodo montano, specie in Valdichiana e Casentino, dove costituiva risorsa rilevante. Per gli equini, aumentano i capi da macello. Nonostante andamenti diversi e discontinui nelle zootecnie, il loro contributo al prodotto agricolo oscilla tra il 46,5%, nel ’61, e il 50%, nel ’67, sul totale della produzione agro-zoo-forestale. I lattoni – ceduti vivi –  non figurano tra la carne macellata. Dal ‘61 al ‘68, il latte bovino incrementa da 80.027 litri a 117.200; il latte ovino scende da 37.041 a 26.250 litri. La produzione agricola. Le coltivazioni si svolgono da 150 a 900 metri s. l. m., con varie produzioni. Salendo, traviamo vite, olivo, castagno e pascoli. Più in alto, pinete e abetaie. Fruttiferi poco diffusi (2% della superficie agraria), nonostante favorevoli condizioni ambientali; stesse considerazioni valgono per colture industriali, foraggere e ortaggi. La vite, presente in meno dell’1% della superficie agraria, raggiunge buoni livelli quali-quantitativi, superando il 28% della produzione vendibile agricola, nel ’67; positivo anche l’olivo, che incide sulla produzione vendibile per l’8%. Produzioni collinari, solo in parte meccanizzate e specializzate. Cereali stazionari, salvo grano e avena dai discreti incrementi, anche se il loro peso complessivo sul valore della produzione vendibile è calato. Somea, infine, suggerisce alcuni obiettivi ai committenti lo studio (Provincia e Camera di Commercio): L’allargamento delle piccole aziende in unità di maggiori dimensioni; L’accorpamento di aziende suddivise in appezzamenti distanti tra loro; Sviluppi nella cooperazione, assistenza tecnica, e credito agrario; Favorire le industrie di trasformazione dei prodotti agricoli; Razionalizzare il commercio dei prodotti. Tutto ciò in linea con i programmi unitari agricoli europei e nazionali.

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La modernizzazione dell’agricoltura Aretina (1950-‘80)

La svolta nelle campagne, dal  Piano Verde I e II . (Fabiani 2015, pp.179 e segg.) Nel  trentennio post-bellico, tra i più convulsi nelle campagne Aretine, incrociarono fenomeni eclatanti: l’esodo massiccio; aspri conflitti tra proprietari e mezzadri e una lunga crisi mezzadrile (Fabilli 1992); e l’avvio dell’integrazione agricola con il mercato economico europeo. Anche l’Aretino entrò nella “modernizzazione”, o “pacifica rivoluzione agricola”, cosiddetta da Alessandro Susini, Ispettore Provinciale dell’Agricoltura, stilando bilanci: Un decennio di realizzazioni per il rinnovamento dell’Agricoltura Aretina (dal ’61 al ’71); è il primo resoconto sul passaggio dell’agricoltura aretina dall’autarchia – eredità fascista (Fabiani 2015, pp. 131 e segg.) -,  al mercato globale, sotto un’imponente spinta finanziaria, col ruolo centrale nell’Ispettorato Agrario. Grazie a leggi straordinarie, la 454/1961, la 910/1966 (Piano Verde I e II) e norme collegate, in un decennio la produttività agricola aretina raddoppiò, a unità lavorative dimezzate, e iniziò a ridursi il gap con le più avanzate economie europee: crebbero i coltivatori diretti e le superfici poderali. Investimenti a fondo perduto e in conto capitale nei miglioramenti fondiari. Susini elenca gli investimenti nei miglioramenti fondiari, partendo dalle condizioni disastrose delle case (fatiscenti,  prive di elettricità, acqua e gabinetto); dalla quasi assente meccanizzazione; dall’uso irrisorio di antiparassitari e concimi chimici; da carenze di strade vicinali e poderali, di elettrificazioni, e di acquedotti; dai bassi  redditi nel settore. Essenziale era creare nuovi imprenditori agricoli, coltivatori diretti, sostenuti in ogni fase: dagli assetti aziendali, fino ai risvolti professionali nella produzione, gestione aziendale e tenuta dei conti.  Impianti zootecnici nuovi, nel periodo 1961-’71, ammessi a contributo: Stalle a stabulazione fissa e libera per 3.326 capi; Ovili e porcili per 5.288 capi; Silos e fienili per 74.464 mc.; Annessi rustici per 56.333 mq.; Spesa ammessa L. 1.549.846.000, contributi erogati L. 766.903.000. Per riattamento, ampliamento, razionalizzazione ricoveri animali: Impianti a stabulazione fissa e libera per 4.452 capi; Ovili e porcili per 1.068 capi; Silos e fienili per 8.082 mc.; Annessi rustici per 27.194 mq.; Spesa ammessa L. 1.262.850.000, concesse L. 627.425.000. Per provviste d’acqua potabile: Mediante allacciamenti 117; Da pozzi e cisterne 130; Spesa a contributo L. 64.287.000, concesse L. 32.096.000.  Irrigazione,  in alcune colture come tabacco e mais, fondamentale nell’incremento della produzione. Sfruttate tutte le fonti di rifornimento idrico reperibili in loco, c’era attesa per la diga di Montedoglio che seguirà un iter molto lungo dalla progettazione alla esecuzione, ad oggi, non del tutto concluso. Fino al ‘72, finanziamenti erogati per 64 impianti di aspersione e scorrimento, irrigati ha. 270; progetti ammessi a contributo L. 59.441.000, concesse L. 29.694.000. Opere infrastrutturali: acquedotti rurali e strade interpoderali,  prevedevano la misura del 50% di contributo, elevata al 60% e all’85%.  L’orografia aretina esigeva alti costi a intervento. Acquedotti rurali 32, abitanti servite 1.055; Elettrodotti  rurali 70 per1.409 abitanti; Strade vicinali e interpoderali nuove e riattate  84 per  Km. 86; Spesa a contributo L. 481.881.000,  concesse L. 346.803.000. La casa rurale. Argomento vitale e controverso, nell’applicare la legge si creavano discussioni tra tecnici e utenti. Delle circa 30.000 abitazioni rurali in provincia le più erano di vecchia costruzione, e motivo d’esodo; le case malsane ponevano il dilemma se suggerire restauri o, dati i costi eccessivi, nuove costruzioni. Finanziate, nel decennio, 329 nuove  case per  1.709 vani; ampliate e ristrutturate 1.155 per 4.530 vani; Ammesse a contributo per L. 2.511.410.000, concesse L. 1.250.704.000. Ristrutturazione arborea. Prevalendo le colture promiscue della vite, su 65.000 ettari, l’apice produttivo era avvenuto dopo la prima guerra mondiale, con punte annue di un milione di quintali di vino, ma era andato scadendo per vetustà e obsolescenza degli impianti. Con l’unico seguito di reimpianti,  su 300 ettari di promiscuo, grazie ai finanziamenti ( D.L.P. 31/1946) a favore della manodopera disoccupata. Dal ‘60, si era scesi a produrre 400.000 quintali annui di vino. “All’invecchiamento degli impianti arborei contribuirono lavorazioni profonde, carenze di manodopera e crisi mezzadrile, che ridussero le lavorazioni manuali delle ‘prode’ e resero meno tempestivi i trattamenti antiparassitari, la gelata del 1956, ecc.. La crisi del vitato promiscuo si rese evidente col diradamento dei testucchi o aceri, che facevano d’appoggio a 3-4 viti come da tradizione; nella maggior parte dei casi le viti si erano ridotte a 1-2 per albero marito e molto spesso esso risultava ormai vedovo!” Dal ’50, si era proceduto allo sradicamento di alberature. Prima, nelle aziende in cui ai mezzadri erano subentrati i salariati.  In seguito, il fenomeno si estese ai poderi a conduzione diretta, grazie ai contributi del Piano Verde I, del ‘62, con incentivi alla meccanizzazione e all’impianto di vigneti specializzati. Variazioni che determinano incrementi produttivi di vino ed erbacee, con la modifica del tradizionale paesaggio agrario: da campi poco estesi circondati da alberature promiscue, a larghi spicchi brulli di suolo coltivabile, affiancati a vigne  e frutteti intensivi.  La viticoltura si poneva nuovi obiettivi, delimitando la zona DOC Chianti (D.P.R. 930/1963) e in attesa della DOC Bianco Vergine della Valdichiana. Dati gli incentivi, a margine delle aree DOC sorsero tre cantine sociali (S. Giovanni Valdarno, Arezzo, Cortona) a favore dei cicli produttivi e del commercio vinicolo. Evoluzioni successive, verso produzioni qualitative, determinarono la scomparsa di parte degli stabilimenti enologici cooperativi,  essendo ridotta  la domanda di vino da pasto a favore di vini di più alta gamma. Gli impianti olivicoli seguirono evoluzioni simili a quelli enologici, su estensioni minori. Vigneti. Superficie nuovi impianti 1.195 ha. (1962-’71); Spesa impianti L. 1.135.830.000, contributi L. 470.525.000. Frutteti. Nuovi impianti 35 ha., spesa L. 25.222.000, contributi L. 9.757.000. Oliveti. Nuovi impianti 87 ha., spesa L. 22.240.000, contributi L. 9.844.000; Impianti esistenti, riordinati e infittiti in 638 ha., spesa L. 62.508.000, contributi  L. 22.416.000. Azione del credito agevolato nei miglioramenti fondiari. Il Piano Verde I e II prevedevano massicci crediti a lungo termine (30 anni) e a tasso agevolato (2-3%) per migliorie nei fondi rurali. (Su100 lire mutuate il coltivatore pagava annualmente meno di 5 lire, comprensive della restituzione di capitale e interessi). Così invitanti che, nel  decennio, l’Ispettorato Agrario ricevette 2.500 richieste. Fabbricati rurali di nuova costruzione. Nuove abitazioni, vani 219; Stalle a stabulazione fissa, capi 1.570; Porcili e ovili, capi 3.278; Silos e fienili, capi 101.291; Annessi rustici Mq. 32.948; Ammesse a mutuo L. 1.242.149.000. Fabbricati rurali riattati e ampliati.  Case riattate e ampliate, vani 2.411; Stalle a stabulazione fissa, capi 3.985; Porcili e ovili, capi 947; Silos e fienili Mc.7.700; Annessi rustici Mq. 31.698; Ammesse a mutuo L. 1.258.381.000. Provviste acqua potabile. Pozzi e cisterne 20; Allacciamenti 15; Ammesse a mutuo L. 9.281.000. Impianti irrigui: Per aspersione e scorrimento su 48 ha; Ammesse a mutuo L. 19.819.000. Acquedotti, elettrodotti, strade: Acquedotti rurali 6; Elettrodotti 5; Strade di nuova costruzione 15, riattate 3; Ammesse a mutuo L. 40.979.000. Miglioramenti vari, non compresi nelle voci, L. 262.180.000. Complessivamente nel periodo ‘62-‘71 (Piano Verde I e II), per miglioramenti vari, è stata ammessa a muto la somma complessiva di L. 2.837.493.000. Proprietà contadina, tema cruciale per superare il  conflitto tra mezzadri e proprietari sui patti agrari: chi ne voleva l’abolizione, chi l’espropriazione delle terre a favore dei contadini,  fino a concludersi nella proibizione della stipula di nuovi patti. Nel frattempo, la D C – forza di governo, erede del Partito Popolare –  adottò una strategia politica, istituzionale, e sindacale, tesa a occupare i maggiori spazi afferenti il mondo agricolo (Federconsorzi, Enti di Bonifica, Banche rurali, cooperative, ecc.),  egemonizzando l’attività sindacale con la Coldiretti, impegnata a incrementare la proprietà contadina e le dimensioni poderali (Consonni, Della Peruta, Ghisio, 1980).  Incentivi fiscali. Il primo (D.L. 114/1948) prevedeva una tassa fissa di registro sugli atti di trapasso di proprietà, e tassa fissa ipotecaria sugli acquisti di aziende coltivate direttamente, o nelle acquisizione di terreni da accorpare in azienda preesistente. In provincia di Arezzo furono concessi 7.127 pareri favorevoli ad agevolazioni fiscali, riferiti a 33.782 ha., acquistati da coltivatori diretti e mezzadri. La superficie agronomica interessata a transazioni proprietarie, equivalente a oltre un decimo di quella provinciale, proveniva: 3.121 ha. da aziende in estinzione; 18.136 ha. da  piccole aziende abbandonate dai mezzadri e proprietà di non addetti agricoli; 8.520 ha. da medie aziende; 901 ha. da grandi aziende; 1.193 ha. da enti pubblici. Per altre agevolazioni, come l’esenzione dalla tassa di successione, l’Ispettorato rilasciò un migliaio di certificati per ha. 5.000. Ridotta pure la tassa di registro nei contratti di acquisto terreni per i quali i conduttori si impegnavano a effettuare migliorie nel triennio dalla stipula del contratto (L. 1271/1964). Le richieste per migliorie fondiarie per 20.011 ha. furono autorizzate per 16.969 ha., pari a L. 1.212.312.000. Credito agevolato a lungo termine. Concessioni  stabilite con provvedimenti in sequenza, ad agevolazioni crescenti, per l’acquisto di proprietà e/o accorpamenti di porzioni. La L. 454/1961  prevedeva mutui trentennali al tasso del 2%. Nell’Aretino furono contratti 358 mutui per L. 772.405.000, con concorso statale negli interessi di L. 38.500.000. In seguito (L. 590/1965), si elevava l’ammortamento a quaranta anni abbassando il tasso all’1%; fu un successo eccezionale. Dall’applicazione della legge a metà ‘71, furono concessi 353 mutui per l’importo di L. 2.379.890.000 su 5.540 ha.  di terreni corredati di fabbricati e attrezzature dal valore venale di L. 2.788.210.000. Significativa la gamma degli acquirenti: 21 affittuari coltivatori diretti, 221 mezzadri, 11 salariati, 12 altri coltivatori. Il mezzadro era a una svolta: colui che intendeva farsi imprenditore agricolo ne aveva l’opportunità. Mantenendo il tasso all’1%, si ridusse a trent’anni l’ammortamento del mutuo,  in virtù della L. 817/1971; dall’agosto del ‘71 a metà ’72 furono emessi 27 nulla osta per L.249 milioni di mutui per l’acquisto di 453 ha. La massa monetaria di credito agevolato spinse in alto il valore dei terreni. Interventi contributivi. La L. 53/1956, integrata dal Piano Verde I, contribuiva, in conto capitale, all’acquisto di fondi destinati a nuove aziende e di arrotondare le esistenti nella misura massima del 10%. Nell’aretino, operante la legge, furono concesse 910 liquidazioni per L. 17.887.900 di contributo su 230.560.000 spesi. Meccanizzazione agricola. Dal ‘62 al ’71, le macchine agricole favorirono incrementi produttivi mai visti prima. Prestiti a breve termine. Quinquennali al tasso del 2%,  dal Piano Verde I, ammontarono a lire 3.200.000.000. Mentre, dal Piano Verde II, i prestiti agevolati al 2% ammontarono a L. 8.848.000.000, raggiungendo L. 12.480.000.000 per l’acquisto macchine agricole. Contributi in conto capitale. Date le ridotte capacità finanziarie dei coltivatori diretti, furono concessi contributi in conto capitale nella misura media del 25% dell’importo delle macchine acquistate, fino a un milione a macchina. Per effetto della L.454/1961 furono erogati L. 458 milioni di contributi, a cui si aggiunsero altri 75 milioni della L. 910/1966. Consistenza del parco macchine provinciale. Nel decennio, furono acquistate macchine motrici e operatrici per  L.12.621.000.000. Trattori: 1.431 nel ’61, e 4.758 nel ‘70, aumentati oltre il 300%; gli HP dei trattori nel ‘61 erano 51.250, 197.788 nel ’70, cresciuti del 385%, con propensione su trattori di maggiore potenza. Motocoltivatori: 89 nel ’61, 574 nel ‘70, più del 644%; HP erogati: 381 nel ’61, 6.280 nel ‘70,  più 600%, anche qui si puntava su macchine potenti. Motofalciatrici: 231 nel ‘61 e 1.991 nel ’70, un incremento dell’860%; HP erogati, nel ’61, 1.593, nel ’70, 19.714, più del 1.200%. Mietitrebbiatrici: 5 nel ’61, e 113 nel ’70, più 22 volte. Consumo carburante, utile a giudicare l’andamento dei consumi agevolati:  nel ’61, consumati q. li 3.941 di petrolio agricolo, e q. li 35.029 di gasolio, nessun consumo di benzina agevolata. Nel ’71,  petrolio consumato q. li 4.10, gasolio q. li 83.236, benzina agricola q. li 583; l’aumento del gasolio oltre il 100% indicava l’orientamento verso motori diesel.  Ditte iscritte all’U.M.A. (Utenti Motori Agricoli): 2.436 nel ’61, 5.522 nel ’70, più che raddoppiate. Zootecnia. La  riorganizzazione degli allevamenti bovini, suini e ovini, era orientata anch’essa a raggiungere standard europei,  pur nel quadro  provinciale di crisi produttiva, per l’esodo mezzadrile e per costi non rimunerativi del lavoro, specie sui bovini. L’Associazione Provinciale Allevatori Aretini (APAA) si affiancò all’Ispettorato Agrario per migliorare razze, e promuoverne il commercio con gare a premi, fiere, mercati. Il Piano Verde I e II, entro il ‘71, avevano consentito  erogazioni in conto capitale – in misura variabile tra il 25 e il 50% – per L. 476.515.000, somme destinate all’acquisto di: Chianine selezionate 71; bovine da latte (in parte d’importazione svizzera) 76; scrofe selezionate 597; verri selezionati 129; tori Chianini selezionati 74; tori selezionati da latte 9; pecore selezionate 1.969; arieti selezionati 23;  animali di bassa corte 1.000. Oltre a contributi per prove diagnostiche (tubercolina) su 17.000 bovini (secondo un piano straordinario che di fatto debellò la tubercolosi dalle stalle); per manifestazioni zootecniche;  per  guardie giurate e  controllori zootecnici dell’ APAA.  Ai contributi era affiancato il credito agevolato, che aveva consentito vari interventi. Mutui a lungo termine. Stalle  bovine nuove e riattate per capi 828; Porcili nuovi e riattati per capi 15.999; Ovili nuovi per capi 846; Pollai nuovi per capi 11.110; Sili e fienili nuovi e ampliati Mc. 604; Annessi rustici nuovi e riattati Mq. 36.811. Prestiti a breve termine (1-4 anni) a tasso agevolato (2%), fondi di rotazione sufficienti a soddisfare tutte le richieste degli agricoltori, per acquisto bestiame a incremento degli allevamenti. Piano Verde I e II e leggi collegate e L. 777/1957, consentirono nel periodo ‘57-‘71 l’erogazione di crediti per L. 2.575.511.360, per l’acquisto di 11.930 Bovini da allevamento e ingrasso; Ovini e caprini 3.219; Suini 469; Equini 6; Animali di bassa corte  4.000; Piccoli mezzi meccanici per la zootecnia, 175. Assistenza tecnica e divulgazione,per la formazione permanente degli operatori agricoli – transitandoli da competenze tradizionali alle nuove – impegnati con macchine, mezzi tecnici, piante e animali di cui conoscerne le funzioni biologiche essenziali: nutrizione, riproduzione, salute. Spese formative (1962-’71) L.109.725.000. Corsi presso il Centro di Addestramento Villa Godiola di un mese; lezioni teorico-pratiche a tempo pieno. Agli allievi, vitto, alloggio, libri, e insegnamenti gratuiti, 20 partecipanti a corso. L’allievo licenziato era specializzato: potatore di viti e olivi e meccanico agrario; 15 i corsi svolti per 300 allievi. (Susini notava: “purtroppo molti giovani addestrati abbandonano l’attività agricola” evento grave  per colture specializzate in crescita: vigne, oliveti, frutteti). Corsi di istruzione maschile. Lezioni di 7-10 giorni, di sera,  istruzioni pratiche su colture nuove e conduzioni agronomiche più redditizie; nel decennio, 96 corsi e 2.496 allievi. Corsi di istruzione femminili. Per trattenere le famiglie in agricoltura, l’“Economia domestica rurale” era finalizzata  al guadagno da orti e pollai gestiti con tecniche innovative; a cui erano aggiunte nozioni di puericultura, tenuta della casa, arte culinaria, conservazione di prodotti orticoli, ecc.. Tra gli effetti positivi dei corsi sull’economia aretina, per Susini, era stata la crescita della coniglicoltura, a soddisfare maggiori richieste alimentari, e pelli ai cappellifici. Tenuti 201 corsi a 4.824 allieve. Campi dimostrativi a colture erbacee, presso agricoltori disponibili, eseguite 200 dimostrazioni con colture erbacee di durata variabile da uno a tre anni, secondo tipologie di piante a ciclo annuale (cereali, colture industriali, erbai annuali, ecc.), e a ciclo pluriennale  (erbai poliennali, prati da vicenda, pascoli, prati-pascoli, ecc.), impegnando 100 ha. di terreno. Campi dimostrativi a colture arboree, di durata più lunga (3-6 anni), su superfici medie di mq. 5.000. Campi sperimentali 40, di cui 25 a vigneto, 10 a oliveto, 5 a frutteto. Attività pratiche con operai specializzati, rivolte a istruire potatori di viti, olivi, e fruttiferi; 240 giornate dimostrative. Visite domiciliari, curate dall’assistente di Economia domestica rurale, a casa delle allieve; totale: 404 visite. Concorsi e iniziative varie, per indurre produzioni agricole in forma competitiva interaziendale. Concorsi banditi: Per orti familiari (130 partecipanti); Per coniglicoltura (330 partecipanti); Per uso attrezzature avicunicole (110 partecipanti); Per  coltivazione rose (80 partecipanti); Per orto-floro-frutticoltura familiare (50 partecipanti); Per conservazione prodotti orticoli (50 partecipanti); Per  sistemazione adiacenze delle case coloniche. L’agricoltura aretina, applicando il Piano Verde I e II, si accodava agli standard europei. A partire dalla costruzione e riattamento di case rurali per 1.836 famiglie, tra il ‘62 e il ’71; interventi riparatori di ingiustizie ataviche e l’avvio drastico della riduzione di unità lavorative, stabilizzate negli anni Ottanta  a percentuali a una cifra, da circa il 70% di occupati agricoli nel secondo dopoguerra.

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L’agricoltura aretina negli anni Novanta

L’Europa e la modernizzazione dell’agricoltura. Dal ’67, la politica agraria europea è basata su tre principi: unità del mercato, preferenza comunitaria, solidarietà finanziaria. Nasce il Feoga (Fondo europeo di orientamento strutturale e garanzia prezzi) in aggiunta ai fondi dei due Piano Verde, a cui seguirà la legge Quadrifoglio. In sostanza, nel tempo, saranno perseguiti gli stessi obiettivi salvo variare l’intensità dei flussi su questo o quella categoria di incentivi,  annuali e periodici, a favore di proprietà,  colture, impianti, … fino al raggiungimento degli obiettivi prefissati, entro la capienza degli stanziamenti. Favoriti il riposo dei terreni per il controllo di produzioni e prezzi, i rinnovi di impianti fruttiferi,…. In definitiva, i fondi europei e nazionali hanno reso competitivo anche il sistema agricolo italiano sul mercato mondiale attraverso le Pac, strumento di modernizzazione dell’agricoltura europea (Fabiani 2015, pp. 258 e segg.). Alla fase quantitativa – l’Europa attestata tra le più forti economie agricole – furono affiancati indirizzi verso la qualità: dei prodotti, dell’ambiente, dell’agricoltura sposata al turismo. L’Aretino, in fase di modernizzazione, ha seguito indirizzi regionali, nazionali ed europei. Con la Regione a far da tramite, nel tradurre indirizzi comunitari in politiche attive. Esposta anche a fallimenti, come nel caso  del frigo-macello di Chiusi. Stabilito prioritario lo sviluppo agro zootecnico (anni Settanta), si  dotò il sistema d’un imponente mattatoio e stoccaggio carni, al fine di tutelare i prezzi. Costruiti 80.000 metri quadri di celle frigorifere, oggi ne è uscito il bando per la rottamazione. Sopravvissuti, invece, impianti intercomunali, dove, già alla macellazione dei capi, s’incontrano domanda e offerta,  risultando secondario lo stoccaggio carni. L’esempio svela le contraddizioni nella cooperazione agevolata agricola toscana e aretina, e il suo ruolo limitato nel tempo e per settori specifici. Essendo fallite numerose esperienze cooperative, sostenute dalla mano pubblica: stalle, frantoi, cantine, stufe per tabacco, molini, ecc. per cattiva conduzione e scarsa propensione degli agricoltori ad agire  in cooperativa; salvo esperienze positive, come sul commercio delle carni. Dai fallimenti, tuttavia, il sistema ha trovato strade nuove per affrontare il mercato.

Nuovi assetti  socio-economici nelle campagne aretine. Pietro Faralli, della Camera di Commercio, commentando il 5° Censimento dell’Agricoltura del 2000, confermava il legame tra settore primario e  territorio aretino: 22.890 aziende agricole, pari al 16% del totale regionale, registrano l’unico caso in Toscana di incremento rispetto al ‘90. Le 21.055 aziende a conduzione diretta con manodopera familiare, 888 con manodopera familiare prevalente, e 292 con manodopera extrafamiliare prevalente, fanno 22.232 coltivatori diretti, contro i 13.412 del ‘60. In totale, le aziende erano 29.158 nel ’60,  a esodo mezzadrile avanzato.  Il peso aretino resta rilevante in termini di superficie col 14,8% sul dato toscano, anche se, in questo caso, in confronto al ’90 presenta una flessione pronunciata (-11,2%) rispetto al dato regionale (-8,4%). Tende a diminuire l’utilizzo dei terreni, dai 137.827,37 ha. del ’70, agli 111.365,1 del 2000. Interessante il rapporto tra forme di conduzione e superfici in ha: nel ’60, i coltivatori diretti disponevano di 75.016,85 ha., a fronte dei 175.893,9 ha. nel 2000. Nel ’60 la superficie a conduzione con salariati era 111.687,09 ha. contro i 79.205,9 nel 2000, mentre la colonia parziaria (mezzadria), nel ’60, coltivava 112.658,20 ha. contro i 1.105,6 del 2000.  L’azienda tipo aretina misura 10 ettari e mezzo, poco meno della media toscana di 11,6 ha.; consistenza media vicino al raddoppio rispetto  al ’60. Le aziende aretine occupano il 74,4% della superficie totale disponibile, in regione ci si ferma al 71%. Pur non eccellendo per dimensione media, l’impresa aretina si caratterizza per struttura solida e diffusa. La microazienda al di sotto d’un ettaro rappresenta il 31,8% del totale contro il 45,4%  regionale, e alzando la soglia a 5 ha. si raggiunge in provincia al 70,6%, a fronte del 76,3% regionale. Il grosso della struttura produttiva locale si sviluppa pertanto nelle fasce dimensionali intermedie. Dato interessante, per l’Aretino, rivelando un buon potenziale alla ricerca di migliori risultati nella redditività aziendale, derivanti dal mix: di colture specialistiche (vino, olio, tabacco, ecc.), di agriturismo, di fattoria educativa, di zootecnia, …  E’ frequente che l’agricoltura sia una tra le attività familiari, come rimarchevole è la presenza di pensionati tornati ai campi dopo aver svolti altri lavori.

Prati e pascoli, in parallelo all’andamento critico degli allevamenti zootecnici, nel 2000 sono diminuiti dell’11,5% sul ’90; nel ’70 coprivano 24.616,79 ha., contro i 5.892,6 del 2000. Seminativi e colture legnose mostrano miglior andamento. Calo di aziende e superfici a cereali, il frumento tiene sul ‘90, con 18.799,4 ha., contro i 30.954,29 del ’70; essendo scemati gli incentivi Pac, allorché le aziende seguivano alle semine i flussi contributivi europei. Anche superfici a  foraggio sono in calo. All’interno delle legnose si assiste a fenomeni particolari: l’incremento dell’olivicoltura (11.470,9 ha. e 12.613  aziende nel 2000, contro i 9.871,74 ha. e le 5.057aziende del ’70), il decollo della frutticoltura (1.706 aziende e 2.973,1 ha. nel 2000, contro le 330 aziende del ’70 e i 509,30 ha.), e una viticoltura qualitativa dovuta a vini doc e docg (10.307 aziende per 7.040,7 ha. nel 2000). Il bosco flette, al calo delle superfici aziendali, e conferma il peso in provincia  – per morfologia del territorio collinare e montano – incidendo del 46,6%, a fronte del 40,2% regionale, (passando da 118.324,85 ha. di superficie boscata, nel ’70, a 112.184,5 ha. nel 2000). Zootecnia in crisi: nel numero di aziende (-20,3%), dai 1.158 allevatori nel ’90 ai 652 nel 2000; e nella consistenza dei capi bovini, dai 20.822 nel ’90 ai 16.289 nel 2000; nel ’60, i 54.255 bovini erano ancora rilevante forza lavoro.  Nel 2000, 12.232 aziende possiedono 17.108 trattori; nel ’70, 17.781 aziende possiedono 12.812 trattori; siamo così all’inversione dei numeri tra aziende e trattori. L’evoluzione irrigua copre 10.000 ha., a fronte d’una superficie irrigabile di17.000 ha. Date le lungaggini sulla distribuzione  delle acque di Montedoglio, i coltivatori hanno costruito invasi artificiali autonomi.  Contrazione – meno marcata del livello regionale – suinicola ed avicunicola. L’Aretino è leader regionale, mentre è seconda forza per  i capi bovini. I suini 78.282 nel 2000, 110.528 nel ’90; costanti nel tempo (salvo negli anni ’90), a partire dagli 82.870 del ’60. Rilevante il dato avicolo: 1.509.173 capi, nel ’90, e 1.043.925 nel 2000, primato aretino in Toscana. In flessione gli ovini. I pastori sardi risollevarono gli ovini negli anni Sessanta, mentre nelle ultime generazioni l’interesse sta calando; nel 2000, 34.371 capi, e 52.291 nel ’90; analoghi ai  52.270 del ’60. Nel 2000, impiegate oltre 2 milioni e 600 mila giornate lavorative; diminuite del 7,4% rispetto al ‘90. Le perdite si concentrano sulla manodopera extra-familiare e in quella familiare, mentre il lavoro dei conduttori registra un minimo incremento. La tenuta complessiva  è compatibile col calo dell’incidenza del settore primario sul prodotto locale lordo, e sottolinea il peso crescente di prestazioni lavorative espletate da soggetti non in condizioni professionali prevalenti di addetti agricoli. In definitiva, il 5° Censimento sottolinea il permanere delle radici agricole aretine, e l’avvio dello sviluppo di prodotti tipici, valore aggiunto territoriale, qualificandone ambizioni turistiche. L’agricoltura, si qualifica come riproduttrice di tipicità culturali e tradizionali locali, e insostituibile presidio a salvaguardia dell’integrità territoriale. Degna di nota la valorizzazione di esperienze derivanti da ampi strati della popolazione.

L’agricoltura aretina presidio nella tutela ambientale. Trasformazioni radicali  hanno inciso negativamente sulla salute ambientale, per cause chimiche e meccaniche, entrate in forza, a fine millennio, nelle aziende agricole di tutto il mondo, sulla falsariga statunitense,  da dove sono giunte gran parte delle novità, dopo la seconda guerra mondiale (Fabiani 2015, pp. 161 e segg.). L’impatto tecnologico –  sugli agricoltori incentivati da inusitate agevolazioni finanziarie – ha  travolto assetti ambientali in equilibrio. La meccanica ha consentito trasformazioni paesistiche dei fondovalle e anche di mezzacosta in ampie brulle quadrature. La chimica ha ridotto l’uso del letame e bottino –  concimi principali del passato, insieme al sovescio e all’alternanza di colture. La chimica ha  consentito l’abbattimento di erbe infestanti e l’incrementando produttivo per ettaro, ma ha inquinato  falde freatiche, ambienti, persone e animali, incidendo sulla loro salute. Agli esordi della chimica,  l’uso trascurato  di protezioni tra gli operatori e dosaggi inappropriati ebbero  conseguenze devastanti, persino mortali. Derivate da inquinamento chimico, sottovalutato e monitorato a fine anni Sessanta, furono riconosciute nuove malattie professionali in agricoltura, riduzioni di selvaggina, mortalità ingravescente negli agricoltori, polluzione idrica e alimentare. A cui si aggiunsero i liquami suini, versati in acque di falda e superficiali, degradando, pei fetori, la qualità della vita in prossimità degli allevamenti. Soluzioni al problema tardarono, anche a causa dei costi dei depuratori. Altro degrado era dovuto all’abbandono di migliaia di abitazioni rurali, comprese le eleganti fattorie leopoldine. Parte ridotte a rudere; parte recuperate dagli agricoltori per abitazioni e agriturismi; parte elette a prima casa da residenti non agricoltori; altre recuperate da turisti italiani e nord europei, ai quali va il merito di recuperi conservativi (anche a mo’ di risparmio) dell’edilizia rurale, a torto ritenuta di minor pregio di quella urbana, perciò facile oggetto di stravolgenti recuperi.  A fianco dei passi da gigante nelle migliorie – nella diffusione della proprietà terriera, nella riduzione della  fatica nel lavoro dei campi, nelle gestioni aziendali agevolate all’agricoltore fino all’e-commerce -, l’ambiente ha rischiato il baratro. Interverrà ancora l’Europa propositiva: con “risoluzioni”, “raccomandazioni”, “carte”, “convenzioni”, e incentivi economici, partendo dagli obiettivi del Consiglio dei Ministri del Consiglio d’Europa (1961) dati a un comitato ad hoc, il Comitato Europeo per la salvaguardia della natura e delle risorse naturali (CDSN): “Favorire (…) la conservazione della natura e delle sue risorse, la tutela degli ambienti naturali, dei paesaggi, dei siti, in particolare di quelli che offrono particolari valori scientifici o che possiedono bellezze di eccezionale interesse, come pure la creazione di nuove riserve naturali, di parchi nazionale e euro internazionali”. Nell’intento di ripristinare o conservare habitat naturali. Anche nell’Aretino sono stati compiuti passi notevoli insieme agli agricoltori, agli inizi delle politiche ambientali quasi infastiditi se non contrari alla istituzione di aree a parco o riserva naturale, temendo eccessi vincolistici. Poi sono stati scoperti i vantaggi della tutela ambientale e delle buone pratiche agronomiche (come la lotta biologica integrata in funzione antiparassitaria). Imprese agricole importanti, di recente, in Valdichiana e Valtiberina stanno seguendo nuovi orientamenti nei modi di coltivare, piante medicinali (Aboca) o produzioni orticole, frutticole, leguminose di qualità  (Bonifiche Ferraresi), creando brand aziendali su produzioni  suggerite da ricerche genetiche avanzate, che consentono anche scarsi apporti chimici e  richiedono maggiore impiego di manodopera. Esperienze che si affiancano alle coltivazioni biologiche già adottate da numerose aziende. Altre aziende attuano il recupero energetico da biomasse, in alternativa ai combustibili fossili. L’agricoltura aretina, in definitiva, sta seguendo vecchie e nuove filiere produttive adeguandosi alle tendenze dei mercati, d’intesa con la ricerca scientifica e l’industria alimentare e turistica. Così come è cresciuto l’agriturismo, a partire  dagli anni Ottanta, dopo interventi normativi che hanno inquadrato meglio questa attività quale parte integrante del reddito agricolo, fornendo al turismo una elevata recettività quali – quantitativa, equivalente se non superiore al settore alberghiero anche nel numero dei posti letto.

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