LA LOTTERIA DEI TESTS D’INGRESSO ALL’UNIVERSITA’ A CHI GIOVA?

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Giannini, Ministra del MIUR, sembrava avesse fatto il verso di abolire i testi di ingresso all’Università, impegno che non ha mantenuto. Così seguitiamo ad assistere al triste peregrinare di migliaia di neodiplomati su e giù per l’Italia, sostenendo le più assurde e inutili spese che un genitore debba sopportare per aiutare i figli: viaggi, soggiorni e una bellissima tassa di partecipazione pagata a ciascuna Università in cui si intenderebbe iscriversi. Basterebbero a dimostrarne l’inutilità – o peggio, l’arbitrio, quindi l’ingiustizia e l’illogicità – le stramberie contenute nei quiz somministrati ai candidati, ai quali dichiarò che non sarebbe stato in grado di rispondere un eminente  professore universitario – che ha scritto uno dei manuali più ponderosi e usati di Patologia Medica -, così come non si capisce il perché si chiedano, ad un aspirante Psicologo, nozioni di economia e altre simili scemenze, che più che testare la preparazione di uno studente alla fine non fanno altro che aumentarne frustrazione,  senso di inadeguatezza e di ignoranza che, invece, dovrebbero avere chi li scrive e li assembla. Tornando all’esempio del luminare italiano della Medicina di cui sopra, sappiamo che il suo diploma di scuola superiore era di Geometra, essendo quello l’unico istituto superiore presente nel suo territorio negli anni Sessanta. Fortuna volle – per lui e per la scienza medica – che fu liberalizzato l’accesso a qualsivoglia tipo di Diplomato ad ogni tipo di Facoltà. Non solo, neppure era previsto il numero chiuso in alcuna Facoltà. Salvo in scuole di elite, tipo la Scuola Normale di Pisa. Dove aveva ed ha senso, essendo organizzate tipo college, dove studenti e docenti vivono l’intera giornata a stretto contatto formativo. Ma quante altre Università italiane godono di questo privilegio?

Lo erano prima dei test d’ingresso e lo sono rimaste, quasi tutte Università di massa, purtroppo – a paragone di altre nazioni evolute – frequentate poco e con scarso successo finale: siamo infatti alla fine deficitarii di laureati in fondamentali materie scientifiche, indispensabili al nostro sistema produttivo. Senza escludere che tra un po’ mancheranno pure i medici, dei quali in passato se ne è lamentato l’eccesso. Ecco il motivo per cui la nostalgia del passato è attuale, specialmente se aggiungiamo, a quell’apertura “liberista” all’accesso universitario, l’ampia disponibilità di finanziamenti per il diritto allo studio  dei giovani meritevoli in disagiate condizioni economiche familiari. Oggi, infatti, lo studio universitario non solo è ostacolato da quelle scemenze di test, ma è diventato dai costi proibitivi per larghe fasce della popolazione. Se alle tasse universitarie – che in virtù dell’autonomia finanziaria sono molto lievitate dappertutto – aggiungiamo costi altrettanto lievitati come quello degli alloggi – poche Università garantiscono case agli studenti a costi calmierati – oltre ai costi del sostentamento e dei trasporti, è indispensabile che alle spalle di ogni studente ci sia una famiglia in ben floride condizioni economiche.  Altrimenti ciccia.

Il diritto allo studio sta diventando un flatus vocis. E non si venga a dire che il numero chiuso consente una migliore didattica agli insegnati e la possibilità per gli studenti di usufruire di aule, laboratori, biblioteche, ecc.. Non farò testo, ma io frequentai proprio l’Università di massa aperta a tutti in facoltà mediche – dove sono indispensabili laboratori e spazi didattici attrezzati – ma non ricordo aule insufficienti, né eccessivi affollamento ai laboratori… Certo le università devono migliorare la loro assistenza agli studenti anche in forme tutoriali, ma, in epoca informatica, se funzionano addirittura le Università a distanza, dov’è il problema  nell’accettare chiunque voglia scegliere la propria Facoltà preferita?

Ma il raggiungimento di Lauree in totale “anarchia” quali vantaggi porterebbe ai nuovi dottori? Si potrebbe obiettare.

Siccome il problema dell’occupazione dei laureati in Italia non è stato risolto neppure col “numero chiuso”, preferisco di gran lunga che i giovani seguano la propria passione nella scelta delle Facoltà e se avranno da tribolare per trovare un lavoro lo facciano con la piena responsabilità delle loro scelte. Non accetto che lo Stato ti induce a un percorso formativo non gradito, e poi tanto ti abbandona ugualmente al tuo destino.

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