“Il sapore delle sorbe” felice esordio narrativo di Cinzia M. Adriana Proietti

postato in: Senza categoria | 0

Cinzia Proietti - Il sapore delle sorbeLeggendo il romanzo di Cinzia M. Adriana Proietti, Il Sapore delle sorbe (Gambini Editore), ho condiviso le stesse sensazioni dello scrittore inglese Ian McEwan quando aprì il romanzo Stoner: “Appena lo inizi a leggere senti di essere in buone mani. […] di fatto è una vita minima da cui Jhon Wlliams ha tratto un romanzo davvero molto bello”.

Nel caso della Proietti due sono le vite minime. Quella di Peppe, giovane chiamato al fronte, nella prima guerra mondiale, nel ’17, classe 1898, diciannovenne; e quella della figlia bambina, Gianna, costretta a crescere in fretta, immersa nell’immane tragedia della seconda guerra mondiale. Allorché, senza più fronti stabili, furono colpite le persone ovunque, fin nella pancia recondita della placida provincia italiana del Centro Italia. Pagine meno note della storia italiana, perché ininfluenti sulle sorti del conflitto, ma cariche di drammi, personali e collettivi. La cui conoscenza giova a costruire il quadro complessivo sulle assurdità delle guerre contemporanee; nelle quali, d’allora in poi, le vittime civili rappresentano, anche nei numeri, la fascia più colpita. Condanne a morte di innocenti, senza processi giudiziari preventivi.  Questa è la nuda verità sulle guerre odierne.

La saga familiare, raccontata a due voci, eleva a dignità letteraria quel mondo che diremo degli umili. Individui e comunità immerse nelle gigantesche tragedie delle due guerre mondiali. Ambientato nella prima metà del Novecento, il romanzo è legato dal filo rosso delle relazioni familiari e di comunità, tra i vari protagonisti, non disgiunto da sguardi, continui e penetranti, della scrittrice sulle mozioni interiori individuali, e sulle reazioni della società circostante. Vuoi nel paesaggio infernale del fronte di guerra, vissuto da Peppe, vuoi nelle collettività, piccole o grandi, violentate e sconvolte dai bombardamenti, incombenti sulla piccola Gianna.

La Proietti descrive un quadro esauriente, ben delineato, su persone semplici ma non sprovvedute, ricche di umanità, com’era la maggioranza della popolazione italiana. Gente poco acculturata e povera, ma di grande forza d’animo, sballottata da eventi dolorosi: fame, bombe e proiettili che piovono dall’alto e dal basso, migrazioni forzate, separazioni familiari, morti, feriti, legami troncati dalla violenza. È la storia (piccola, ma importante quanto la storia con S maiuscola) di quanti, come ragni, ritesserono pazienti tele lacerate di vite interiori e sociali, senza snaturarle; conservando il meglio del loro passato. Città, famiglie e persone, spaventate, ridotte, se possibile, ancor più misere, però, tenaci nel ricostruire, all’infinito, trame esistenziali.

I protagonisti, Peppe e Gianna, furono così presenti a sé stessi da fissare nella mente, in modo indelebile, quei passaggi durissimi, lasciando tracce non solo scritte ma anche nei racconti familiari che si tramandano tra generazioni.

A proposito di trasmissione tra generazioni, mi sovviene la forza affabulatrice di mio nonno Beppe, reduce dal fronte della guerra ’15-18, nel raccontare la sua storia di oltre trenta mesi di trincea, in prima linea sul fronte del Carso; e la prigionia, seguita a Caporetto:  Bastava gli dicessi: “Nonno, mi racconti la guerra?”, che lui accendeva il disco delle sue avventure, senza un ordine preciso. Spesso, coi lucciconi agli occhi, e voce rotta dall’emozione. Tanto, quella vicenda, l’aveva segnato per sempre. Per sfortuna di Beppe, morto lui e sfuocati nella mia mente, dei suoi racconti non resterà traccia, se non, forse, in qualche archivio recondito, nel verbale del carabiniere che li raccolse a brandelli, preliminare al conferimento del titolo di Cavaliere di Vittorio Veneto.

Ben diverso destino, felice, è capitato alle storie di Peppe e Gianna, bontà la penna di Cinzia M. Adriana Proietti. Colta e raffinata artista, poetessa, musicista, pittrice, che ha preso a cuore la mirabile avventura di persone a lei care, e il magico mondo che le circondava, tra Umbria e Marche. Riversando il meglio della sua sensibilità culturale, ha composto un romanzo delicato, avvincente, senza reticenze (c’è pure la storia di Peppe che fa la fila dinanzi al postribolo). Di un realismo persuasivo, denso di riferimenti storici, psicologici, di costume e ambientazioni, che lo rendono – come dicevo all’inizio – seducente per il lettore, trasmettendo, fin dalle prime pagine, la netta sensazione di essere in “buone mani”. Il linguaggio semplice, come si conviene a personaggi del popolo, è però articolato, ricco di espressioni pure poetiche nel descrivere ambiti e stati d’animo, propri del periodo e dei luoghi in cui è ambientato il romanzo; con ritmi musicali incalzanti e coinvolgenti, trasmette quell’insieme di sensazioni che distinguono la buona letteratura. E, fatto non secondario, la chiara impronta della penna femminile, dalla prima all’ultima riga, è quel valore aggiunto per cui ricorderemo a lungo questa lettura.

Condividi!