Giuseppe Berni l’agricoltore che pregava gli ulivi

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Berni - oliveto 1Nella solitudine agreste, accentuata dal silenzio da coronavirus, potazzavo ulivi felice, in compagnia del mastro potatore scomparso, il saggio Beppe. Vicinanza speciale, di quelle che ci seguono in intime vibrazioni. Ondate di ricordi che il filosofo Emanuele Severino attribuiva agli “eterni”; avendo ciascuno i suoi “eterni”: persone care defunte. Da certi luoghi e situazioni riaffiorano. In questo angolo del Borgo, lo spirito di Beppe staziona ancora, avendovi trascorso una lunga vita a “pettinare” ulivi tanto bene da sottoporli al giudizio del prof. Lanari; fattore nella zona tra Montecchio e Manzano e docente di Agronomia alle Capezzine. Beppe non aveva fatto scuole tecniche, ma quella dei campi diretta dal babbo e da zio Romolo, avendo lui smesso gli studi alla quinta elementare. Per la regola contadina: “Se il giogo del lavoro dei campi non ti vien messo da piccolo, da grande non è più possibile”. L’assenza fisica di Beppe, però, è palpabile, deturpante quanto mancasse un dente anteriore al sorriso dei luoghi. Ne soffrono gli olivi, lentamente stingendo il verde turgido di salute e gioia trasmessa dalle sue cure maniacali. Ne soffrono le strade vicinali di Borro del Castelluccio e delle Scuole, dove, solo, stendeva il breccino riparando buche e riattando sciacqui; ora tutto va in rovina. Ne soffrono la perdita gli amici – come m’onoravo essergli -, avendo trasmesso a piene mani  tanto buon umore e insegnamenti nella tenuta dei campi. Non indossando mai il cappello gallonato da maestro, pur essendolo. “Quando incontro una persona la saluto, anche se non la conosco! So quanto bene gli trasmetto”, gentilezze usate fin da ragazzo. Nelle conversazioni, sempre allegre, era capace, anche dopo i settant’anni, di capitombolare a terra per mimare le scene d’un racconto. E ci sarà di nuovo qui uno, come lui, capace di certe descrizioni della natura? “Avverto dei cambiamenti, come quello degli uccelli che non emigrano più! Quando ero ragazzo arrivavano tordi, quaglie; oggi non ci sono più! Sono comparsi gli storni, da almeno sette o otto anni, addirittura covano qui, non emigrano più. Dei pettirossi che in passato erano presenti, oggi non c’è quasi traccia… Le capinere erano fitte nelle lastre dei tetti, oggi quasi niente! Il mio tetto era pieno di rondoni – n’ero innamorato! – oggi chiudiamo le buche del muro, essendo quasi scomparsi. Spariti non perché la gente se li è mangiati, ma ne arrivano sempre meno. Avevo 17 buche sulla casa per i rondoni, molto utili per mangiare insetti, mosche e moscerini. Con il bestiame gli insetti erano tantissimi e i rondoni volteggiando, senza toccare terra, svolgevano un lavoro utilissimo nella pulizia dell’aria […]. Hanno una grande bocca come quella del cuculo, anch’egli insettivoro, come la spiatascia. Il rondone ha gambe piccole, le unghie, come per la civetta, sono la sua difesa. Non sta a terra anche perché non può difendersi con il becco, somigliando a un pulcino. Vivendo di moscerini, ha una vita aerea e depone le uova in alto sui tetti. Resta qui novanta giorni. Viene, fa l’amore, nascono i piccoli e poi, dal dieci al venti luglio riparte. Quelli che non partono muoiono, non facendo in tempo a salvarsi al caldo. […] Al posto dei rondoni sono arrivati gli storni, ai quali ho sparato, sono andato a distruggerne i nidi, cercando in tutte le manieri di ucciderli, ma loro restano. Siamo invasi da storni! Divorano tutto: grano, granoturco, ciliegie, uva. La loro carne è sgradevole. Arrivano animali nocivi e non tornano più quelli buoni, c’è uno sconvolgimento anche nel mondo degli uccelli. In cinquant’anni ho visto  cambiamenti enormi!” Pensieri, vicende personali e familiari che raccolsi nel romanzo: Ascoltando il respiro di una notte d’estate, tra i miei preferiti. Dove l’ intrigante vita di Pio Colono (così l’avevo ribattezzato) rivela una visione positiva, fortemente legata agli affetti umani e persino agli adorati ulivi ai quali, emulo Francescano, dedicò la preghiera “Carissimo ulivo” “[…] Giovane sono maturato con la preghiera quotidiana: il Pater. Signore dacci oggi il nostro pane quotidiano… nonché – aggiungo – il grande alimento che mi sostiene nel corpo e nell’anima – piacendo al Creatore! – grazie all’olio! Quanto a te olivo, vengo a liberarti da quei rami che non fanno più frutto. Quei rami sono legna preziosa, che nell’inverno riscalda le mie membra e non patisco il freddo, quando sto al focolare, accanto a quel robusto fuoco, con la brace mi ci faccio una bella bruschetta, con il buon pane e il buonissimo olio, grazie olio!” Espressioni sincere d’una mente accorta nel denunciare la fine dell’arte contadina causata dalla Globalizzazione, annullatrice di tante culture tradizionali, come gli olivi secolari soppiantati da specie lavorate solo a macchina. Aveva capito tante cose, sul suo mondo in estinzione, prima che accadessero. Quella degli ulivi secolari è una causa pressoché persa. Basti guardare le nostre colline olivate per rendersi conto del progressivo abbandono a sé stesse delle piante argentee, tipiche di questo antico paesaggio, per motivi economici: non più redditizie; e motivi antropologici: gli anziani, che vi si dedicano senza calcoli di tornaconto, stanno scomparendo, e nuovi appassionati per gli ulivi sono sempre più rari. Dunque, non si tratta di nostalgie passatiste, di cui non sarebbe da vergognarsi, nati e cresciuti in mezzo alla natura come siamo stati… è un segno dei tempi. Se pure, sulle tradizioni alimentari contadine, sulla genuinità delle trasformazioni di materie prime (in salumi e conserve), sul modo di cucinare cibi, pare ci sia un’onda di riscoperte. Però è andata a perdersi  l’affabulazione, la socievolezza, la cura delle cose proprie e dei beni comuni, come strade o sorgenti d’acqua fresca, di cui furono protagonisti quelli come Beppe. Che avevano quella dote sempre più rara – nell’epoca dei social e dei media -: di cui splendevano! La loro luce era visibile come aura speciale che li circondava,  e capaci di trasmetterci quello splendore: amore assoluto per la vita e la natura.

fabilli1952@gmail.com

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