E’ SCOMPARSO GIUSEPPE BERNI, POETA CONTADINO, UCCISO DAL GERME CHE STA SOFFOCANDO GLI ULIVI?

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Quando trenta anni fa conobbi Beppe, mio nuovo vicino di casa, avvertii subito la persona speciale. Allegro, ironico, curioso, solare, chiacchierone rispettoso, si prendeva cura di cose anche non sue, come gli sciacqui e il rinnovo della risetta sulla strada vicinale, perché a lui piacevano le cose ben fatte, ben tenute. Era un altruista. Da lui ho imparato quel poco che so sulla cura degli ulivi, considerati addirittura suoi fratelli. Ci parlava. Chiedeva loro scusa, se costretto a potarli. Gli aveva pure dedicato una preghiera [ho raccolto questa preghiera e altri spunti di saggezza contadina di Beppe, in Ascoltando il respiro di una notte d’estate, dove lo chiamai Pio Colono]. Niente di retorico. Sullo stile di s. Francesco d’Assisi, Beppe si sentiva parte del Creato e fratello di ogni Creatura, e, tra queste, all’Ulivo tributava la massima riconoscenza, per il dono del prezioso olio.

Beppe aveva il senso profondo della natura e dei suoi cicli. Dal canto di un uccello capiva il variare delle stagioni. Seguiva i cicli lunari per accudire orto piante e allevamenti. Aveva subito danni da certe gelate cicliche ai suoi ulivi, ma aveva imparato come non perdere del tutto il raccolto e come far ripartire in pochi anni le piante danneggiate.

Intervallava le lunghe ore di lavoro con momenti di meditazione, preghiera, dialogo con fiori e piante circostanti.

Beppe aveva senso e rispetto della storia. La sua famiglia, di origini greche, era stata protagonista nella recente storia d’Italia: uno zio era morto in battaglia nella prima Grande guerra; nonno Zucchini era stato volontario garibaldino, con la singolarità (non per i suoi tempi ?) di portare gli orecchini. Questo dettaglio di moda gli aveva fatto apprezzare – anziché come molti furono portati a criticarli – quei giovani che per primi rindossarono gli orecchini nel secolo passato. Anzi, mi raccontò, che come vide la prima volta un giovano con l’orecchino l’avrebbe abbracciato e gli avrebbe raccontato la storia di nonno Zucchini. Ma si trattenne, per non apparire molesto.

Di religiosità cristiana profonda, ma non bigotta, che gli era stata trasmessa da nonna Loreta, fu senz’altro un parrocchiano attivo. Così ogni anno, in occasione della Sagra della Ciaccia Fritta, l’avresti trovato intento a friggere con l’olio nuovo. Sotto casa, lungo la strada del Borgo, si può ammirare la grande edicola sacra in pietra, di proprietà familiare, di cui Beppe s’è continuamente occupato del restauro murario e del grande affresco interno.

Nonostante avesse superato gli ottanta anni, a cavallo del suo trattorone, seguitava ogni giorno a curare i suoi uliveti e i terreni di pianura. Anche se amareggiato e indignato, perché il mondo capitalistico stava privilegiando una agricoltura non di qualità, ma di quantità. Soffriva per la scomparsa di frutti, sementi, produzioni domestiche di salse, marmellate, insaccati, cibi cotti in certe antiche maniere…più che una critica da vecchio conservatore, la sua era l’indignazione del saggio che ha apprezzato certe qualità della vita che non conosceranno i suoi nipoti. Per di più, col suo lavoro indefesso dei campi  riusciva a cavare solo un misero reddito, se non addirittura a rimetterci.

Beppe ha impersonato la generazione dei nostri genitori che nel dopoguerra coi loro sacrifici e il loro lavoro hanno consentito alle famiglie di risparmiare quel tanto necessario per mandare i figli alle scuole più alte, fino all’Università, e intanto costruire casa o riadattare vecchi immobili trasformati in case confortevoli.  Gente che non ha conosciuto settimane bianche, crociere, estati al mare, pizza al sabato, cinema…proprietari di un paio di scarpe lucide e di un abito buono per le feste e le cerimonie familiari. Uno stile di vita molto morigerato, condotto certo senza entusiasmo, ma come un carico del quale la generazione di Beppe s’è accollato senza rinfacci, né lagnanze o eroismi. Come accade in natura, quando gli adulti si tolgono di bocca il cibo per darlo ai famelici frugoletti, lo stesso ha fatto la generazione di Beppe. Che pure qualche soddisfazione se l’era tolta, acquistando da giovanotto una quattro ruote con cui scorrazzava per la Valdichiana, finché non si chetò scegliendo l’Angiolina come anima gemella con cui accasarsi

Dopo lunghe sperimentazioni, in questi terreni pietrosi e, d’estate, semiaridi, Beppe aveva adottato una singolare potatura, che solo negli ultimi anni sto vedendo diffondersi in molti uliveti.  Una potatura bassa realizzabile da terra senza l’uso di scale. La pianta così soffre meno la siccità estiva, e non subisce bruscamente le cicliche oscillazioni produttive delle drupacee [per cui un anno si e uno no sono più o meno produttive]. A Beppe i 3 o 4 kili d’olio a pianta erano comunque garantiti ogni anno. Fiero di questa innovazione colturale, ne aveva reso partecipe lo stesso prof. Lanari, preside dell’istituto Agrario di Capezzine.

Non c’è dubbio che gli uliveti del Berni erano ammirati da tutti. E neppure le periodiche gelate impedivano a Beppe di fare un raccolto dignitoso.

Ma il 2014 è stato un anno horribilis per gli ulivi. E non si sa ancora come la storia finirà. Né Beppe né altri, in questi paraggi, hanno raccolto un’oliva!

Così da ottobre le visite frequenti di Beppe agli oliveti sopra casa mia si sono diradate, fino a sparire del tutto. Finché, ieri, mia moglie tornando dalla parrucchiera mi ha dato la tristissima notizia della scomparsa di questo grande amico speciale. Non so esattamente le cause della sua morte, ma non mi meraviglierei se, per lo meno una qualche concausa, discendesse da questa maledetta malaria che ha colpito gli olivi, di cui Beppe era maestro curatore e fratello.

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